Ha chiuso Michele Serra il Suo editoriale “Il candidato impossibile” – nella sua
interezza riportato nel post di ieri – con una apodittica affermazione: “Spiace
dover concludere che non siamo un Paese politicamente sano”. Di seguito,
tratto da “La corsa al Quirinale e
l’anno zero della politica” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” di ieri 8 di novembre 2021: (…), la società politica si prepara alla
volata decisiva per il vero traguardo finale, l'elezione del Presidente della
Repubblica che per sette anni guiderà un Paese stremato. Si arriva infatti a
questo appuntamento con il rinnovo del vertice istituzionale dopo due anni di
pandemia, lutti, angoscia, lockdown e sacrifici, che hanno lasciato uno
strascico di precarietà e d'incertezza. Per tutta la lunga fase acuta della
paura la politica disciplinare del governo ha trovato nei cittadini una
risposta positiva, nella subordinazione condivisa a uno stato di necessità. Con
la fine dell'emergenza più drammatica e l'arrivo del vaccino è cominciata l'era
della ribellione spacciata per libertà, come se il percorso ciclico del virus
non fosse più un problema e comunque le ragioni economiche dovessero prevalere
comunque sul dovere di tutela della salute. La situazione è quella che vediamo
ogni giorno. Il meccanismo produttivo rivela ancora una volta un'elasticità che
gli consente di ripartire e scalare le previsioni di crescita del Pil, ma il
meccanismo politico è imballato e arrugginito, incapace di trovare un vero
punto d'incontro in una lettura comune della crisi e di recuperare una sua
presenza incisiva e autonoma rispetto al governo, l'unico soggetto forte in
campo. Ma fino a quando si può vivere senza politica? Non tutto infatti è
tecnico, o risolvibile tecnicamente. L'arrivo di Draghi a Palazzo Chigi è
frutto di due circostanze particolari, l'avvio di un ciclo straordinario di
aiuti per l'emergenza Covid da parte della Ue e la fine di un ciclo politico
che aveva consumato le carte in mano ai partiti e le opzioni di governo disponibili.
Per forza di cose Draghi a quel punto suonava come scelta estrema e come
soluzione di garanzia dell'Italia all'Europa, nel momento in cui il nostro
Paese doveva impegnarsi a creare e rispettare le condizioni per rientrare nel
piano del Recovery. Ma anche un governo che nasce su questa base tecnica
d'emergenza, in democrazia ha bisogno della politica e non soltanto dei suoi
voti in parlamento, perché necessita comunque di valori di riferimento, oltre
gli obiettivi immediati, e di una rappresentanza costante degli interessi
legittimi, per sentire il polso della società e decidere la rotta. Tutto questo
è assente. La prassi sta ingoiando ogni teoria, manca nel parlamento e nel
Paese la tensione e lo sforzo culturale che annunciano le stagioni del cambiamento,
ogni cosa è provvisoria o estemporanea, la fase non ha neppure un nome che la
caratterizzi per portarla nei libri di storia. I partiti non hanno
capitalizzato questi mesi di delega tecnica per ritrovare un'autorità e
riprendere un ruolo, guidando il sistema mentre Draghi guida il governo. Anzi,
la vera scoperta è proprio questa: per la prima volta non c'è più un sistema. Gli
elementi che caratterizzano un sistema politico-istituzionale sembrano infatti
entrati in crisi tutti, e contemporaneamente: il territorio come base della
sovranità esercitata ai vari livelli, l'articolazione tra i poteri dello Stato,
la cultura costituzionale, la relazione tra società politica e società civile,
la coscienza dei diritti e delle libertà come patrimonio comune da custodire e
da sviluppare. Oggi i diritti legati alla persona sono elemento di divisione,
lo scambio tra i cittadini e i partiti è atrofizzato, il concerto tra i poteri
è stonato nel rapporto Stato-Regioni - come ha dimostrato la pandemia - e nel
confronto tra politica e magistratura, come conferma la cronaca quotidiana. In
più lo spazio europeo non è vissuto come casa comune e cornice collettiva, ma è
denunciato come usurpazione della sovranità nazionale. E anche se nessuno
attacca frontalmente la Costituzione cresce un sentimento politico favorevole
alla concezione illiberale della democrazia, che nega all'origine l'ispirazione
della Carta, senza neppure la necessità di contestarla. Ecco perché diventa
difficile capire cosa tiene insieme i soggetti politici, gli organi
istituzionali, i poteri dello Stato. È un passaggio da anno zero, forse il vero
avvio della Terza Repubblica dopo la prima, dei partiti, e la seconda dei
leader, all'insegna del maggioritario. Ora siamo davanti alla Repubblica dei supplenti,
in attesa che la politica ritrovi le ragioni per riprendere lo scettro. Il
risultato è un'altra fase dell'eterna transizione italiana, ma questa volta
senza un approdo definito e soprattutto senza una cultura politica come guida,
capace di indirizzare i fenomeni verso un orizzonte riconoscibile dentro un
disegno definito, com'è avvenuto nelle stagioni del centrismo, del
centrosinistra, dell'alternanza tra il berlusconismo e l'Ulivo prodiano, per
finire con il populismo: che non era una cultura e neanche una politica, ma la
ribellione ad entrambe, nel magico fuoco iconoclasta che ha bruciato ogni
autorità e ogni legittimità repubblicana, preparando le ceneri di oggi. Senza
un sistema, senza una cultura politico-istituzionale di riferimento comune, arriviamo
senza mappa all'appuntamento solenne del Quirinale, che può dunque riservare
sorprese: come la proposta del ministro leghista Giorgetti di insediare al
vertice della Repubblica insieme con Mario Draghi - candidato naturale e
certamente di equilibrio e di garanzia democratica - anche un
semipresidenzialismo "di fatto" che trasferisca al Quirinale il
comando esecutivo, ridimensionando il premier. Ovviamente il
semipresidenzialismo, come dimostra la Francia, non è un tabù, ma la Costituzione
va rispettata e se è il caso riformata, non aggirata strada facendo. E in ogni
caso tutto deve avvenire alla luce del sole, con una discussione aperta e con
il controllo della pubblica opinione, non come risultato estemporaneo di
circostanze casuali, incrociate con una presunzione dello spirito del tempo,
spacciato per moderna volontà generale. Lo spirito del tempo può avere torto,
soprattutto quando è sedotto da scorciatoie e semplificazioni, blindato
dall'emergenza permanente. Di tutto abbiamo bisogno, in questo paesaggio che
non è un insieme, meno che di una democrazia "di fatto". I partiti,
mentre Draghi governa, pensino a ricostruire il sistema preparando il ritorno
della politica: senza, è comunque vuoto il Palazzo del potere.
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