"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 9 novembre 2021

Notiziedalbelpaese. 40 «Cresce un sentimento politico favorevole alla concezione illiberale della democrazia».

 

Ha chiuso Michele Serra il Suo editoriale “Il candidato impossibile” – nella sua interezza riportato nel post di ieri – con una apodittica affermazione: “Spiace dover concludere che non siamo un Paese politicamente sano”. Di seguito, tratto da “La corsa al Quirinale e l’anno zero della politica” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 8 di novembre 2021: (…), la società politica si prepara alla volata decisiva per il vero traguardo finale, l'elezione del Presidente della Repubblica che per sette anni guiderà un Paese stremato. Si arriva infatti a questo appuntamento con il rinnovo del vertice istituzionale dopo due anni di pandemia, lutti, angoscia, lockdown e sacrifici, che hanno lasciato uno strascico di precarietà e d'incertezza. Per tutta la lunga fase acuta della paura la politica disciplinare del governo ha trovato nei cittadini una risposta positiva, nella subordinazione condivisa a uno stato di necessità. Con la fine dell'emergenza più drammatica e l'arrivo del vaccino è cominciata l'era della ribellione spacciata per libertà, come se il percorso ciclico del virus non fosse più un problema e comunque le ragioni economiche dovessero prevalere comunque sul dovere di tutela della salute. La situazione è quella che vediamo ogni giorno. Il meccanismo produttivo rivela ancora una volta un'elasticità che gli consente di ripartire e scalare le previsioni di crescita del Pil, ma il meccanismo politico è imballato e arrugginito, incapace di trovare un vero punto d'incontro in una lettura comune della crisi e di recuperare una sua presenza incisiva e autonoma rispetto al governo, l'unico soggetto forte in campo. Ma fino a quando si può vivere senza politica? Non tutto infatti è tecnico, o risolvibile tecnicamente. L'arrivo di Draghi a Palazzo Chigi è frutto di due circostanze particolari, l'avvio di un ciclo straordinario di aiuti per l'emergenza Covid da parte della Ue e la fine di un ciclo politico che aveva consumato le carte in mano ai partiti e le opzioni di governo disponibili. Per forza di cose Draghi a quel punto suonava come scelta estrema e come soluzione di garanzia dell'Italia all'Europa, nel momento in cui il nostro Paese doveva impegnarsi a creare e rispettare le condizioni per rientrare nel piano del Recovery. Ma anche un governo che nasce su questa base tecnica d'emergenza, in democrazia ha bisogno della politica e non soltanto dei suoi voti in parlamento, perché necessita comunque di valori di riferimento, oltre gli obiettivi immediati, e di una rappresentanza costante degli interessi legittimi, per sentire il polso della società e decidere la rotta. Tutto questo è assente. La prassi sta ingoiando ogni teoria, manca nel parlamento e nel Paese la tensione e lo sforzo culturale che annunciano le stagioni del cambiamento, ogni cosa è provvisoria o estemporanea, la fase non ha neppure un nome che la caratterizzi per portarla nei libri di storia. I partiti non hanno capitalizzato questi mesi di delega tecnica per ritrovare un'autorità e riprendere un ruolo, guidando il sistema mentre Draghi guida il governo. Anzi, la vera scoperta è proprio questa: per la prima volta non c'è più un sistema. Gli elementi che caratterizzano un sistema politico-istituzionale sembrano infatti entrati in crisi tutti, e contemporaneamente: il territorio come base della sovranità esercitata ai vari livelli, l'articolazione tra i poteri dello Stato, la cultura costituzionale, la relazione tra società politica e società civile, la coscienza dei diritti e delle libertà come patrimonio comune da custodire e da sviluppare. Oggi i diritti legati alla persona sono elemento di divisione, lo scambio tra i cittadini e i partiti è atrofizzato, il concerto tra i poteri è stonato nel rapporto Stato-Regioni - come ha dimostrato la pandemia - e nel confronto tra politica e magistratura, come conferma la cronaca quotidiana. In più lo spazio europeo non è vissuto come casa comune e cornice collettiva, ma è denunciato come usurpazione della sovranità nazionale. E anche se nessuno attacca frontalmente la Costituzione cresce un sentimento politico favorevole alla concezione illiberale della democrazia, che nega all'origine l'ispirazione della Carta, senza neppure la necessità di contestarla. Ecco perché diventa difficile capire cosa tiene insieme i soggetti politici, gli organi istituzionali, i poteri dello Stato. È un passaggio da anno zero, forse il vero avvio della Terza Repubblica dopo la prima, dei partiti, e la seconda dei leader, all'insegna del maggioritario. Ora siamo davanti alla Repubblica dei supplenti, in attesa che la politica ritrovi le ragioni per riprendere lo scettro. Il risultato è un'altra fase dell'eterna transizione italiana, ma questa volta senza un approdo definito e soprattutto senza una cultura politica come guida, capace di indirizzare i fenomeni verso un orizzonte riconoscibile dentro un disegno definito, com'è avvenuto nelle stagioni del centrismo, del centrosinistra, dell'alternanza tra il berlusconismo e l'Ulivo prodiano, per finire con il populismo: che non era una cultura e neanche una politica, ma la ribellione ad entrambe, nel magico fuoco iconoclasta che ha bruciato ogni autorità e ogni legittimità repubblicana, preparando le ceneri di oggi. Senza un sistema, senza una cultura politico-istituzionale di riferimento comune, arriviamo senza mappa all'appuntamento solenne del Quirinale, che può dunque riservare sorprese: come la proposta del ministro leghista Giorgetti di insediare al vertice della Repubblica insieme con Mario Draghi - candidato naturale e certamente di equilibrio e di garanzia democratica - anche un semipresidenzialismo "di fatto" che trasferisca al Quirinale il comando esecutivo, ridimensionando il premier. Ovviamente il semipresidenzialismo, come dimostra la Francia, non è un tabù, ma la Costituzione va rispettata e se è il caso riformata, non aggirata strada facendo. E in ogni caso tutto deve avvenire alla luce del sole, con una discussione aperta e con il controllo della pubblica opinione, non come risultato estemporaneo di circostanze casuali, incrociate con una presunzione dello spirito del tempo, spacciato per moderna volontà generale. Lo spirito del tempo può avere torto, soprattutto quando è sedotto da scorciatoie e semplificazioni, blindato dall'emergenza permanente. Di tutto abbiamo bisogno, in questo paesaggio che non è un insieme, meno che di una democrazia "di fatto". I partiti, mentre Draghi governa, pensino a ricostruire il sistema preparando il ritorno della politica: senza, è comunque vuoto il Palazzo del potere.

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