Ha scritto Michele Serra in “Una confusione velenosa” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 15 di ottobre 2021: (…). Non c'è svolta autoritaria che non
prenda abbrivio dal caos. Si potrebbe dire che la democrazia è la capacità di
contenere il conflitto (che è tutta salute) entro limiti accettabili, e
soprattutto comprensibili. Ma nel momento in cui non capisci più se il portuale
No Vax si incazza perché è portuale o perché è No Vax, e se il capo ultras
devasta la Cgil perché è fascista o perché è laziale, diventa difficile perfino
leggere dentro il conflitto sociale. Lo sanno fare bene i sociologi, dovrebbero
farlo i politici, ma la cosiddetta "gente comune", alla quale ci si
appella con solenne encomio in ogni talkshow e comizio che si rispetti, è la
prima vittima di una confusione velenosa, dentro alla quale il malessere
sociale e il malanimo ideologico si scambiano continuamente il ruolo di causa
ed effetto. Il vero alleato di Nuovo Ordine Mondiale è Piccolo Disordine
Locale. Nel mezzo, a barcamenarsi, quel fragile diaframma che chiamiamo
democrazia. Nel contesto in cui siamo chiamati a vivere e che configura
una fuoriuscita dalla pandemia con assetti sociali nuovi e tutti da scoprire, è
demandata alla cosiddetta “gente comune” - per dirla con
Michele Serra - quella vigilanza e quella “sapienza” affinché la navicella
fragile della democrazia non vada a schiantarsi contro i duri scogli. Sono tempi
nei quali i “furbi” ed i “duri” affilano l’arme, fiutando i venti favorevoli
che spingono minacciosi nuvoloni forieri di inaspettate e non intraviste tempeste.
È da contesti simili che sono sempre venuti fuori i despoti di turno. Di seguito
tratto da “Il potere e la folla perché
Freud resta attuale” di Massimo Recalcati – psicoterapeuta lacaniano –
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 24 di novembre ultimo: (…).
La (…) tesi (…) è che la massa si costituisce a partire da una comune
identificazione verticale al capo situato nella posizione di Ideale dell’io. La
perdita del pensiero critico che questa identificazione idealizzante comporta è
compensata da rifugio identitario che essa assicura ai suoi membri. Lo scambio
appare conveniente: l’obbedienza assoluta al capo in cambio della sua
protezione. Freud, riprendendo in modo assolutamente originale le intuizioni
del reazionario Le Bon contenute in Psicologia delle folle (autore che Benito
Mussolini considerava centrale nella sua formazione), punta la sua attenzione
sulla “sete di obbedienza” che caratterizzerebbe la vita delle masse. Ma,
diversamente da Le Bon, per Freud la massa non si identifica alla figura del
gregge, ma a quella dell’orda. Di qui la centralità della figura del Duce, del
Führer, del leader in quanto incarnazione dell’Ideale dell’Io. «Se si prescinde
dal capo - scrive - la natura della massa risulta inafferrabile». Per questa
ragione il vero fondamento dell’identificazione della massa è la “nostalgia del
padre”. Il posto vuoto lasciato dal padre idealizzato dell’infanzia che si
offriva come scudo protettivo per la vita del figlio, deve essere riempito da
suoi surrogati. Per Freud è ciò che definisce l’inclinazione “devota” - profondamente
religiosa - della massa. La massa divinizza il proprio capo, lo eleva al rango
di un Ideale irraggiungibile. Per questa ragione la sua eventuale caduta
provoca la sua frammentazione. È la definizione clinica che Freud offre del
panico: c’è panico quando c’è «disgregazione della massa». Si disegna una
relazione circolare tra la perdita del padre e l’esperienza del panico. Il
riferimento di Freud è alla massa militare. Quando il vertice della massa viene
decapitato «non si dà più retta ad alcun ordine del superiore e che ognuno si
preoccupa soltanto per sé medesimo senza tener conto degli altri». I legami si
spezzano e si scatena una paura sconfinata e irragionevole. Per questa ragione,
secondo Freud, la massa non è affatto rivoluzionaria - come veniva teorizzato
proprio in quegli stessi anni da Lenin -, ma esprime una tendenza profondamente
conservatrice. È una delle tesi più scabrose (…): il
desiderio delle masse non è affatto sovversivo, ma fascista. Ma può
esistere un desiderio fascista? Non è forse il desiderio antagonista ad ogni
sistema autoritario? Il desiderio non vive nel nome della libertà? Non rigetta
ogni forma di vincolo? In realtà, secondo Freud la massa desidera di essere
dominata, vuole il padrone col bastone, è avida di autoritarismo, preferisce le
catene alla sua libertà. In primo piano è qui quella pulsione securitaria che è
riapparsa sulla scena dell’Occidente nell’ultimo decennio sotto le spoglie del
sovranismo nazionalista che rigetta paranoicamente ogni forma di differenza,
specie quella incarnata dagli immigrati vissuti come una minaccia per la vita.
L’apologia del muro che non cessa ancora oggi di essere evocata riflette
l’inclinazione fascista della pulsione che anima la massa. Ma non si tratta
secondo Freud di un semplice analfabetismo politico o di un barbaro
irrazionalismo, ma, appunto, di una tendenza pulsionale che definisce l’umano
in quanto tale: la difesa della propria vita finisce, paradossalmente, per contare
più della vita stessa. È l’origine del paradigma immunitario formulato negli
ultimi anni da autori come Jacques Derrida e Roberto Esposito: la strenua
difesa della propria salute identitaria può capovolgersi nel suo contrario;
l’ostinazione per la difesa della vita, anziché conservare la vita, può
distruggerla. Ma nel nostro tempo la massa non coltiva più alcuna passione
ideologica per l’Ideale. Lo sguardo invasato del Duce o del Fuhrer ha lasciato
il posto ad un vuoto di riferimenti che provoca una condizione permanente di
smarrimento. Non a caso dal punto di vista strettamente clinico l’attacco di
panico ha assunto ormai da tempo forme di diffusione epidemiche. Il sussulto
sovranista prova a radunare lo sciame ipermoderno attorno all’esaltazione del
confine, al culto dell’identità nazionale, alla difesa della propria terra. Si
tratta di una risposta regressiva e dal fiato corto che non tiene conto della
connessione sistemica che caratterizza il mondo contemporaneo. Tuttavia il
richiamo alla militarizzazione delle frontiere — come faceva notare già Freud
nella sua opera — denuncia il carattere indomito della spinta securitaria che
di fronte alla scelta tra la felicità e l’obbedienza sacrifica senza esitazioni
la prima alla seconda.
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