"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 20 aprile 2020

Virusememorie. 12 Lettera a… Per una speranza di salvezza.


Carissimo ********,
avrai capito che dal momento in cui i nostri rapporti con la natura si allentavano sarebbe stato necessario cercare altre forme, altri mezzi per continuare a sfruttare ai nostri fini le limitate risorse di questo nostro pianeta.
Certo, sono stati anche altri problemi, come il problema della sovrappopolazione, che ci ha costretti a dare l’avvio ad un certo tipo di agricoltura onde poter sfamare tutti i miliardi di esseri umani. Ma nonostante tutto Sheila Sisulu - vice direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale – denuncia in “Il mondo mangiato dalla fame” - che “ieri 25.000 persone sono morte di fame. Altre 25.000 moriranno oggi, domani e dopodomani. Nonostante le grandi conquiste scientifiche e tecnologiche del 21esimo secolo, abbiamo fallito nel fermare il più antico e minaccioso killer. Oggi anno, c’è più gente che muore di fame o per cause ad essa collegate che di Aids, malaria e tubercolosi considerati assieme. In una settimana, ci sono più morti per fame delle vittime dello tsunami nell’Oceano Indiano. Circa 5 anni fa, i 191 Stati membri delle Nazioni Unite, si accordarono su otto obiettivi per aumentare lo sviluppo mondiale nel nuovo millennio. Il primo di questi obiettivi era di sradicare la povertà estrema e la fame. Più specificatamente, si prese l’impegno di ridurre della metà sia la proporzione delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno sia di chi soffre la fame. (…). Dall’inizio di questo secolo 4,5 milioni di persone sono morte per la fame o per cause ad essa collegate; di queste, oltre 3 milioni sono bambini. Ancora più scioccante il fatto che i numeri sono in ascesa, non in discesa. La cruda verità è che stiamo perdendo la lotta contro la fame dopo decenni di progressi. Se escludiamo la Cina, dove ci sono stati progressi negli ultimi anni, il numero degli affamati cronici nel mondo è aumentato di oltre 50 milioni da quando si è iniziato a parlare di obiettivi del millennio. Nello stesso tempo, il volume degli aiuti alimentari è sceso da 15 milioni di tonnellate nel 1999 a 10 milioni di tonnellate nel 2003 e la proporzione degli aiuti ufficiali allo sviluppo per l’agricoltura è scesa dal 12 per cento degli anni Ottanta all’attuale 6 per cento. Servono cambiamenti radicali se vogliamo rimettere le cose in marcia. Tutti noi, nella comunità umanitaria, sappiamo che gli «Obiettivi di Sviluppo del Millennio» possono ancora essere realizzati entro il 2015 ma serve la volontà politica. Non si tratta semplicemente che i donatori mettano mano al portafoglio con più generosità e che i Paesi più ricchi modifichino le pratiche commerciali più penalizzanti o alleggeriscano il debito, seppure sappiamo che queste sono misure importanti. Questo tipo di sostegno economico si deve combinare con azioni dei Paesi in via di sviluppo tra cui una migliore pianificazione economica, più investimenti nel settore alimentare e una migliore capacità di governo. Le soluzioni sono già disponibili. I progressi scientifici degli ultimi decenni fanno sì che noi sappiamo come combattere malattie e malnutrizione, come migliorare i raccolti e l’irrigazione - e persino come ridurre il terribile impatto della pandemia da Hiv/Aids. Si tratta di considerare una proprietà l’applicazione di ciò che già conosciamo. Non ci mancano le conoscenze, ma la volontà. Il fatto che un bambino muoia di fame ogni cinque secondi apparentemente non basta a spingerci ad agire. Parte del problema è che quei bambini sono lontani da noi e muoiono in silenzio. Solo una piccola parte di loro, infatti, muore in aree di crisi come il Darfur o l’Iraq o in disastri naturali come il recente tsunami che sono sotto gli occhi di tutti. Se l’attuale tendenza continuerà, entro il 2015 più di 15 milioni di persone saranno morte di fame a partire dal momento in cui gli «Obiettivi di Sviluppo del Millennio» sono stati unanimemente adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Per fare un paragone, si tratta di un numero pari all’intera popolazione del Cile. Possiamo fermare tutto ciò. Attualmente ci sono nel mondo oltre 300 milioni di bambini che hanno