Tratto da “Imparare a dirsi addio” di Giacomo Papi, pubblicato sul
settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” dell’8 di settembre dell’anno
2012: (…). …sono tante le persone che sembravano di passaggio, e invece hanno
contato. Gli incontri che la memoria sceglie. Una maestra innamorata e
distratta, un compagno di classe che non parlava a nessuno e una mattina ti ha
scelto per dire "ciao" con una voce nuova di zecca, una ragazza che
leggeva un libro in un parco con una gazza ladra sulla spalla, un tipo olandese
con cui hai parlato una notte d'agosto. Il mio amico del cortile. Passeggeri
dello stesso vagone, sapevi che non li avresti rivisti mai più. Perché c'era
questo, una volta, di malinconico e prezioso nel conoscere qualcuno: nonostante
le promesse, se un periodo finiva - quando cambiavi casa, terminavi un ciclo
scolastico o arrivava settembre - ci si perdeva di vista. Si rientrava nella
lontananza. Le relazioni parevano immerse nell'improbabilità: esclusa la
famiglia e gli amici più stretti, la naturale condizione umana sembrava
l'isolamento. L'estraneità. Non esser raggiungibili rafforzava però lo stupore di
essersi trovati, almeno una volta. Uno per ogni classe (quello che per anni si
sarebbe ostinato a organizzare rimpatriate) credeva davvero che ci si sarebbe
frequentati per sempre, ma lo si giudicava sentimentale e anacronistico. In
realtà, annunciava tempi nuovi. Per millenni dirsi addio è stato naturale, il
coronamento di ogni incontro. Le strade si incrociavano per dividersi quasi
sempre. Non è più così. Oggi non ci si perde di vista mai, la luce della
reperibilità avvolge ogni cosa, e ci abbaglia facendoci apparire tutti quanti
vicini. Per tenersi in contatto, appena ci si conosce, ci si scambia i
contatti. Una cerimonia inutile, che serve a esorcizzare la paura di cadere
nell'irrilevanza e nella distanza, il terrore di diventare invisibili e non
esser più cercati. Perché oggi basta sapere il nome - non l'indirizzo, la mail,
il telefono - per avere il contatto più sicuro. È il nostro nome sui social
network che permette di raggiungerci, fa sapere al mondo ciò che facciamo e
pensiamo, le persone e i luoghi che frequentiamo, ci mostra in foto ingrassati,
dimagriti, invecchiati, e quanto sono cresciuti i nostri bambini. Le proteste
in rete contro le strategie di Google e Facebook per abolire l'anonimato
rappresentano, in questo senso, l'estrema resistenza di un mondo che muore. Nel
nostro universo non c'è più ombra, stiamo tutti vicini sotto il sole, come in
una festa in spiaggia. È uno stato di prossimità forzata, sorridente, che ci
rassicura e riscalda ma si porta via molte cose, oltre agli addii. Per esempio
è sempre più raro poter chiedere come stai: quando incontri qualcuno che non
vedevi da tempo non sai più cosa dirgli, le novità le hai già lette su
Facebook. (…).
"Gli addii sono sempre tristi, ma, quando si tratta di persone speciali, dalle quali non ci si vorrebbe separare mai, sono impronunciabili".(Anonimo). "Mi sento molto fortunato di conoscere qualcuno a cui è così difficile dire addio". (Anonimo). "Gli addii sono solo per coloro che amano con i loro occhi. Perché per chi ama con il cuore e con l'anima non esiste la separazione".(Gialal al-Din Rumi). Carissimo Aldo, oltre al post, ho apprezzato molto la scelta dell'abbinamento allo stesso della famosa opera "Ettore e Andromaca" di Giorgio de Chirico, da cui traspare il dramma insito non solo nella partenza in sé di Ettore, ma anche nell'ultimo abbraccio consolatorio mai avvenuto tra i due, visto che sono rappresentati senza braccia. Il forte sentimentalismo di Omero è completamente assente e resta solo il senso di sospensione di un destino incombente e misterioso...Grazie e buona continuazione.
RispondiElimina"Non sempre basta dire addio a una persona per dimenticarla, se la porti nel cuore, il suo ricordo ti verrà a trovare sempre". (Vera Santoro).
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