"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 8 novembre 2021

Lamemoriadeigiornipassati. 20 «Il berlusconismo è stato un periodo di profonda lacerazione politica, di traumi istituzionali e di grave conflitto etico».

 

Ha scritto Michele Serra in “Il candidato impossibile”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 5 di novembre 2021: Temo che quando uscirà questa rubrica della posta l’intenzione del centrodestra di candidare Berlusconi al Quirinale, almeno in prima battuta, sarà ancora in piedi. Pure io rimango basito quando leggo articoli e commenti che la trattano alla stregua di una normale proposta politica. Ma non lo è e non può esserlo, e per più di una ragione. La più rilevante, e anche le più evidente, non è l’età (anche se l’età non è certo il punto di forza del leader di Forza Italia). È che anche solo ipotizzare Berlusconi al Quirinale è una esplicita offesa a molti milioni di italiani, che in quel signore hanno visto, per il ventennio nel quale è rimasto sulla scena, non un semplice avversario politico, ma una specie di quintessenza dell’arbitrio, dell’ignoranza delle regole, della mancanza di ogni misura nell’ostentazione del proprio potere pubblico e delle proprie ricchezze private. Quella delicatissima carica -capo dello Stato - apparenta il presidente a un monarca, nel senso più profondo del termine: incarna la maestà della Repubblica. Proprio per questo si è sempre cercato, quasi sempre riuscendoci, di mandare al Colle una personalità il meno divisiva possibile. Dico quasi sempre perché almeno un settennato, quello di Cossiga, non è stato certo segnato da concordia e pace istituzionale, per l’evidente ragione che era stata destinata a quell’incarico la persona meno adatta. Ma per il resto, con alti e bassi, attraverso figure a volte sbiadite, a volte di spiccato prestigio, al Quirinale sono sempre andate persone accettate da tutti e stimate da molti. Sgomenta che il centrodestra (l’Italia dei moderati e dei conservatori, almeno sulla carta) ancora non abbia capito che il berlusconismo è stato un periodo di profonda lacerazione politica, di traumi istituzionali e di grave conflitto etico; che le cicatrici sono ancora aperte, malgrado lui si sia ritagliato, per la fase estrema della sua parabola, il ruolo, davvero improbabile, di padre della Patria, liberale e super partes. E forse ancora di più sgomenta che il centrodestra, qualunque cosa significhi questa approssimazione politologica, non abbia una rosa di candidati e candidate da proporre prima di tutto all’opinione pubblica, poi alle Camere, in sostituzione del suo vecchio capo, improponibile per chiunque abbia memoria, anche vaga, del recente passato di questo Paese. Da ultimo, davvero da ultimo, il problema giudiziario. A parte l’episodio, gravissimo, della corruzione di un magistrato, tutto il resto è solo il corollario di qualcosa che una normale sensibilità democratica avrebbe già giudicato (male) da sé, senza alcun bisogno del supporto degli incartamenti giudiziari. Scrivo per la millesima volta che un Paese politicamente sano non avrebbe bisogno alcuno di appigliarsi ai processi per decidere, in buona autonomia, se una persona è degna oppure no di reggere il timone. Spiace dover concludere che non siamo un Paese politicamente sano. A chi al tempo mi poneva il problema di cosa avrebbe potuto tenere desto ed anzi rinvigorire il senso civico e repubblicano del paese, una volta liberatici dall’ingombrante figura dell’uomo di Arcore, ero solito rispondere che, come la cattiva erba che, come suol dirsi, non muoia mai, di quella “maledizione” abbattutasi sul nostro sgangherato paese sarebbe stato sempre ben difficile affrancarci. È stato facile dire in tal modo. I giorni nostri che ci sono dati di vivere mi stanno dando ragione. Magrissima consolazione. Questa “memoriadeigiornipassati” è dell’indimenticato Franco Cordero – “Tutti gli scudi del Cavaliere” – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di febbraio dell’anno 2012: L’Ex-premier è imputato a Milano quale corruttore in atti giudiziari: una parte congeniale, visti i precedenti, stavolta tintinnano 600mila dollari all’avvocato londinese David Mills, esperto in labirinti fiscali nonché servizievole testimone. Lo racconta il predetto, confesso in Inghilterra e Italia, sicché alla difesa resta solo l’arma del perditempo, tanto da estinguere i reati. Monsieur B. aveva ricusato l’intero collegio: è la nona volta e soccombe ancora, impassibile. Le sue guerre forensi sono materia da stomaco forte, dove onore, verità, belle figure dialettiche contano poco. Se l’asserito reato esista e sia ancora punibile, doveva dirlo il Tribunale. L'ha detto: esiste e nei suoi calcoli risulta estinto dal tempo; era punto controverso. In lingua meno tecnica, l’impenitente corruttore schiva la pena e gli resta il marchio: fosse dubbio il fatto, sarebbe assolto; non se ne vanti, quindi. Avere schernito Dike con i versi della scimmia è titolo da compagnia equivoca: infatti vi gode un meritato culto, patrono con aureola; Kronos mangia i delitti. L’analisi comincia