Non ha avuto paura neanche di ammettere un fallimento. (…). La nostra è stata una generazione che di maestri ne ha incontrati ovunque, ma non è stata in grado di esprimerne. "Noi abbiamo avuto quelle figure davanti alle quali - è una celebre definizione di Sant'Agostino - non ti senti autorizzato a sederti: devi stare in piedi per reggerne la presenza. Per me lo è stato Franco Fortini. Oggi i ragazzi (…) ne hanno una fame insaziabile. (…). Perché il nostro non è un mondo senza qualità, in realtà di persone capaci ce ne sono tante: ma questi talenti restano isolati. E nel momento in cui non sono più isolati diventano capi carismatici. Ma i capi non hanno niente della postura magistrale".
Se ne ricava (…) un senso di inadeguatezza proprio di una generazione ridotta alla miseria politica o al silenzio. (…). Non siamo stati all'altezza dei padri. "(…). …è un momento storico molto particolare, drammaticamente teso tra due mondi che non riescono a separarsi ma neppure a fondersi. (…)".
L'interruzione nella trasmissione di valori e regole è avvenuta in ogni campo. Lei l'ha vissuto nel lavoro letterario. "Tra la fine degli anni Ottanta e il principio dei Novanta, gli scrittori italiani hanno voltato le spalle alla tradizione. I modelli di cui sono andati in cerca non appartenevano più alla storia letteraria ma alla musica rock. Il rischio però era quello segnalato da Domenico Starnone, che per primo ha avvertito il pericolo della "letteratura della restaurazione", di un ritorno a un ordine molto antico affidato a valori come l'autonomia dell'arte o a una visione settoriale della professione. Eccoci, siamo noi gli Scrittori, separati dal resto del mondo. Dalla settorialità discendono oggi anche molte autofiction di cui non sempre si apprezza l'esito".
E nell'editoria? Lei ha lavorato per vent'anni in via Andegari, in un rapporto molto stretto con Inge Feltrinelli. Oggi collabora con Mondadori. "Siamo diventati tutti più funzionali. Anche per l'editoria è tornato il criterio della settorialità. Si lavora magari con grande competenza, ma rinunciando a sentire dove soffiano i venti: evitiamo di confrontarci con le condizioni metereologiche del civile".
Lei una volta ha lamentato il passaggio dalla società letteraria alla società mediatica, costruita intorno a pochi nomi ricorrenti: in Tv, nelle case editrici, sui giornali. "Diciamo che l'orientamento d'impresa prevale ovunque, anche nel piccolo editore. Si è portati a fare scelte che facciano cassa. Ma posso testimoniare che si continua fare ricerca".
Il mondo culturale che lei conosce da vicino (…) in tutta la sua vacuità: ci sono i piagnoni di sinistra, i narcisi, gli inutili, gli opinionisti con la loro saggezza prêt-à-porter. "La tragedia dell'irrilevanza è una cifra del tempo. Il giudizio sull'egolatria degli intellettuali passa attraverso (…) una frase che ho sentito ripetere spesso: "Ho scritto una cosa che ti riguarda". Un'affermazione tremendamente ridicola. Ecco vorrei non dirla mai del mio Il miglior tempo".
Qual è il miglior tempo? "Insieme al tempo che riconosciamo come nostro ce n'è sempre un altro che ci è già stato dato e che impedisce alla storia di finire miseramente. Da qualche parte il miglior tempo esiste, non è tutto crollo e abbandoni. Bisogna mettersi su quella strada, con la stessa fiducia di Charlie Chaplin e Paulette Goddard nell'ultima scena di Tempi moderni".
Lei ha lavorato con grandi scrittori. Quali di questi l'hanno accompagnata nella nuova avventura narrativa? "Mi è stata vicina la voce di Amoz Oz, soprattutto quando racconta la storia di sua madre. E ho avvertito il magistero di Antonio Tabucchi, di cui ho conosciuto le fascinose bizze. Qualche volta mi mettevo in guardia: stai attento, questo l'ha già fatto lui".
L'editor riesce a esercitare la stessa sorveglianza critica anche su sé stesso scrittore? "Non sempre, ma succede. Ehi stai sbagliando, torna indietro: me lo sono ripetuto varie volte. (…)".
"L'educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l'arrivo di esseri nuovi, di giovani".(Hannah Arendt). "Da quando il passato non proietta più la sua luce sul futuro, la mente dell'uomo è costretta a vagare nelle tenebre". (Hannah Arendt). "Imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione, nel proprio essere mentale, della conoscenza acquisita in sapienza e l'incorporazione di questa sapienza per la propria vita".(Edgar Morin). "L'etica deve formarsi nelle menti a partire dalla coscienza che l'umano è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie".(Edgar Morin). "La cultura di massa è il riflesso pubblicitario dell'evoluzione consumistica del mondo occidentale". (Edgar Morin). "La concezione di felicità tipica della cultura di massa... può essere detta consumatrice nel senso più largo del termine, vale a dire che essa spinge non soltanto al consumo dei prodotti, ma al consumo della vita stessa".(Edgar Morin). "La felicità è davvero la religione dell'individuo moderno, illusoria come tutte le religioni. È una religione senza sacerdoti, che funziona industrialmente".(Edgar Morin). Grazie, Aldo, per questo post veramente molto interessante per diversi aspetti, ma, secondo me,molto prezioso, perché mette in risalto il legame tra vita e educazione, tanto necessario e, nella nostra scuola, tanto trascurato... Buona continuazione.
RispondiElimina