cronicamente fame. Se escludiamo quelli che già ora ricevono assistenza umanitaria e quanti vivono in Cina, Brasile e India - Paesi che hanno a disposizione abbastanza cibo per sfamare i propri affamati - rimangono 110 milioni di bambini e di donne incinte che non ricevano alcun tipo di assistenza. Al Pam, il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, abbiamo stimato che servirebbero ogni anno 4,9 miliardi di dollari per fornire loro aiuto alimentare attraverso attività come quella dell'alimentazione scolastica. Se 1,7 miliardi di dollari vengono forniti dai Paesi in via di sviluppo che hanno surplus alimentari, serviranno solo 3,2 miliardi di dollari per l'assistenza internazionale ogni anno. Un sacco di denaro? No, se si considerano le alternative. (…)”. Ma forse non è stata una buona giustificazione: i limiti alla nostra azione distruttrice andavano imposti prima, molto prima di questo drammatico momento di denuncia collettiva. Cosa abbiamo cercato di fare: abbiamo forzato alcune leggi naturali, abbiamo cercato di sostituire ad esse le nostre esigenze, ovvero le raffinatezze delle nostre ricerche, delle nostre intuizioni. Hai certo sentito parlare del DDT. Il suo impiego è stato necessario allorché il bisogno di porre grandi estensioni di terreno ad unica coltivazione, le cosiddette monocolture, ha alterato quel particolare equilibrio che la natura era riuscita a creare associando specie diverse di piante, associando specie diverse di animali. Se fai caso, la natura non crea mai l’omogeneità; poiché da essa derivano sempre profondi squilibri ecologici. Infatti le monocolture hanno determinato la distruzione di centinaia di specie animali, che nella diversità della flora trovavano la loro ragione di esistere ed il rovescio di questo fatto è stato il moltiplicarsi vertiginoso di pochissime specie che spesso si sono rivelate dannose alle stesse colture praticate dall’uomo. Allora, cosa fare dal momento che l’appiattimento dell’ambiente ha automaticamente eliminato altre specie che spesso erano i controllori naturali di quelle specie che sono riuscite a sopravvivere nella monocoltura? Il controllo delle specie è un meraviglioso capitolo della realtà naturale: esso si esercita in varie forme. Ti ho scritto in precedenza dello “spazio vitale” per ogni specie e quel concetto comporta la necessità di un certo spazio fisico entro cui cacciare, entro cui riprodursi. La eliminazione di esso porta spesso alla estinzione di alcune specie di animali; così come avviene se, all’interno di detto spazio, venissero a mancare buone fonti di nutrimento o venissero distrutti i luoghi per la riproduzione. Ma il controllo delle specie, la loro sopravvivenza, si manifesta anche in quella particolare ed eterna lotta tra predatore e preda; il numero delle prede determina quello del predatore e viceversa. È un controllo meraviglioso che non costa nulla dal punto di vista ecologico. Orbene, di un siffatto meraviglioso meccanismo noi non ne abbiamo voluto riconoscere la validità, la sua intoccabilità. E capirai di certo il perché: per affidarci ad un controllo biologico delle specie sarebbe stato necessario per prima cosa non alterare l’equilibrio naturale, non creare quelle orrende realtà che sono rappresentate oggi dalle immense distese di campi con unica vegetazione. In esse, soltanto una specie o poche specie hanno potuto albergare senza problemi e come ben sappiamo non sono sempre state le migliori; la preda è diventata padrona ed in mancanza del suo naturale controllore, il predatore, ha potuto moltiplicarsi senza controllo alcuno. Come rimediare? Rinunciando a quelle selvagge devastazioni? Alla fine si è scelta la via che è sembrata la migliore: l’uso per l’appunto del DDT, l’uso di una sostanza che la natura non aveva creato nel suo meraviglioso laboratorio, alla quale sostanza tutti gli organismi, compreso il nostro, stentano ad adattarsi. È stata la vittoria di un solo attimo, poiché è accaduto dell’incredibile: mentre quel venefico prodotto si accumulava nei nostri organismi, nei nostri corpi per intenderci, le specie invece che il DDT avrebbe dovuto sterminare si sono ad esso come abituate, si sono assuefatte come con più esattezza suol dirsi. È stato il tiro più crudele che la natura