Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza –
“L'Occidente non è il mondo” –
pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 27 di agosto 2021: Dalle
tonnellate di parole lette e sentite sull’Afghanistan sono riuscito a trarre
questo succo: l’influenza cinese nell’Asia sud-occidentale, come quella russa e
turca, è in costante aumento, e una buona cartina geografica basta e avanza a
capire perché. Tutto il resto, compreso l’aspro dibattito nostrano tra
atlantisti e no, è solo il litigioso corollario di un fatto compiuto: l’America
non è più, e da tempo, il gendarme del mondo, e non vuole nemmeno esserlo;
l’Europa non ha il Dna per diventarlo; e dunque è inevitabile che nascano nuovi
assetti, nuovi equilibri e nuovi gendarmi non so (…) se più cinici o più
sprovveduti di quelli attuali. Il potere è diabolico o fa solo finta di esserlo
per darsi un tono? Magari, ecco, ci può essere d’aiuto verificare sul
mappamondo che dire “Occidente” non basta a dire “mondo”: c’è tanto altro, nel
mondo, e prima lo capiamo, meglio possiamo attrezzarci per il futuro. È troppo
banale dire che mi sento schierato con la democrazia, i valori occidentali e
bla bla, e che assisto con desolazione a questa ennesima avanzata del
fondamentalismo islamico. Il problema è che quel nemico (perché di nemico si
tratta, prima di tutto per i popoli che se lo ritrovano in casa e devono
soggiacere a quella brutale sottomissione) non si batte con i miliardi e
nemmeno con i bombardamenti aerei. In questo senso qualche traccia utile i
vent’anni dell’avventura europea in Afghanistan l’hanno lasciata. È legittimo
sperare che il Paese non possa tornare a essere quello che i talebani
vorrebbero. La collaborazione internazionale, il lavoro, lo studio, l’apertura
e la riapertura di scuole e università, il cambiamento di costumi e
l’emancipazione delle donne, piaccia o non piaccia agli islamisti tornati al
potere, sono cose che non si cancellano nemmeno con la repressione più brutale.
E sono cose afghane, sono pezzi di Afghanistan tanto quanto i talebani. Sul
terreno, dunque, non c’erano solamente le armi, non solamente cinismo e
presunzione, c’era anche lavoro, diplomazia, soccorso, e la delegazione
italiana ha dimostrato fino all’ultimo che “sul campo” non funzionano solo i
cingoli e gli stivali. Funzionano anche la pazienza, la generosità e la
solidarietà. Di seguito “Il
doppio smacco inflitto dai Talebani”, una “memoria” di Bernardo Valli
pubblicata sul settimanale “L’Espresso” del 22 di agosto 2021: I
Talebani (“studenti in teologia”) erano una formazione molto attiva ma non
tanto organizzata di musulmani radicali quando mi aggiravo in territorio
pakistano, al confine con l’Afghanistan negli anni Ottanta. Mohammed Omar,
indicato come il loro fondatore, li avrebbe battezzati e rafforzati durante la
guerriglia contro i russi. I quali erano sul piede di partenza dopo dieci anni
di occupazione e quando non si profilava ancora la guerra americana, cominciata
nel 2001 come reazione all’ attentato alle torri gemelle di New York. Nel
frattempo, i Talebani si erano rafforzati al punto da poter governare gran
parte del Paese, dopo essersi distinti dagli altri gruppi di resistenza
impegnati contro gli invasori sovietici. Erano accampati alla frontiera afghana
che superavano per andare ad alimentare la guerriglia antisovietica. Era facile
distinguerli dagli altri gruppi di resistenti. Erano più disciplinati e
diffidenti con gli estranei. Una volta individuati, sia pure ancora senza nome,
avevano un’identità in quella striscia di confine. Il contatto si rivelava più
