Tratto da “Non
si ride mai da soli. Perché il riso ha senso solo nello scambio” di Umberto
Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 9
di settembre dell’anno 2017: Una risata può dire più verità di quanto non
facciano le parole. E liberarci in un istante da ogni codice istituzionale. Senza
dubbio Ridere è una cosa seria (Mondadori), come si intitola un libro della
psicologa Donata Francescato, se è vero che anche il più serio degli antichi
saperi, la filosofia, venne accolta con Talete (suo primo rappresentante), dal
riso di una servetta trace, la quale, riferisce Platone nel Teeteto: «Scoppiò
in una risata nel vedere il filosofo cadere in un pozzo, affaccendato com'era a
conoscere le cose del cielo, senza accorgersi delle cose che aveva davanti e
tra i piedi». L'uomo, questo animale che, come dicevano gli antichi Greci, ha
il linguaggio già intorno al secondo-terzo mese di vita, prima ancora di
parlare, sorride nel percepire qualcosa del mondo esterno. Di solito è un volto
umano, quello della madre, con cui il bambino istituisce una prima relazione
preferenziale. Questo sorriso non può essere ancora letto come espressione di
un fatto emotivo, ma a poco a poco, grazie al rinforzo positivo che riceve
prima dalla madre e poi, crescendo, dal mondo, acquista un significato sociale,
traducendosi da automatismo a espressione intenzionale di uno stato affettivo.
Fino a giungere, dopo una lunga elaborazione, alle modulazioni di risposte
affettive di vario grado, secondo quella gamma sconfinata di significati che
vanno dal compiacimento alla soddisfazione, dal sarcasmo all'ironia e al
disprezzo. Freud scrive: «I miei pazienti ridono quando sono sul punto di
scoprire qualcosa d'inconscio». Qui il riso svolge una funzione difensiva dal
timore di scoprire chissà quale verità sconvolgente o vergognosa. Ma se l'Io
ride dell'inconscio per difendersi dal timore che da quell'abisso scaturisca
una verità che non vuole riconoscere, quando è l'Io a essere eccessivamente
spaventato da qualcosa di reale che gli appare come una sciagura irreparabile,
a consolarlo interviene il suo Super-io che, dice Freud, proprio come
rappresentante dell'istanza genitoriale, tratta l'Io come un bambino, a cui
mostra l'irrilevanza dei suoi tormenti, sorridendone e offrendogli una
consolazione e una difesa dal dolore, come se gli dicesse: «Guarda, così è il
mondo che sembra tanto pericoloso. Un gioco infantile, buono appunto per
scherzarci su!». Mi pare, (…), che (si) condivida questa tesi di Freud,
ma io (…) ne propongo una ancora più radicale, che prende le mosse da Aristotele:
il riso scaturisce dall'aspetto comico che deriva dall'irragionevolezza o
dall'inconseguenza logica di chi sta parlando con noi con una serie di
argomentazioni che non approdano a nulla. Su questo tema del nulla ritorna
Kant, che coglie nel riso «il piacere per un pensiero che in fondo non
rappresenta nulla». E sulla traccia di Kant incontriamo Jean Baudrillard per il
quale il riso ha luogo là dove si assiste al dissolversi di ogni senso e
all'implosione di ogni significato, per cui: «Là dove c'era qualcosa, non c'è
più niente. Là dove c'era una finalità oppure un valore, non c'è più niente. Il
godimento e il riso che lo esprime attestano l'emorragia del valore,
dell'imperativo morale, dei codici istituzionali (situazioni, ruoli, persone
sociali), persino lo stesso principio d'identità delle parole, e del soggetto,
si annulla nel riso. Per niente. Non per esprimere un inconscio, come riteneva
Freud» (1976, p. 245). Il piacere della battuta, del motto di spirito è, per
Baudrillard, il piacere dell'ambivalenza dei significati che entrano in
cortocircuito tra loro, annullandosi. Qui il "senso" non ha presa,
scambiandosi col "doppio senso", dove nulla si risparmia, ma tutto si
disperde nel riso come in un attimo di liberazione. Non si ride mai da soli,
perché il riso non ha senso se non nello scambio, che ha tutto il carattere
dello scambio simbolico, non ultimo l'obbligatorietà. Serbare per sé una
barzelletta è assurdo, così come non ridere è offensivo, infrange le leggi
sottili dello scambio, dove è ribadito il tratto tipico dell'uomo che anche nel
riso ribadisce la sua natura di animale sociale.
Nessun commento:
Posta un commento