"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 4 settembre 2021

Notiziedalbelpaese. 28 «La sede del dibattito? La politica ha smesso di esserlo da tempo».

Ha scritto Michele Serra in “Parlare con chi non vuole parlare” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 3 di settembre 2021: Bisogna parlare con i No Vax, scrive Vittorio Lingiardi, psicologo, perché bisogna parlare con chi vive nel disagio e nell'esclusione (…). È vero, è sacrosanto, ma è molto difficile. Perché "parlare", se si parla per davvero, presume una disponibilità all'ascolto già rara di suo, e da tempo in frantumi a causa dell'andamento molto poco dialettico dei social, fondati sull'assertività e la velocità. Ogni parola provax è imputata, a prescindere, di essere biforcuta, prezzolata. L'ultima volta che ci ho provato, dicendo a una persona non vaccinata che morti e ammalati gravi, in tutto il mondo, sono in grande maggioranza non vaccinati, mi ha risposto, impenetrabile: "Sono tutte bugie. Big Pharma si è comperata la scienza e il giornalismo al completo". Come proseguire la conversazione, con uno che ti dice: tu menti a prescindere, e io non ti credo a prescindere? Quale sarebbe, poi, la sede del dibattito? La politica ha smesso di esserlo da tempo. La sua prolissa chiacchiera congressuale e precongressuale, montagne di carta, ore di parole, ha lasciato il posto a spot sincopati, buoni per un triste tigì o un tweet puerile (tweet è parola puerile in sé), e le assemblee dove ci si scannava per ore, logomachie vinte o perse per sfinimento, sono solo memoria dei vecchi, inservibile per chi ha meno di sessant'anni. I giornali sono luoghi per pochi, e spesso così gregari dei social da non sapere più da che parte cominciare, per organizzare una discussione come si deve. I social sono l'arena perfetta per fare la conta delle fazioni, chi sta in mezzo non ha ascolto, non ha spazio, non ha futuro. E dunque? Provare, per la strada, a dire ad alta voce: "No Vax, ti voglio parlare?". E se poi quello non vuole parlare con me? Provengo da una “scuola” politico-ideologica che non esiste più. In quella “scuola” era d’ordine che si parlasse, che ci si confrontasse sulle idee e sui principi, ma quel “parlare”, quel “confrontarsi” aveva sempre un punto di arrivo. Accadeva quando il “segretario” tirava le fila di quei ragionamenti, quel tirar le fila che immancabilmente finiva così: “compagni, s’ha da fare”. Ed era un punto di non ritorno. Non accadeva mai che quei focherelli si riaccendessero per divampare poi. Una “scuola” di vita, quella, che non c’è più. Tratto da “Ma il muro contro muro è la strada sbagliata per disarmare chi dice no” di Vittorio Lingiardi, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 2 di settembre ultimo: (…). In molti si sono interrogati sulla “mente No Vax”. Difficile dire qualcosa di nuovo, ma la richiesta di un ulteriore contributo mi fa pensare che la “mente no-vax” sia un rompicapo che suscita interrogativi continui: com’è possibile che qualcuno possa negare l’evidenza di un intervento medico che ha salvato molte vite e drasticamente ridotto i contagi? A partire da alcune dinamiche psicologiche — gestione della paura, individuazione di un nemico, spostamento proiettivo delle fonti d’angoscia, sfiducia epistemica — provo a immaginare percorsi cognitivi ed emotivi che possono condurre ad anteporre il no alla parola vax. Nella mente No Vax una delle paure è che il vaccino non sia protezione ma veleno, farmaco dai pericolosi effetti collaterali. A un gradino successivo di esasperazione, la paura è che vaccinazioni obbligatorie o tutele Green Pass siano strategie di controllo sociale. Questo spiega l’altrimenti inspiegabile convergenza tra No Vax populisti e No Vax democratici. Alcune volte mi è capitato di cogliere, in quelli più intellettuali, un compiacimento per il proprio saper “dire di no”, un’idealizzazione antagonista tinta di individualismo, idealismo e purezza, un’aristocrazia di minoranza, dunque di eccellenza, con venature di esoterismo o anarco-irrazionalismo. Tutti questi - ismi mi fanno pensare a un’organizzazione ideologica del viscerale. Non a caso la neo bibbia No Vax si chiama Eresia e i cittadini diligenti e sensati che porgono il braccio al vaccino o mostrano il Green Pass sono percepiti come pecoroni. Da qui al formarsi di fazioni noi/voi, con le attribuzioni paranoidi del caso, il passo è breve. Non è un’invenzione di oggi: il movimento anti vaccinale nasce alla fine del 1800 e vignette dell’epoca rappresentano madri col pargolo in braccio inseguite da scheletri o serpenti chiamati “vaccination”. La pandemia ha aperto le finestre della nostra fragilità. La vulnerabilità del corpo, o la fantasia della sua vulnerabilità, sono un trigger per l’attivazione di meccanismi di difesa, più o meno adattivi, che molto influiscono sul nostro modo di esprimere le emozioni, promuovendo, per esempio, tolleranze depressive oppure reazioni aggressive. Alla paura si reagisce con la negazione, la proiezione, la scissione, difese che interferiscono con la capacità di tollerare stati di incertezza e impotenza e richiedono letture categoriche e polarizzate della realtà. Si vengono così a creare strutture cognitive che intaccano la “fiducia epistemica”, in questo caso la fiducia nell’autorevolezza di voci qualificate del consenso, grazie a Dio variegato, dell’informazione scientifica. Questi fenomeni sono purtroppo favoriti da certe spettacolarizzazioni divisive care ai media. Da favorire sarebbe invece il racconto di storie di “ripensamenti No Vax”, esperienze di vita che hanno portato a cambiare atteggiamento mentale. Utile sarebbe anche un’informazione con dati disaggregati, per esempio sul numero di decessi o complicazioni cliniche nei soggetti vaccinati e in quelli non vaccinati. Contrapporsi è un modo di incanalare la rabbia per le ingiustizie sociali o le difficoltà esistenziali che così trovano un’illusoria sede di elaborazione o almeno di evacuazione. La sfiducia nella possibilità di ricevere aiuto, considerazione e ascolto (peccato non poter contare sulla figura di uno/a “psicologo/a di base”) diventa sfiducia nelle istituzioni e nei saperi, considerati monopolio di pochi privilegiati normalizzatori. Questo passaggio salda ribellione sociale e svalutazione della scienza, generando una rivolta che può passare dagli ideali ai pugni. Un ruolo è probabilmente giocato anche da aspetti caratteriali di particolare reattività alle regole, bassa tolleranza alla frustrazione e in generale a ciò che viene percepito come riduzione della propria libertà. Che fare? Mi viene continuamente in mente una formula: promuovere il dialogo senza rinunciare alle regole. Ma la scelta di far rispettare le regole scatena ulteriori proteste. A ognuno il suo compito. Il mio è quello di studiare, ascoltare le ragioni degli altri, dialogare per ricomporre le fratture tra le parti (del mondo interno anche quando si affaccia all’esterno). Non invidio chi in questo momento ha il compito di far rispettare le regole. Anche se ciascuno di noi, nel suo piccolo, con l’esempio e nella vita di tutti i giorni, dovrebbe farlo.

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