ci abbia potuto giocare. Che fare? Le necessità alimentari sono sempre più in crescendo e per farvi fronte sarà necessario “inventare” un altro veleno ancora più potente che possa sterminare le specie tanto dannose. E per noi cosa avverrà? Capisci che è un circolo chiuso; e se quelle specie si assuefacessero anche a questo nostro nuovo potente veleno? Che beffa sarebbe allora! Ma come reagirà il nostro organismo ad un nuovo e misterioso agente chimico? Ecco, per sconfiggere poche specie animali, per nulla dannose e sempre ben controllate dall’equilibrio naturale, stiamo scivolando su di una china che prima o poi ci porterà a distruggere noi stessi, con le sostanze da noi stessi prodotte. È una rincorsa frenetica alla vita: la necessità di nutrirci sì, ma anche la grande convinzione che da questa situazione gli sconfitti alla fine saremo solamente noi. Ti riporto una cronaca al riguardo: “Il DDT crea gravi problemi. In molti paesi esso non è ancora proibito. Il DDT arreca enormi danni alla nostra salute. Esso, dopo che viene usato nei campi, finisce nei fiumi che lo trasportano al mare dove viene assorbito dal plancton. Di esso si nutrono i pesci che a loro volta nutrono gli uccelli e gli uomini. Una volta assorbito, difficilmente il DDT viene eliminato dal corpo umano. L’azione lunga dell’insetticida porta ad accumuli nel nostro organismo che in alcuni paesi hanno raggiunto livelli terrificanti: 31 parti per milione in India, 20 parti in Italia, 19 in Israele, 11 negli Stati Uniti, 5.5 nella Cecoslovacchia (quando esisteva come entità statuale), 1.7 in Francia. Si è potuto accertare che da questo inquinamento non si salvano neppure i bambini: già allo stadio di feto si sono riscontrate tracce del DDT”. Nasciamo quindi di già inquinati, “sporchi” di questo nostro effimero progresso. Dove sono andati a finire nei campi quegli spaventapasseri che hanno sempre riempito la fantasia di milioni di bambini? Ecco, il DDT ha lavorato meglio degli spaventapasseri, possiamo ben esserne soddisfatti ed orgogliosi! Ma come rimediare ora? Avrai di certo sentito per radio o per televisione dei tanti comitati, delle tante iniziative che si stanno prendendo per non morire alla fine tutti come mosche, prigionieri di questa immensa pattumiera nella quale stiamo trasformando il mondo. È un problema che è diventato così grosso che soltanto una azione coordinata tra tutti gli uomini potrebbe risolvere o meglio rimediare ancora. Or ora, scrivendoti del DDT, ti ho fatto cenno ad un altro aspetto di questo immenso e tragico problema ecologico: è un aspetto che ha sempre suscitato l’apprensione degli uomini responsabili e delle varie associazioni. È il problema dello sterminio delle altre specie animali. In tempi non troppo remoti, quando parlare di ecologia non era diventato così necessario, così pressante, le proteste di quegli uomini e di quelle associazioni erano sempre espresse in termini di “caritatevolezza naturale”, nel senso che noi, i più intelligenti, i più evoluti, non avremmo dovuto infierire su quelle “povere bestie” indifese, ma che noi, i più civili, avremmo anzi dovuto farci garanti della loro esistenza, così come ci si può fare garanti della integrità di un pupazzo, di un oggetto qualsiasi. Capisci che il problema non era affrontato dal lato più giusto: si vedeva negli altri animali “qualcosa” da salvare solo perché inferiori a noi, meritevoli di essere salvati perché “pezzi” di quel grande museo naturale che noi stessi abitiamo. Sono stati questi atteggiamenti di superiorità che non hanno per nulla aiutato a risolvere il problema, che al di là di essere un problema morale, caritatevole, è essenzialmente un problema ecologico, un problema prettamente naturale. Ricordi allorché ti ho scritto di quegli “esserini” microscopici che affollano il mare? Ricordi quale importante funzione essi svolgono nel bilancio della natura e come in ultima analisi anche la nostra stessa esistenza dipenda da essi? Ecco, il problema della salvezza di tante specie di animali (o piante) andava e va impostato su questo piano di “necessarietà” per la natura e per l’equilibrio di tutte le specie.  