Tratto
da “Dopo saremo più solidali. Il mondo
nuovo ci piacerà”, intervista di Antonello Caporale al professor Marino Niola
– docente di “Antropologia culturale” presso l’Università degli Studi Suor
Orsola Benincasa di Napoli – pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 30 di
marzo 2020:
(…). “Nel dolore di questi giorni non avvertiamo quel che di buono succederà. E invece c’è tanto. Anzitutto la società digitale è divenuta una realtà. A una velocità pazzesca ci siamo impadroniti del computer, istituzioni impolverate e austere, penso all’università, alle burocrazie dello Stato, si sono trovate nella condizione di apprendere prestissimo un nuovo sistema di trasmissione delle conoscenze e delle competenze. In tempi di pace ci sarebbero voluti vent’anni; in tempo di guerra, perché siamo in guerra, sono bastati 20 giorni”.
(…). “Nel dolore di questi giorni non avvertiamo quel che di buono succederà. E invece c’è tanto. Anzitutto la società digitale è divenuta una realtà. A una velocità pazzesca ci siamo impadroniti del computer, istituzioni impolverate e austere, penso all’università, alle burocrazie dello Stato, si sono trovate nella condizione di apprendere prestissimo un nuovo sistema di trasmissione delle conoscenze e delle competenze. In tempi di pace ci sarebbero voluti vent’anni; in tempo di guerra, perché siamo in guerra, sono bastati 20 giorni”.
Il computer era il segno delle nuove solitudini, di un
mare sommerso che si affacciava al mondo odiandolo. “E invece le famiglie,
costrette a stare a casa, hanno scoperto il valore della comunità virtuale.
Questo virus ha smaterializzato la società, ha polverizzato la comunità
materiale. Il distanziamento sociale è la negazione del segno quotidiano della
nostra vita. Il divieto di abbracciarsi è contro la nostra natura di uomini e,
per noi italiani, anche di più. Grazie alla rete le nostre vite invece si sono
potute tenere in piedi. La rete, che ieri ci isolava e spesso da cittadini ci
trasformava in odiatori, ci collega, anzi ci unisce. È lo strumento che ci
permette di sentirci solidali, informati, vivi. Anche questa è una novità non
da poco. È perfino cambiata la nostra prossemica e l’emoticon è divenuto il suo
sostituto funzionale. Adoperiamo le faccette per dire e fare quel che non ci è
permesso: baciare, abbracciarci, piangere, sorridere, sfottere”.
Finirà questo tempo e tutto ritornerà come prima.
“Nulla sarà più come prima, ma il futuro che vedo dietro l’angolo di questa
disperante crisi ci renderà migliori, in una società più solidale”.
Perché dovremmo essere migliori se le nostre
condizioni economiche peggioreranno e tanti faranno naufragio? “Perché ogni
dopoguerra mette in circolo una vitalità sconosciuta. Abbia in testa una molla
e immagini di comprimerla. Oggi la nostra vita è compressa, è sotto vuoto, è
ferma. Domani, quando la pressione svanirà, quella molla ritornerà nella
posizione abituale, le energie si libereranno impetuose. Certamente saremo più
poveri, ma perché più infelici? Questa guerra ci impone un’altra scoperta:
riflettere e rivalutare le nostre abitudini. Eravamo piuttosto scontenti di
esse e non sapevamo porre rimedio. Domani saremo costretti invece a inventarci
un nuovo modello di stare al mondo”.
Il dopoguerra seppellisce la società più fragile.
“Questo sarà il lascito di un evento mai sperimentato prima e così
drammaticamente pauroso”.
