Tratto da “Bisogna
curare le persone, non solo le malattie” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 28 di novembre dell’anno
2015: Se i medici fossero più attenti al paziente con il suo vissuto, le sue
ansie e le sue speranze, potrebbero evitare molte sofferenze inutili. E
intervenire con l'umanità, quando la scienza non ha più risorse. La medicina
occidentale nasce nel V secolo a.C. come medicina "geocentrica", dove
le condizioni di salute erano valutate in base all'ambiente in cui si viveva e
l'attenzione era rivolta, come insegna Ippocrate fondatore della Scuola medica
di Kos, all'aria che si respira, all'acqua che si beve, ai cibi con cui ci si
alimenta, ai luoghi in cui si vive. Poca cosa? Non direi considerando quanta
nocività c'è oggi nell'aria, nell'acqua, nei cibi che assumiamo, nei luoghi che
abitiamo. Ma siccome l'inquinamento è dato per assodato e irreversibile, ci si
limita a fissare dei parametri di tolleranza di cui si occupano, quando se ne
occupano, le nostre amministrazioni, senza che questi fattori siano presi in
seria considerazione dalla professione medica che più non li ritiene di sua
competenza. Fu così che la medicina abbandonò lo sguardo geocentrico per
proporsi come medicina "morbocentrica", nella quale lo sguardo medico
non è più rivolto all'uomo, (…), ma alla malattia da affrontare in modo
scientifico, dove per "scienza" s'intende un sapere oggettivante,
valido per tutti, riproducibile ovunque, da chiunque, con il medesimo
risultato. La tecnica radicalizza questo aspetto scientifico, facendo perdere
ai medici lo sguardo clinico, sostituito dalle risultanze degli esami a cui i
pazienti sono sottoposti. E questo sempre con maggior frequenza, per effetto di
quella "medicina difensiva" che induce i medici, con la complicità
dei pazienti, a prescrivere esami su esami, per accontentarli e per non poter
essere accusati d'inadempienza o trascuratezza. I costi di tante verifiche
inutili le paga ovviamente la collettività. Cambia in questo modo il concetto
di "cura" che, per usare due espressioni di Heidegger, non è più un
"prendersi cura" (Fürsorge) del paziente, ma semplicemente un
"pro-curare" (Besorgen) al paziente farmaci ed esami richiesti dalla
malattia. Senonché l'oggettività della malattia è pur sempre iscritta in una
"soggettività" che non può mai essere oggettivata, perché non è scientifica
e per giunta è diversa da individuo a individuo, ciascuno dei quali ha un mondo
della vita suo proprio, che non è oggettivabile. Quando i pazienti lamentano la
"scarsa umanità" di certi medici, anche se non lo sanno stanno
lamentando lo sguardo esclusivamente morbocentrico di chi li cura, per cui non
si sentono più persone, ma solo "rappresentanti d'organo", a cui si
rivolge lo sguardo medico. Di qui la necessità che la medicina diventi
"antropocentrica" non solo per coinvolgere la soggettività del paziente
tanto utile nel decorso della malattia, ma per impegnare anche la soggettività
del medico, che non può limitarsi a utilizzare i suoi protocolli costruiti
sulla media dei percorsi morbosi, ma deve coraggiosamente utilizzare la sua
intuizione per valutare se il paziente si trova al centro, o all'inizio o alla
fine di un'ipotetica curva di Gauss che richiede una variazione
nell'applicazione del protocollo. Infine, (…), non è il caso di abusare di un
eccesso di interventi tecnologici che allungano, tra non poche sofferenze, la
vita, creando nei pazienti illusioni che alimentano solo la disperazione
finale. È il caso per esempio di quegli oncologi che, dopo aver sperimentato di
tutto, quando perdono ogni speranza non si fanno più vedere dai loro pazienti e
si fanno sostituire dai medici che praticano le cure palliative. Inequivocabile
annuncio di morte quando ancora si è in vita. Di qui l'importanza di passare da
una medicina morbocentrica a una antropocentrica che abbia in vista l'uomo, i
suoi vissuti, le sue speranze, le sue ansie, e non solo la sua malattia. Anche
perché, come ci insegna Michel Foucault: «Non si muore perché ci si ammala, ma ci si ammala perché
fondamentalmente dobbiamo morire».
"La morte è un supplizio nella misura in cui non è semplice privazione del diritto di vivere, ma occasione di calcolate sofferenze". (Michel Foucault). "È più facile trovare uomini disposti a morire che trovare quelli disposti a sopportare il dolore con pazienza".(Giulio Cesare). "Certo sarebbe terribile un dottore che ti ignora mentre muori". (Anonimo). "Respingo la morte a furia di vivere, soffrire, sbagliare, rischiare, dare e perdere".(Anais Nin). "Chissà se ciò che è chiamato morire è vivere, oppure se vivere è morire"(Socrate). "La tragedia della vita è ciò che muore dentro ogni uomo col passar dei giorni".(Albert Einstein). "C'è solo una costante nella vita:il cambiamento. Se resistiamo al cambiamento, soffriremo inutilmente. Dobbiamo accettare che tutto cambi: le persone, le situazioni, i sentimenti, la vita. E dobbiamo accettarlo come un albero fa con il vento:piegandosi, ma non spezzandosi".(Anonimo). "A volte non hai il tempo di accorgertene,le cose capitano in pochi secondi. Tutto cambia. Sei vivo. Sei morto. E il mondo va avanti. Siamo sottili come carta".(C.Bukowski). Grazie per l'opportunità delle inevitabili e preziose riflessioni, che questo eccezionale post mi ha regalato. Buona continuazione.
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