A lato. "Isola Tiberina, Roma", penna e acquerello (2021) di Anna Fiore.
Ha scritto Elasti il 18 di settembre 2021 – al tempo crudele della “pandemia” - in “Dev’esserci sempre una fragola, anche fuori stagione”, pubblicato sul settimanale “D”:
(…). La pandemia ci ha congelato. Dopo un
anno e mezzo faticoso, pieno di insidie e paura, fisso il QR code del mio green
pass, alternando sollievo e disincanto, incapace di credere che torneremo come
prima. Vorrei accontentarmi della consapevolezza che il peggio è passato e che
la strada è in discesa. Ma mi manca quella piena fiducia nelle sorti progressive
dell’umanità che avevo imparato da piccola. Con il Covid ho introiettato l’incertezza
oltre all’incancellabile epifania della nostra connaturata inesperienza. (…). Piano
piano riallacceremo i fili e smetteremo di sentirci nomadi, forse anche di
avere paura. Tratto da “Un
sorriso dalla finestra di fronte” di Claudia de Lillo – in arte Elasti –
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 2 di novembre
dell’anno 2013: Sono cresciuta in una casa sopra un negozio di valigie e una fermata
del tram che, quando passa, copre ogni rumore con il suo sferragliare. Sono nata
qui, in una via trafficata, senza alberi o panchine. Quel posto, in apparenza
anonimo, era il mio ombelico, la mia rete, il centro della mia orbita. No, non
era bello, ma la vivacità, la familiarità e l’accoglienza spesso sono più
rilevanti dell’estetica. Non so se fosse un’usanza dei tempi, una perversione
della giovane età o il portato di un’infanzia annoiata, ma passavo ore alla
finestra, regina al primo piano di un regno brulicante e caotico. Di fronte al
nostro, dall'altro lato della strada, c'era l'appartamento della signora Dalò,
che viveva affacciata al davanzale nonostante tre figli, un marito nerboruto e
un focolare da tener desto. Se i nostri sguardi si incrociavano, ci salutavamo
con la mano. A dieci anni ebbi un brutto incidente e rimasi immobilizzata al
letto alcuni mesi. Quando finalmente potei alzarmi, andai subito alla finestra.
Lei era lì. Sgranò gli occhi, se li stropicciò, scoppiò in una risata e applaudì.
Io agitai le mie stampelle, trionfante. Per poco non ruppi i faretti del
soggiorno. Ma quel giorno era speciale e la commozione della signora Dalò era
anche la mia. Sotto la finestra della mia amica, c'era un negozio di frutta e
verdura. Ci lavorava un ragazzino con mani grandi e ruvide, cresciuto troppo in
fretta. Enzo, si chiamava e ne ero innamorata. «Quando compi sedici anni ti
sposo», disse una volta. Tuttavia, quando quel compleanno arrivò, eravamo
distratti. Accanto a Enzo c'era un macellaio che aveva la voce di Toto Cutugno
e, mentre tagliava bistecche, cantava: «Sono un italiano, un italiano vero». Un
giorno il suo negozio non aprì. «Sequestro giudiziario», diceva un cartello. Di
lui non si seppe più nulla. C'era Antonia che vendeva lampadine, pile
elettriche e sveglie. Sembrava capitata lì per caso. «Una donna che ama le
donne», mi disse la signora-che-non-ride che era la panettiera dell'angolo e
faceva le focaccine quadrate di cui ho ancora il profumo nel naso. Antonia
divenne per me, bambina, un irresistibile mistero, ma poi si ammalò e il suo
negozio chiuse improvvisamente. C'era una famiglia di belli e ricchi, con un
cognome doppio. La leggenda narrava che la loro casa all'ultimo piano del
civico 12 avesse un terrazzo trasformato in zoo. Si davano molte arie. Poi la
primogenita, a 15 anni, ebbe un figlio. «Anche i ricchi piangono!», esclamò
Benito, il droghiere, che di figli ne aveva sei, maschi. Ci conoscevamo tutti,
in quel quartiere: il segaligno professore di greco e latino che viveva con la
sua madre in una casa piena di specchi e vocabolari, il tabaccaio tabagista,
Aginulfo il calzolaio che regalava i palloncini, il signore che aveva avuto
cento infarti e si diceva che di notte stesse sveglio ad ascoltare i canti
della Resistenza, l'ottico bello che ha spezzato mille cuori, Michela la
signora cinese che partoriva un bambino l'anno e il giorno dopo serviva ai
tavoli del suo ristorante napoletano. Sono nata lì, al
centro del mondo. Lì sono diventata grande. Ogni tanto ci torno. Moltissimo
è cambiato ma è ancora casa. Incontro Antonia che ora sta bene ma ha bisogno di
un bastone. Ha 80 anni e vive con la sua compagna. Chissà cosa direbbe la
signora-che-non-ride. Enzo ha chiuso. Al suo posto c'è un fruttivendolo del
Bangladesh con una bambina vestita da principessa che gioca con la Barbie tra
le patate e le cipolle. Benito ha venduto la drogheria, il signore dal cuore
ferito ma invincibile canta ancora Bella Ciao, Michela non partorisce più ma
continua a servire ai tavoli, di Aginulfo c'è il figlio, senza palloncini ma al
posto delle scarpe vende case. Mia mamma vive ancora lì. L'altro giorno mi sono
affacciata alla finestra. Ho scorto, di fronte, una testa bianca, gli stessi
ricci arruffati, una mano che faceva ciao. Era la signora Dalò. Da lì non si è
mai mossa.
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