dalla persona. Esistono italiani intolleranti della serietà: preferiscono Crispi a Cavour; detestano Giolitti; liquidano De Gasperi; amano i buffoni, specie quando emergano aspetti sinistri. Mussolini li incanta con le smorfie al balcone e sotto la divisa da primo maresciallo dell’Impero: vola, nuota, balla, scia, miete, batte il passo romano, farnetica glorie militari; dopo vent’anni resterebbe a vita nella sala del mappamondo se non muovesse guerra a tre imperi. Berlusco Magnus è catafratto nella sicumera degl’ignoranti: sguaiato megalomane, ha fantasia fraudolenta, menzogna estrosa, occhio sicuro nel distinguere i lati peggiori dell’animale umano; vìola allegramente ogni limite. Le sue gesta stanno in quattro verbi: corrompe, falsifica, froda, plagia (mediante ipnosi televisiva, allevandosi una massa adoperabile); cervelli e midolla sono materia plastica. Due mosse strategiche dicono cos’abbia in mente: appena salito al potere, homo novus, propone guardasigilli l’avvocato che gli combinava ricchi affari loschi (il capolavoro è la baratteria con cui s’impadronisce della Mondadori comprando una sentenza); e degrada a bagatella il falso in bilancio, importantissimo nella diagnostica penale. In due legislature, padrone delle Camere, attua quel che sarebbe appena immaginabile in monarchie piratesche: governo personale, quasi lo Stato fosse roba sua; brulicano voraci faune; i convitati spolpano l’Italia. L’effetto non tarda. Fanno testo i numeri forniti dalla Corte dei conti: 60 miliardi l’anno nel giro d’affari corrotti; e un’evasione fiscale calcolabile in 100-120 miliardi; invano il Consiglio d’Europa raccomanda misure contro la tenia economica (verme nient’affatto solitario, visto come gavazzano P3, P4 et ceterae); il governo non batte ciglio. Metà dell’intera patologia europea fiorisce qui. Dove porti la politica del laissez manger, è presto detto: traslocando nel novembre 2011, sotto l’assalto dei mercati, l’Olonese lascia un debito pubblico pari a 1.905.012 (miliardi d’euro) ossia il decuplo dell’annua emorragia malaffaristica; aveva governato otto anni e mezzo, «uomo del fare». I conti tornano. Estinzione del reato, dunque, e se l’è sudata: incasserebbe i quattro anni inflitti a Mr Mills da Tribunale e Corte d’appello se le Camere affollate da uomini e donne del sì non votassero un malfamato lodo che vieta i giudizi penali nei suoi confronti, quia nominatur leo, strapotente capo del governo; quando va in fumo, dichiarato invalido, gli servono un privilegio dell’impedimento d’ufficio a comparire nell’aula. Così passano settimane, mesi, anni. Era latta anche questo scudo: finalmente compare ma nominor leo, quindi concede al massimo un giorno alla settimana e il dibattimento, illo tempore sospeso, deve ripartire davanti a un collegio diverso; il tutto basta appena, essendosi Sua Maestà accorciati i termini della prescrizione, con relativa amnistia occulta. Caso mai non bastasse, aveva pronte due leggi da manicomio: l’imputato ricco allunga finché vuole i dibattimenti arruolando testimoni a migliaia, e sul processo pende una mannaia; scaduto il termine, gli affari penali svaniscono. Sembrano incubi d’un cattivo sonno. No, è vergognosa storia recente. Come Dio vuole, sabato 12 novembre 2011 esce dal Palazzo avendo condotto l’Italia a due dita dalla bancarotta, ma non pensiamolo depresso: cova revanche; arrotano i denti dignitari, sgherri, domestici d’ambo i sessi, infuriati dalla prospettiva d’una ricaduta nel nulla. Mercoledì 22 febbraio nelle tre ore del colloquio col successore tocca argomenti caldi quali Rai e giustizia: le cosiddette «carriere separate» ossia un pubblico ministero governativo, che dorma o azzanni, secondo gli ordini; non dimentichiamo chi voleva installare in via Arenula. Gli spiriti animali restano integri. Lo confermava l’energico sostegno al piano delle Olimpiadi, come se opere colossali, talora finte, non avessero divorato abbastanza denaro; particolare pittoresco, sedeva a banchetto qualche gentiluomo del papa. La Corte dei conti (16 febbraio) chiede due misure dal senso chiaro: riconfigurare comme il faut il falso in bilancio; e un regime equo della prescrizione, l’attuale essendo criminofilo.  Ogni tanto lamenta d’avere speso somme enormi in parcelle. Parliamone: ai bei tempi penalisti d’alta classe giostravano nel merito delle cause, fatto e diritto, sdegnando i cavilli procedurali; dura il ricordo d’avvocati giuristi quali Arturo Carlo Jemolo o Alfredo De Marsico, morti quasi poveri dopo una lunga vita in cattedra e sui banchi giudiziari. Erano sapienti ma disadatti al mestiere, commentano eroi del Brave New World, scambiando sogghigni porcini. L’immagine viene da Orwell, nella cui molto istruttiva Fattoria degli animali comandano maiali umanoidi dal freddo aplomb manageriale: una specie importante; chiamiamola verres erectus. Siamo salvi dal default. Deo gratias. Rimane una questione grave: quanto mordano nel codice genetico gli ultimi vent’anni; anzi, trenta, se v’includiamo l’antipedagogia televisiva.

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