Ha scritto Michele Serra in una Sua corrispondenza -
“Parlare in nome di Dio” –
pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 17 di settembre 2021:
(…).
Ho seguito distrattamente la disputa sulla Torah, le questioni teologiche non
mi appassionano, forse è un mio limite. Le religioni sono un gigantesco lascito
culturale, un monumento alla storia umana, ma hanno il tragico difetto di
presumersi “verità rivelata”, parola di Dio, Verbo, essendo una costruzione
degli uomini. Dice il parroco di Bonassola, don Giulio, che le religioni sono
“acquisizioni provvisorie”, mi pare una definizione magistrale. Chissà che
anche questo Papa, in cuor suo, non pensi la stessa cosa, e cioè che la religione è domande e non risposte, ricerca e non
certezza, umiltà e non arroganza; ma non possa dirlo perché ha già
abbastanza grane “politiche” con i conservatori, e sa che “storicizzare” il
Libro potrebbe distruggere la Chiesa. Certo sarebbe migliore un mondo nel quale
Bibbia, Torah e Corano fossero solo libri, e non il Libro, e nessuno osi mai
più parlare nel nome del Vero Dio, arrogandosi il potere di rappresentarlo. Ma
non credo che lo vedremo, se non in tempi lunghissimi. La paura, la solitudine,
la soggezione al dolore e alla malattia rendono gli uomini fragili. Le grandi
religioni, nei millenni, hanno al tempo stesso assoggettato e sorretto gli esseri
umani. Li hanno fatti sentire parte di grandi comunità. Hanno organizzato
eserciti, indetto crociate, invaso e sottomesso continenti, ma anche
organizzato assistenza, ordini monastici, ospedali, centri culturali. Io sto
con Giordano Bruno e con Baruk Spinoza, ma la libertà di pensiero, ahimé, è un
lusso per avanguardie: le masse si affidano, da sempre, a criteri più facili e
rassicuranti, che in cambio dell’obbedienza ti liberano dal peso del dubbio.
Piuttosto, è dalla questione maschio/femmina, (…), che possiamo aspettarci (non
noi, i posteri) novità molto rilevanti. Le tre religioni di Abramo sono
costruzioni patriarcali. Non ci sarebbe patriarcato senza di loro, non ci
sarebbero loro senza patriarcato. L’idea che la donna non appartenga più
all’uomo e si autodetermini, o possa esercitare il potere alla stessa maniera
dei maschi, figliare con chi lei vuole, o non figliare affatto, viene vissuta
con vero e proprio terrore soprattutto dall’Islam. In maniera più articolata
dal Cristianesimo, molto più avanti nella sua emancipazione anche perché lo
sono le società nelle quali è la religione egemone. (…). Ho rinvenuto, sull’ardua
“questione”, questo scritto di Eugenio Scalfari – “San Pietro era sposato ma seguì Gesù e lasciò a casa la moglie” -
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 21 di settembre dell’anno 2014,
un settennio addietro: (…). …in verità non esiste alcuna parola
scritta da Gesù. Direttamente di Gesù non si sa assolutamente nulla. Si
conoscono perché lo raccontano i Vangeli, soltanto quattro dei molti esistenti
accettati e ufficializzati e diffusi dalla Chiesa. Ma non sfugge a nessuno che
dei quattro evangelisti, tre non conobbero Gesù, non lo videro e non
l'ascoltarono mai. Scrissero i loro testi tra i 50 e i 60 anni dopo la sua
morte che avvenne - secondo gli Atti degli Apostoli - tre anni dopo l'inizio
della predicazione quando il Signore aveva trentatré anni. Il quarto
evangelista, Giovanni, scrisse il suo Vangelo tra i 60 e i 70 anni dalla morte
del Maestro. E poiché quando Gesù morì l'apostolo Giovanni non poteva certo
avere meno di vent'anni, la scrittura del suo Vangelo sarebbe stata fatta da
una persona più che ottantenne. In realtà è molto dubbio che l'autore sia
l'apostolo. Comunque gli altri tre raccontano la vita del Signore con fonti di
seconda o di terza mano. I loro Vangeli non sono ovviamente fotocopia l'uno