facile del previsto. Erano guerriglieri, terroristi, con una propensione alla
diplomazia spiccia. Che usavano con me, giornalista straniero maschio, ma non per
la giornalista francese, femmina, mia compagna di lavoro. A lei i futuri
Talebani non rivolgevano mai la parola. Neppure uno sguardo. Un’occhiata a una
femmina era come una bestemmia. Le femmine non meritavano attenzione quando
erano in pubblico. Bisognava comportarsi come se non esistessero. Entrambi, la
mia collega e io, sapevamo che nelle zone controllate dai Talebani, allora
piccole isole nel cuore dell’Afghanistan, era proibito alle ragazze di
frequentare le scuole. Erano confinate in casa, dove non venivano loro
risparmiate severe punizioni, anche corporali, se ascoltavano musica o
indossavano abiti che non le coprivano abbastanza. Ma in quel momento, negli
anni Ottanta, non pensavo al loro fanatismo. Se ne parlava senza darvi troppa
importanza. Contava l’aperto aiuto del Pakistan ai Talebani. Continuato fino ai
nostri giorni. Gli americani, da amici nascosti, sarebbero diventati occupanti,
i nuovi invasori. La loro, era un’altra superpotenza destinata a perdere un
conflitto con un Paese del Terzo Mondo, un tempo praticamente amico, se non
alleato, perché nemico dei propri nemici. L’alleanza con quei musulmani
radicali, ancora impegnati nella lotta contro i sovietici, cercava di essere
clandestina. Non era troppo sbandierata ma decisiva perché avrebbe contribuito
in seguito alla sconfitta dell’Armata rossa, al ritiro dall’ Afghanistan della
potenza comunista, nonostante disponesse nel paese di alleati anche ideologici.
Un’umiliazione politica e militare dell’Urss che fu una delle cause, tra le tante,
della sua dissoluzione. Ricordo quel primo contatto con i Talebani, dei quali
allora conoscevo ben poco. Mi colpì il loro rigido atteggiamento nei confronti
della cronista francese che cercava invano di incrociare il loro sguardo. Sono
regole che si sono poi allentate in molte regioni, ormai tutte in mano ai
Talebani, diventati la forza militare senza veri rivali nel Paese. Anche negli
anni americani, durante i soggiorni in Afghanistan, ho avuto contatti con loro,
senza che i miei interlocutori dichiarassero la loro affiliazione. Gli
americani se ne sono andati, gli ultimi se ne stanno andando. Uno pensa al Viet
Nam. I musulmani di stampo radicale sono diventati una potenza della regione.
Hanno rapporti con i Paesi vicini, l’Iran e naturalmente il Pakistan. Ma anche
con la Cina e con la Russia un tempo nemica. L’Afghanistan, mosaico di gruppi
etnici, ha sconfitto, ha costretto a ritirarsi dal suo territorio le più grandi
potenze. Nell’epoca coloniale annientarono una colonna britannica che cercava
di inoltrarsi nel Paese per assumerne il controllo. Poi nel 1979 è intervenuta
l’Unione Sovietica che ha rimpatriato i suoi soldati dopo avere tentato di
aiutare invano gli alleati afghani per dieci anni. Gli americani hanno
resistito di più: dal 2001 al 2021. In questi giorni i Talebani stanno
estendendo il loro potere all’intero Afghanistan. Una terra tra le più povere,
tra le più arretrate, ha messo alla porta due tra le nazioni più armate del
pianeta. L’Unione sovietica, anche in seguito al fallimento afghano, ha
smarrito la sua rivoluzione, ed è ritornata a essere la Russia. E gli Stati
Uniti sono in un questo momento castigati. Sono prudenti poiché lasciano di
gran fretta il campo in cui erano impegnati. I loro alleati afghani (300mila
negli effettivi ufficiali) esibivano cifre false. Molti battaglioni che
esistevano sulla carta ricevevano aiuti americani senza avere un solo soldato.
Nessun commento:
Posta un commento