Tratto da “La
piatta ipnosi di Facebook & C.” di Massimo Fini, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 21 di novembre 2021: (…). L’eccesso di informazioni finisce per
uccidere l’informazione. Siamo come un Tantalo bulimico cui basterebbero pochi
sorsi d’acqua per esaudire la sua sete, ma che messo davanti a un lago lo beve
tutto e ne muore. Pubblicità, televisioni, radio, stampa, facebook, film, libri
(solo in Italia se ne pubblicano circa 80.000 l’anno) ci inondano di offerte, a
volte anche di buon livello, ma noi finiamo per non ritenerne nulla. Ho amici
abbonati a Netflix, un’orgia di film. Ma se gli chiedi chi è il regista di quel
film, di cui ti hanno appena detto meraviglie, non lo sanno. La trama la
confondono con quella di altri film visti, più o meno contemporaneamente o in
un passato recente. Si ricordano gli attori, questo sì. Ma questo rigetto della
memoria del presente si ripercuote su quella del passato. Giulia Soncini ha
notato lo straordinario declassamento culturale avvenuto nel nostro Paese, ma
credo che la cosa riguardi l’intero Occidente che ha demonizzato le tradizioni
a favore dell’“innovazione” (che cosa ci sia poi ancora da “innovare” non è
facile capire). Internet poi non aiuta o, per essere più precisi, aiuta anche
troppo. Tu vuoi sapere qualcosa di un autore di cui hai vagamente sentito dire,
clicchi su Wikipedia e hai dieci righe di spiega, ma è un’informazione
totalmente superficiale. Vuoi sapere di Albert Camus? Non solo non bastano le
brevi di Internet ma nemmeno conoscere le sue opere (Lo straniero, La chute,
poniamo) ma bisogna aver letto prima Rimbaud, Baudelaire, Lautréamont, si deve
cioè fare un percorso faticoso. Ma il mondo attuale è indotto a rifiutare
qualsiasi fatica che non sia legata al nostro lavoro di “schiavi salariati”. La
superficialità, è quasi tautologico dirlo, uccide la creatività. Il grande
romanzo ottocentesco legato a una borghesia in ascesa, è scomparso insieme a
questa stessa borghesia, sostituita da un’informe classe media senza idee e
senza ideali. Nel Novecento però il romanzo è stato sostituito da grandi film
più facili da assorbire perché, per quanto profondi, sono pur sempre “visivi”,
mentre la lettura, anche quando è affascinante, vuole uno sforzo maggiore. Ma
l’ultimo grande film: “Blade Runner” è di trent’anni fa. Poi abbiamo avuto solo
degli spiccioli, a volte anche gradevoli, ma solo spiccioli. Forse il mezzo
migliore nel campo dell’informazione è la radio, perché vuole attenzione da
parte di chi parla e di chi ascolta, mentre anche uno scimmione può schiacciare
un bottone e vedere un’immagine. Ma dopo l’avvento della Tv la radio è
retrocessa a media minore, tanto che i partiti pur non rinunciando ad
occuparla, di fatto se ne disinteressano. L’arte è ferma a Duchamp, alla sua
geniale intuizione, quando mettendo una bicicletta sul podio disse: “questa è
un’opera d’arte per la sola intenzione dell’artista”. Ed in effetti tutto
dipende da come tu le guardi le cose. Gli oggetti di per sé sono atoni, siamo
noi a dar loro un significato e un’anima (“L’apparenza delle cose come vedi non
m’inganna/ preferisco le sorprese di quest’anima tiranna/ che trasforma coi
suoi trucchi la realtà che hai lì davanti / ma ti apre nuovi occhi”). Era nata
l’arte concettuale. Ma dopo Duchamp qualcuno ha pensato di essere artista
mettendo sul piedistallo un mongoloide, Biennale d’Arte di Venezia di qualche
anno fa, un orso disteso con fra le cosce un enorme cazzo istoriato o le vasche
di Jan Fabre. Per questo, credo, non si fan che scavi per trovare reperti
antichi, di cui soprattutto l’Italia è ricca, un po’ più validi, più concreti e
meno astratti. Per tornare ai film non è un caso che oggi dominino le ‘serie’
che si basano su un meccanismo psicologico elementare, quasi ipnotico come
certi giochi dalla capostipite Candy Crush ai suoi derivati o ultimo grido “i
gattini”. Che aiutano a dormire, cosa che non è di poco conto, ma certamente
non a riflettere. E non è nemmeno un caso che siano in ascesa i docufilm che
stanno gradualmente sovrapponendosi ai film. Senza profondità non ci può essere
creatività o, più probabilmente, questa si indirizza in campi che non hanno
nulla a che fare con l’arte, la poesia, la letteratura, ma piuttosto con la
produttività e gli algoritmi. Come scriveva Marcuse ne: L’uomo a una
dimensione: “Al di sotto della sua ovvia dinamica di superficie, questa società
è un sistema di vita completamente statico, che si tiene in moto da solo con la
sua produttività oppressiva”. E in questa calma piatta mi pare del tutto
improbabile, anzi impossibile, che possa rinascere un uomo che sappia unire al
genio poetico quello filosofico, in modo magico e quasi sconvolgente, come
Giacomo Leopardi ne “Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”.
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