La nostra vita, che rappresenta la tappa al momento ultima e l’espressione più alta di organizzazione, deve essere vista solo in funzione dello stretto legame che essa ha con tutte le altre specie viventi. In natura non esiste quindi un problema di superiorità, ma la necessità della sopravvivenza di tutte le forme viventi in un equilibrio che sia il risultato ultimo della lotta per la vita, che può ben ritenersi la legge naturale più valida, più giusta e più sicura per tutti. E come esempio di ciò che può rappresentare la distruzione di una specie nell’equilibrio naturale voglio trascriverti questi dati che riguardano noi, in Italia: “Nel 19** alla periferia di Firenze si dovettero distruggere con il lanciafiamme tremila vipere. Il naturalista Alessandro Ghigi calcola che 100 vipere femmine dopo un anno generino mille piccoli dei quali 500 si presumono femmine; sommate a quelle del primo anno diventano 600. Al secondo anno i piccoli saranno 6.000 di cui 3.000 femmine; al terzo anno saranno 36.000, di cui la metà femmine; al quarto anno saranno 216.000, di cui 108.000 femmine; al quinto saranno 1.190.000 di cui 645.000 femmine; al sesto anno saranno 7.000.000 di cui 3.750.000 saranno femmine. Un’alta percentuale scomparirà nella lotta per la sopravvivenza, ma in una percentuale assai minore rispetto a quella di qualche anno fa. Un mutamento si è verificato nella composizione chimica dei veleni della vipera, i cui enzimi avrebbero subito un notevole aumento. Vipere più aggressive, più velenose; questo è il risultato dello spopolamento delle campagne, ma soprattutto dei profondi squilibri ecologici che sconvolgono l’Italia”. Ecco allora che abbiamo toccato un altro problema, forse il più delicato: il problema del nostro rapporto con le altre specie. È però un problema che deve essere ricollegato al problema più drammatico per noi come uomini; al mancato intimo rapporto con quella natura che ci ha generati e che, per un caso soltanto, ci ha posti nella condizione di divenire i dominatori di tutto ciò che ci circonda. Credimi, io penso che tutti i nostri mali abbiano avuto inizio nel momento in cui ci siamo messi a guardare le altre specie con occhi diversi, con curiosità e paura prima, con sufficienza poi. È stato il momento drammatico che ci ha allontanati dalla nostra realtà naturale che ci ha visti, migliaia di anni or sono, girovagare come qualsiasi altra specie per foreste, in cerca di frutti e radici. Bisogna far risalire a quel momento il grosso e drammatico problema ecologico dell’oggi. Eccoti allora altri dati a conforto di questa mia opinione: sono i dati di un massacro che è durato per tanto tempo e che forse ha creato i presupposti anche per una probabile futura scomparsa nostra da questa terra: “Negli ultimi due secoli (diciannovesimo e ventesimo) si sono estinte, per opera dell’uomo, ben 120 specie di mammiferi e circa 150 specie di uccelli, alcune delle quali prima ancora di essere studiate. Dei 75.000.000 di bisonti che popolavano gli Stati Uniti all’inizio del secolo diciannovesimo, ne sono rimasti solo qualche migliaio. Essi sono stati massacrati per ricavarne dalle ossa fertilizzanti. In Asia il rinoceronte di Giava è ridotto a 50 esemplari, quello di Sumatra a 150. Nelle Hawaii si sono estinti gli uccelli nella misura del 68 per cento. In Italia, secondo un censimento della Fondazione Internazionale per la conservazione della natura, corrono il pericolo dell’estinzione fra gli altri la lince, il daino sardo, il castoro, l’avvoltoio degli agnelli, del quale restano solo due coppie, il cigno selvatico, la gru, la cicogna bianca e quella nera. L’orso bruno è ridotto a 12 esemplari in una piccola zona del Trentino, l’orso d’Abruzzo sopravvive in una sessantina di individui, i mufloni sono ridotti a 300 esemplari e le capre selvatiche a 100. Ma ancora più grave è la situazione degli uccelli; c’è ancora una coppia dell’avvoltoio grifone in Sicilia, tre coppie di capovaccio nelle campagne romane, molto limitato è il numero del gufo reale che si trova nel parco nazionale d’Abruzzo. Limitate anche le colonie di fenicotteri, che vivono negli stagni di Oristano e di Cagliari”. Carissimo, a presto. Tuo****.

P.s. “Lettera a…” di domenica 12 di novembre dell’anno 2006. Le “cronache riportate” non sono state sottoposte ad aggiornamento dei dati.

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