"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 14 settembre 2021

Paginedaleggere. 47 Bernardo Valli: «Ricordo quel primo contatto con i Talebani, dei quali allora conoscevo ben poco».

 

Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza – “L'Occidente non è il mondo” – pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 27 di agosto 2021: Dalle tonnellate di parole lette e sentite sull’Afghanistan sono riuscito a trarre questo succo: l’influenza cinese nell’Asia sud-occidentale, come quella russa e turca, è in costante aumento, e una buona cartina geografica basta e avanza a capire perché. Tutto il resto, compreso l’aspro dibattito nostrano tra atlantisti e no, è solo il litigioso corollario di un fatto compiuto: l’America non è più, e da tempo, il gendarme del mondo, e non vuole nemmeno esserlo; l’Europa non ha il Dna per diventarlo; e dunque è inevitabile che nascano nuovi assetti, nuovi equilibri e nuovi gendarmi non so (…) se più cinici o più sprovveduti di quelli attuali. Il potere è diabolico o fa solo finta di esserlo per darsi un tono? Magari, ecco, ci può essere d’aiuto verificare sul mappamondo che dire “Occidente” non basta a dire “mondo”: c’è tanto altro, nel mondo, e prima lo capiamo, meglio possiamo attrezzarci per il futuro. È troppo banale dire che mi sento schierato con la democrazia, i valori occidentali e bla bla, e che assisto con desolazione a questa ennesima avanzata del fondamentalismo islamico. Il problema è che quel nemico (perché di nemico si tratta, prima di tutto per i popoli che se lo ritrovano in casa e devono soggiacere a quella brutale sottomissione) non si batte con i miliardi e nemmeno con i bombardamenti aerei. In questo senso qualche traccia utile i vent’anni dell’avventura europea in Afghanistan l’hanno lasciata. È legittimo sperare che il Paese non possa tornare a essere quello che i talebani vorrebbero. La collaborazione internazionale, il lavoro, lo studio, l’apertura e la riapertura di scuole e università, il cambiamento di costumi e l’emancipazione delle donne, piaccia o non piaccia agli islamisti tornati al potere, sono cose che non si cancellano nemmeno con la repressione più brutale. E sono cose afghane, sono pezzi di Afghanistan tanto quanto i talebani. Sul terreno, dunque, non c’erano solamente le armi, non solamente cinismo e presunzione, c’era anche lavoro, diplomazia, soccorso, e la delegazione italiana ha dimostrato fino all’ultimo che “sul campo” non funzionano solo i cingoli e gli stivali. Funzionano anche la pazienza, la generosità e la solidarietà. Di seguito “Il doppio smacco inflitto dai Talebani”, una “memoria” di Bernardo Valli pubblicata sul settimanale “L’Espresso” del 22 di agosto 2021: I Talebani (“studenti in teologia”) erano una formazione molto attiva ma non tanto organizzata di musulmani radicali quando mi aggiravo in territorio pakistano, al confine con l’Afghanistan negli anni Ottanta. Mohammed Omar, indicato come il loro fondatore, li avrebbe battezzati e rafforzati durante la guerriglia contro i russi. I quali erano sul piede di partenza dopo dieci anni di occupazione e quando non si profilava ancora la guerra americana, cominciata nel 2001 come reazione all’ attentato alle torri gemelle di New York. Nel frattempo, i Talebani si erano rafforzati al punto da poter governare gran parte del Paese, dopo essersi distinti dagli altri gruppi di resistenza impegnati contro gli invasori sovietici. Erano accampati alla frontiera afghana che superavano per andare ad alimentare la guerriglia antisovietica. Era facile distinguerli dagli altri gruppi di resistenti. Erano più disciplinati e diffidenti con gli estranei. Una volta individuati, sia pure ancora senza nome, avevano un’identità in quella striscia di confine. Il contatto si rivelava più facile del previsto. Erano guerriglieri, terroristi, con una propensione alla diplomazia spiccia. Che usavano con me, giornalista straniero maschio, ma non per la giornalista francese, femmina, mia compagna di lavoro. A lei i futuri Talebani non rivolgevano mai la parola. Neppure uno sguardo. Un’occhiata a una femmina era come una bestemmia. Le femmine non meritavano attenzione quando erano in pubblico. Bisognava comportarsi come se non esistessero. Entrambi, la mia collega e io, sapevamo che nelle zone controllate dai Talebani, allora piccole isole nel cuore dell’Afghanistan, era proibito alle ragazze di frequentare le scuole. Erano confinate in casa, dove non venivano loro risparmiate severe punizioni, anche corporali, se ascoltavano musica o indossavano abiti che non le coprivano abbastanza. Ma in quel momento, negli anni Ottanta, non pensavo al loro fanatismo. Se ne parlava senza darvi troppa importanza. Contava l’aperto aiuto del Pakistan ai Talebani. Continuato fino ai nostri giorni. Gli americani, da amici nascosti, sarebbero diventati occupanti, i nuovi invasori. La loro, era un’altra superpotenza destinata a perdere un conflitto con un Paese del Terzo Mondo, un tempo praticamente amico, se non alleato, perché nemico dei propri nemici. L’alleanza con quei musulmani radicali, ancora impegnati nella lotta contro i sovietici, cercava di essere clandestina. Non era troppo sbandierata ma decisiva perché avrebbe contribuito in seguito alla sconfitta dell’Armata rossa, al ritiro dall’ Afghanistan della potenza comunista, nonostante disponesse nel paese di alleati anche ideologici. Un’umiliazione politica e militare dell’Urss che fu una delle cause, tra le tante, della sua dissoluzione. Ricordo quel primo contatto con i Talebani, dei quali allora conoscevo ben poco. Mi colpì il loro rigido atteggiamento nei confronti della cronista francese che cercava invano di incrociare il loro sguardo. Sono regole che si sono poi allentate in molte regioni, ormai tutte in mano ai Talebani, diventati la forza militare senza veri rivali nel Paese. Anche negli anni americani, durante i soggiorni in Afghanistan, ho avuto contatti con loro, senza che i miei interlocutori dichiarassero la loro affiliazione. Gli americani se ne sono andati, gli ultimi se ne stanno andando. Uno pensa al Viet Nam. I musulmani di stampo radicale sono diventati una potenza della regione. Hanno rapporti con i Paesi vicini, l’Iran e naturalmente il Pakistan. Ma anche con la Cina e con la Russia un tempo nemica. L’Afghanistan, mosaico di gruppi etnici, ha sconfitto, ha costretto a ritirarsi dal suo territorio le più grandi potenze. Nell’epoca coloniale annientarono una colonna britannica che cercava di inoltrarsi nel Paese per assumerne il controllo. Poi nel 1979 è intervenuta l’Unione Sovietica che ha rimpatriato i suoi soldati dopo avere tentato di aiutare invano gli alleati afghani per dieci anni. Gli americani hanno resistito di più: dal 2001 al 2021. In questi giorni i Talebani stanno estendendo il loro potere all’intero Afghanistan. Una terra tra le più povere, tra le più arretrate, ha messo alla porta due tra le nazioni più armate del pianeta. L’Unione sovietica, anche in seguito al fallimento afghano, ha smarrito la sua rivoluzione, ed è ritornata a essere la Russia. E gli Stati Uniti sono in un questo momento castigati. Sono prudenti poiché lasciano di gran fretta il campo in cui erano impegnati. I loro alleati afghani (300mila negli effettivi ufficiali) esibivano cifre false. Molti battaglioni che esistevano sulla carta ricevevano aiuti americani senza avere un solo soldato.

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