Tratto da “Cosa serve per far felice un bambino?” di Claudia de Lillo – in arte
Elasti -, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 17
di novembre dell’anno 2012: Mio figlio maggiore ha 9 anni, lo sguardo
rotando e stupito, un sorriso un po’ sgangherato di denti da grandi e da latte,
una virilità acerba e spavalda, il profumo pungente e dolciastro dell’infanzia
nelle pieghe del collo, l’incanto di chi, contro la razionalità e le sue
lusinghe, si ostina a volere credere in Babbo Natale. Mio figlio maggiore oggi
è un bambino. E lo sarà ancora per qualche anno, ma non troppi. Mi sono
convinta, con il tempo e non solo, che la forma, il colore, e la forza delle
esperienze vissute da piccoli segnano, come nient’altro, la strada che percorreremo
da grandi, modellano la pasta di cui saremo fatti, ci proteggono come scudi
spaziali o ci inghiottono come buchi neri. Per la prima volta, qualche giorno
fa, osservando mio figlio che leggeva un fumetto sul divano, l’ho immaginato in
prossimità del limite di quella terra di fecondità, insidie e onnipotenza che è
l’infanzia. Abbiamo fatto abbastanza? Siamo riusciti a seminare tutto quello
che servirà. Quali ricordi, pensieri e suggestioni troverà, quando un giorno
guarderà indietro, al tempo in cui arrivava il topolino dei denti e tutto era
possibile? Mi sono resa conto con orrore che non lo abbiamo mai portato in
montagna in inverno, perché il pater familias barese detesta la neve, che
trascorriamo troppe domeniche in pigiama, dedicandoci a giochi demenziali
invece di fare istruttive gite fuori porta, che nessuno gli ha trasmesso una
passione sportiva o musicale, che non ha avuto un nonno in campagna che gli insegna
a guidare il trattore, e neppure un cane, o un gatto o un pesce rosso. Ho osservato
quel ragazzino spaparanzato sul divano, i piedi che penzolavano dal bracciolo,
una mano affondata dentro una selva di capelli ispidi, la noncuranza del
conquistatore. Ha l’infanzia che si merita? E, soprattutto, quali sono e dove
si prendono gli ingredienti di un'infanzia memorabile? Cerco risposte dentro e
fuori e mi imbatto in questa frase, trovata in un libro che si chiama Bambini e
basta, di Irene Bernardini: "Gli scorci di vita ordinaria, per noi grandi
possono rientrare nel minimalismo, nella poetica del dettaglio, per i bambini
sono i capitoli di un'epopea: il grande romanzo dell'infanzia". Quanto
valgono quella quotidianità spicciola che noi calpestiamo in corsa perché la
vita è altrove, quei trascurabili dettagli che ci scivolano addosso e che
invece loro raccolgono, uno a uno, con certosino puntiglio? È come quando
facciamo una passeggiata tutti insieme e io mi esaspero. Perché l'obiettivo di un bambino non è mai l'arrivo, la cima della
collina, la fermata dell'autobus, la casa dell'amico, come vorrebbe la mia
razionalità adulta. La meta, per lui, è solo un pretesto
e un mezzo. Lo scopo ultimo è la strada stessa, il sassolino tra i piedi,
il formicaio sul bordo del fosso, l'enorme verme arrotolato su una foglia, il
tombino che traballa, una pozzanghera melmosa. Nell'ambizione di tessere una
trama preziosa della loro infanzia, ci affanniamo a inseguire i nostri
personali modelli di eccellenza e a frustrarci sulle nostre incapacità di
aderirvi. Voliamo alto, contemplando un panorama indistinto, spesso imperfetto.
Mentre noi abbiamo bisogno del binocolo per guardare i loro sorrisi e i loro
bronci, i nostri bambini si godono il dettaglio di una formica che cammina
lungo il muro, di una scarpa slacciata, di una colazione frettolosa, di un
cioccolatino rubato dalla dispensa, del lettone usurpato con la scusa dei
brutti sogni. E capisco che forse la loro infanzia, per essere felice e piena,
può rinunciare alle lezioni di sci e di pianoforte, alla partita di calcio la
domenica, a un gatto che dorme sul calorifero, a un nonno sul trattore e a
tutte le altre macroscopiche mancanze familiari. Ma non può prescindere da noi,
nel qui e ora, e dalla nostra attenzione a quegli scorci ordinari che impongono
la loro e la nostra epopea.
"Tutti vogliono vivere in cima alla montagna, ma la felicità e la crescita si trovano nel cammino per scalarla".(Confucio). "Conta solo il cammino,perché solo lui è duraturo,e non lo scopo che risulta essere soltanto l'illusione del viaggio". (Antoine de Saint-Exupery). "Il senso della nostra vita è il cammino non la meta. Perché ogni risposta è fallace, ogni appagamento ci scivola tra le dita e la meta non è più tale appena è stata raggiunta".(Artlur Schnitzel)."La felicità è un percorso,non una destinazione". (Madre Teresa di Calcutta). "Sono una parte di tutto ciò che ho trovato sulla mia strada".(Lord Alfred Tennyson). Penso che i bambini siano nel giusto:"la meta è solo un pretesto e un mezzo". Ciò che conta veramente è la strada che si percorre,con tutti gli imprevisti piacevoli o problematici che inevitabilmente, durante il percorso si incontrano. Sicuramente la nostra identità di adulti è la conseguenza del cammino che abbiamo affrontato e delle conclusioni,anche parziali, cui siamo giunti, esaminando analiticamente le esperienze relative alle varie fasi della nostra vita. Grazie,Aldo, per la interessantissima e piacevole lettura di questo post,che mi ha regalato una proficua opportunità di riflessione. Buona continuazione.
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