Tratto
da "Al Nord come al Sud non si deve
tacere, la Lombardia paga il falso garantismo" di Roberto Saviano,
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 20 di aprile 2020: (…).
Cosa è stato il Garantismo in Italia negli ultimi 25 anni? Dove è
rintracciabile quell'equilibrio tra Diritto e giustizia sociale? Io credo in
pochissimi ambiti, ed è per questo che non esiste una cultura garantista di
massa, ma solo una sotto cultura "diversamente giustizialista" che si
oppone a quella dichiaratamente giustizialista. E lo fa per difendere i
privilegi di chi ha ricchezza e potere, fermandosi appena si fa forte il
"tanfo" della povertà e della marginalità. Che cosa è la giustizia
sociale per questa cultura, se non un orpello? È per questa ragione che il
garantismo italiano negli ultimi 25 anni è stato maggioritariamente una storia
di puttane, che hanno sbandierato Beccaria solo per vendersi meglio. Questa è
la matrice culturale che anche oggi, al cospetto della più grande tragedia dal
dopoguerra, sta portando molti sedicenti garantisti a chiedere a gran voce che
i processi non dovranno farsi nei Tribunali, che è un modo per dire che
processi non dovranno esserci. Eppure, un garantista dovrebbe conoscere bene la
natura del processo, che nasce per accertare i fatti, e non la verità. Al Nord,
ho trovato sempre sostegno quando dalla mia terra si levavano le critiche: i
panni sporchi si lavano in famiglia. Ricordo le valanghe di insulti provenienti
da quelli che si erano autodefiniti "del mio mondo" durante la crisi
dei rifiuti in Campania. Un tradimento e io un traditore. Non solo io,
ovviamente, tanti scrissero su quel tempo e su quello che accadeva in Campania
e ai campani. Non parlavo solo delle malefatte del Potere, ma anche della
incapacità della gente normale, della borghesia, di ribellarsi a una
occupazione clientelare del potere che aveva condotto al disastro. Erano troppo
pochi, ma incredibilmente valorosi, quelli che alzavano la testa per difendere
i propri territori e le proprie vite. Per quale ragione mai, oggi, si dovrebbe
pensare che al cospetto del più grande disastro in termini di perdite umane da
settantacinque anni a questa parte bisognerebbe "evitare i processi"
o non analizzare le ragioni, anche culturali e antropologiche, che lo hanno
determinato? Solamente il Sud è possibile oggetto di analisi sociologiche? Solamente
al Sud si può parlare di omertà? No signori, le cose non stanno così. La
Lombardia ha collassato perché ha distrutto il suo tessuto sociale, e questo
non lo ha fatto certo il virus, è accaduto prima. E non c'entra nulla il Dio
danaro, lo sterco del demonio e altro armamentario verbale grossolano. C'entra
l'idea di giustizia sociale. Quanto ha contato la voce degli operai lombardi in
questi mesi? Qualcuno gli ha chiesto se si sentivano sicuri a continuare a
lavorare senza protezioni? Quanto ha contato la voce dei medici e degli
infermieri che hanno assistito allo smantellamento della parte meno
"produttiva" di quel sistema sanitario, per poi trovarsi a morire,
per mancanza di dispositivi di sicurezza e per decisioni - sì, decisioni - che
nel pieno della crisi ne hanno aggravato il peso sul piano dei contagi? Questi
fatti dovranno essere accertati. Il Garantismo vive nelle carceri al fianco
degli ultimi tra gli ultimi dei condannati e dei detenuti in attesa di giudizio
per via di una legge proibizionista in materia di droga che quasi nessuno mette
in discussione. Il Garantismo vive sulle navi delle Organizzazioni Non
Governative accusate di salvare vite umane. Solo i veri garantisti, e sono
assai pochi, si sporcano le mani con questi "poveracci". Il Garantismo
italiano è morto quando si è venduto a Berlusconi, prima, e ora a Salvini.
Poiché mai sono stati negli ultimi anni dalla parte degli ultimi. E oggi, come
era ovvio, sono sulle barricate nel tentativo di sventare i processi e, per
farlo, dicono e scrivono che non si processa lo spirito lombardo. Anche se il
tasso di mortalità in quella regione si aggira intorno al 20% e, in valore
assoluto, il numero dei decessi è quasi lo stesso dello stato di New York, che
però ha il doppio della popolazione lombarda. E anche quelli che, in buona
fede, protestano la necessità di difendere un sistema di relazioni sociali,
culturali ed economiche virtuose, non comprendono il rischio di non elaborare
il lutto, per non guardarsi a fondo dentro. Ma le loro argomentazioni non sono
convincenti: se la Lombardia non va criticata perché produce il 25% del pil
nazionale, allora sappiate che dietro l'angolo c'è il collasso morale. Quando
le voci di chi ha perduto un caro, di chi ha vissuto l'orrore del contagio,
delle sirene delle ambulanze, dei carri dell'esercito che trasportavano via le
troppe salme, si renderanno conto che è a loro che si sta, già adesso,
chiedendo di tacere, l'implosione sarà inevitabile. Quelli che oggi pensano che
alla fine ai lombardi basterà tornare allo shopping e agli aperitivi, per
tornare a essere quelli di prima, stanno offendendo per primi quel dolore, che
merita spiegazioni, che merita di sapere le cose come sono andate. E la
politica, questa politica, non lo farà mai, poiché già adesso ha alzato il tappeto
per spingerci sotto la polvere, ma quella polvere sono storie di vite
interrotte. Il Caso è stato ed è parte della vita dei meridionali, che non
hanno mai potuto pensare davvero che pagando potessero farlo sparire dalle
proprie vite, individuali e collettive. Hanno imparato ad adattarsi, ma hanno
anche imparato a guardarsi dentro e a raccontare i propri demoni. Perché il Sud
si poteva raccontare e potevano farlo anche quelli che venivano da fuori, anche
quelli che, in maniera mirabile, ne hanno descritto non solo le miserie
materiali, ma anche quelle morali. È bene che il Nord e la Lombardia lascino
spazio alla indignazione di chi si è trovato all'improvviso nudo, poiché se non
lo faranno ne saranno travolti, ne saremo travolti. Ma se noi italiani ci
guarderemo per la prima volta, osservando le nostre ferite, forse, riusciremo finalmente ad abbracciarci e ad essere una sola
cosa. Allora sì, ce la faremo. Io ne sono certo.
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