dell'altro e differiscono non solo nello stile ma anche in molti fatti e
soprattutto nulla ci dicono sui trent'anni che Gesù trascorse nella casa natale
con i suoi genitori e fratelli. Di quei trent'anni nulla sappiamo, né di
seconda né di terza mano. Ricordo questa situazione, che del resto è nota a
tutti, perché affermare con certezza che Gesù disse, pensò, sentenziò, rispose,
è del tutto arbitrario. Noi conosciamo quattro racconti di Marco, Matteo, Luca,
Giovanni (della cui identità poco sappiamo), ciascuno con le sue fonti e la sua
interpretazione. Sappiamo anche un'altra cosa: Paolo di Tarso non era un
apostolo di quelli che seguirono il Maestro e poi continuarono a diffondere la
sua dottrina dopo la sua morte e la sua resurrezione. Paolo non conobbe mai
Gesù, gli apparve la sua figura nella mente dopo la caduta da cavallo
nell'incidente che gli capitò sulla via di Damasco e il trauma che ne ebbe. Ma
Paolo non solo si proclamò uno degli apostoli al pari degli altri, ma scavalcò
gli altri con la sua facondia e la lucida acutezza dei suoi pensieri. In
realtà, come tutta la patristica riconobbe e la Chiesa tuttora riconosce, fu
lui il vero fondatore della nuova religione e non soltanto per le norme
comportamentali e spirituali che si desumono dalle sue molteplici lettere alle
varie comunità cristiane nel frattempo sorte, ma soprattutto per la pressione
che esercitò sulla comunità di Gerusalemme guidata allora da Pietro e da
Giacomo (fratello o cugino di Gesù) che era allora la più importante delle
poche comunità esistenti. Quando Paolo, dopo la caduta sulla via di Damasco, si
proclamò apostolo e fu dagli altri accettato come tale, esisteva di fatto
quella sola comunità. Essa era considerata da Pietro e da Giacomo come una
comunità ebraico-cristiana. In sostanza, come una variante dell'ebraismo.
Esistevano molte comunità ebraiche i cui principi differivano molto tra loro e
rispetto al Sinedrio che amministrava il Tempio e applicava la legge. La
variante cristiana era dunque secondo Pietro e Giacomo una di quelle. Gesù del
resto nacque ebreo e tale rimase, sia pure - a detta degli evangelisti -
introducendo nella legge ebraica delle varianti a dir poco rivoluzionarie.
Paolo però voleva che la nuova religione uscisse da Gerusalemme e si
diffondesse nel mondo, a cominciare dalla costiera mediterranea e naturalmente
da Roma, capitale dell'Impero. Roma, proprio perché Impero che regnava su molte
genti, non era affatto intollerante con le religioni e gli dèi che i suoi
sudditi adoravano. Purché tutte le genti dell'Impero riconoscessero gli dèi
romani e li trattassero con rispetto. Per il resto adorassero pure i loro dèi,
aprissero templi e celebrassero i rispettivi culti. (…).
"Non credo di immaginare un Dio. Mi basta guardare con stupore e ammirazione la struttura del mondo, per quanto essa si lascia cogliere dai nostri sensi inadeguati".(A.Einstein). "Credo nel Dio di Spinoza che si rivela nell'armonia di tutto ciò che esiste, ma non in un Dio che si occupa del destino e delle azioni degli esseri umani". (A.Einstein). "Mi sento talmente immerso nell'umanità, talmente smarrito in un immenso universo, che non riesco più a commuovermi o a soffrire per la nascita o la morte di una creatura sola". (A. Einstein). "La condotta etica dell'uomo deve basarsi effettivamente sulla compassione, l'educazione e i legami sociali, senza ricorrere ad alcun principio religioso. Gli uomini sarebbero da compiangere se dovessero essere frenati dal timore di un castigo o dalla speranza di una ricompensa dopo la morte ". (A. Einstein). Grazie, Aldo,ho apprezzato moltissimo questo post così avvincente e prezioso che mi ha offerto una proficua opportunità di riflessioni. Buona continuazione.
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