Gli statistici indicano una platea di contagiati, la
linea plausibile del virus in circolo, in un numero dieci volte superiore a
quello delle cifre ufficiali. E i morti quadruplicheranno. “Non riesco a
valutare le cifre. La mia osservazione, e non credo che sia vittima di un
ottimismo sfrenato, mi induce a pensare a un domani comunque ricco di grandi
possibilità. È una ricchezza diversa da quella che immaginavamo, certo. Dovremo
regolare la nostra vita a un ritmo forse più basso, questo sì. Però resisto
nella mia considerazione: la società che uscirà da questa prova sarà piena di
vitalità e densa di talenti che avranno la possibilità di mostrarsi. E alcune
conquiste, che non riusciamo a cogliere del tutto, le stiamo già vivendo”.
Ne dica due, di queste conquiste. “Il tempo. Ci
mancava sempre tempo. Per i nostri piaceri e per i nostri doveri, per i figli o
per la cucina. Per la riflessione, per il sentimento. Riacquistare forzosamente
un tempo così lungo è per un verso traumatico, per un altro benedetto. Siamo
costretti a pensare alla nostra vita, e sicuramente a ripensarla. Soprattutto a
evitare gli errori della nostra vita precedente. È poco?”.
In tanti perderanno il lavoro. Le sembra niente? “Il lavoro
cambierà, muterà faccia. Potrei risponderle: è vero anche il contrario. Cioè in
tanti lo troveranno. Quel che non sappiamo è come sarà: il suo valore
economico, la sua qualità. Effettivamente, qui concordo, sono interrogativi di
non poco conto”.
La seconda conquista di cui facciamo fatica ad
accorgercene? “I figli hanno ritrovato casa. Stanno scoprendo cos’è una
famiglia, stanno parlando con i genitori. E i genitori stanno scoprendo cosa
vuol dire avere dei figli. Pensavamo che i nostri ragazzi non avessero altro
Dio che lo spritz, il pub, la piazza o internet. Invece, a quanto vedo e sento,
stanno apprezzando la casa”.
Tutte cose belle sotto il cielo però di questa grande
angoscia, questa grande paura. “La storia dell’uomo è fatta di angosciosi eventi,
la storia italiana ha conosciuto grandi e ripetute epidemie. Nulla di nuovo
sotto il cielo. Anche se è terribile dirlo”.
Lei vive a Napoli, e al Sud l’emergenza stringe ai
fianchi perché l’economia è più debole. “Napoli se la cava bene con lo stato
d’emergenza perché vi è abituata. E in genere il Sud è più propenso a fare
rete, a resistere salendo sulla scialuppa familiare. Abito in centro e qui non
ci sono i supermercati delle periferie. Ancora sono tanti e vivi i negozietti –
appunto la rete della prossimità – con una attitudine alla solidarietà che
altrove è perduta”.
Mi faccia un esempio. “Il mio fruttivendolo. Lo chiamo
e mi consegna la verdura e la frutta a casa. Gli ho chiesto di darmi l’Iban
bancario perché non vorrei privarmi del contante. Mi ha risposto: non si
preoccupi, quando tutto sarà finito mi pagherà. Non credo che da Esselunga sia
possibile. Davvero penso che sarà un mondo nuovo. E non è detto che non ci
piaccia”.
Carissimo Aldo, meravigliose queste affermazioni del Professor M. Niola. Sono messaggi di speranza, in cui credo fermamente e che mi auguro anche i nostri giovani possano condividere, assimilandoli, per farne i propri punti di riferimento e di forza. "Nulla sarà più come prima, ma il futuro che vedo dietro l'angolo di questa disperante crisi ci renderà migliori, in una società più solidale". Se tutto ciò accadrà e io voglio crederci, anzi penso proprio di esserne pienamente convinta, allora questa esperienza inattesa, sconvolgente, dura, avrà avuto veramente un senso, in quanto occasione di rinascita di Un Mondo Nuovo. "Dalle ceneri rinascerà un fuoco, l'ombra sprigionerà una scintilla, nuova sarà la lama, ora rotta, e re quel ch'è senza corona". (J.R.R.Tolkien, Il signore degli anelli). Grazie per la condivisione e buon lavoro. Agnese A.
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