"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 12 aprile 2020

Virusememorie. 10 «Ciò che facciamo alla Terra facciamo a noi stessi. Noi siamo la Terra».

Ha scritto Giuseppe De Marzo – coordinatore “Rete dei Numeri Pari” http://www.numeripari.org/ – in “Ci si salva solo cooperando. Anche con la Terra”, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 29 di marzo 2020 che “una visione meccanicistica della vita (…) ha modificato in peggio e nel profondo le relazioni tra noi ed il resto della natura non umana”. È un assunto che trova conferma nella prosa (2006?) sempre molto autorevole - in “L’usura della Terra” che precede quell’assunto di ben quattordici anni - di Umberto GalimbertiTutto è incominciato con quell'invito di Dio rivolto ad Adamo che leggiamo nel Genesi: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sopra i pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su gli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie”. Di tutt'altro tono era la concezione greca per la quale, al dire di Eraclito: “Questo cosmo che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno degli dèi né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà fuoco sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure”. Noi abbiamo perso la misura. Non concepiamo più la natura come terra da abitare come pensavano i Greci, ma come terra da dominare, non limitandoci all'uso della terra, ma spingendoci fino alla sua usura.
Oggi il nostro rapporto con la natura è mediato dalla tecnica, e la stessa salvaguardia della natura non può avvenire se non ricorrendo all'assistenza tecnica. Se guardiamo la monotonia di distese di cereali solcate da mietitrici solitarie e irrorate da antiparassitari erogati in volo, abbiamo un esempio elementare ma indicativo di come la tecnica, anche quando soccorre la natura, anche quando la "ipernaturalizza", in realtà la "denaturalizza", perché crea un paesaggio così poco ospitale e così poco comunicativo, che persino una grande fabbrica offre un volto più umano. Se poi dal mondo vegetale passiamo a quello animale, l'estrema degradazione di esseri viventi trasformati in macchine da uova e da carne, sottratti al loro ambiente, sottoposti a illuminazione artificiale, alimentati automaticamente, deprivati sensorialmente, è la prova più evidente di come l'assistenza tecnica alla natura denaturi la natura e segni l'abissale distanza che ormai separa la tecnica dal suo antico radicamento naturale. Ma ormai anche la natura, per effetto dell'incremento demografico esponenziale, ha forse superato il suo limite biologico e, senza l'intervento della tecnica, non è in grado di provvedere alle sue stesse creature. La tecnica, a sua volta, si presenta come un soggetto ancora abbastanza sconosciuto, astorico, in sé stesso non sufficientemente manifesto, e già mediatore di processi naturali, nonché di processi catastrofici che, a differenza di quelli naturali, avvengono per l'incrocio casuale di movimenti retti da leggi che presiedono la loro regolarità ed efficienza fino all'imprevisto punto della loro intersezione. Se questo è lo scenario, allora val forse la pena di riflettere su quanto Heidegger andava scrivendo in proposito verso la fine della seconda guerra mondiale: “La legge nascosta della terra si mantiene nella moderata misuratezza del nascere e del perire di tutte le cose entro i limiti della loro possibilità, che ognuna di esse segue e che tuttavia nessuna conosce. La betulla non oltrepassa mai la sua possibilità. Il popolo delle api abita dentro l'ambito delle sue possibilità. Solo la volontà, che si organizza con la tecnica in ogni direzione, fa violenza alla terra e la trascina nell'esaustione, nell'usura e nelle trasformazioni dell'artificiale. Essa obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l'impossibile. Il fatto che i piani e i dispositivi della tecnica riescano in numerose invenzioni e producano continue innovazioni non dimostra affatto che le conquiste della tecnica rendano possibile anche l'impossibile”. Scrive (oggi) Giuseppe De marzo: (…). Il Coronavirus, come tutte le crisi che stiamo vivendo negli ultimi anni, è figlio di un modello economico che non riconosce nessuna relazione e interdipendenza con il resto della vita. Il liberismo economico considera la vita al suo servizio, teorizza la crescita economica infinita nonostante viviamo in un pianeta con risorse finite, preleva una quantità di risorse e servizi ambientali gratuiti maggiore rispetto a quello che la Terra è in grado di rigenerare, bruciando così l’unica vera ricchezza di cui disponiamo per vivere e che abbiamo il dovere di lasciare a chi verrà. Una visione meccanicistica della vita che ha modificato in peggio e nel profondo le relazioni tra noi ed il resto della natura non umana. L’aver compromesso le capacità di autoregolazione dei sistemi naturali ci espone a rischi enormi: aumento fuori controllo di disuguaglianze sociali, ingiustizie ambientali ed ecologiche. Se vogliamo sconfiggere non solo nel breve ma nel medio e lungo periodo le minacce alla nostra sicurezza ed al nostro diritto alla vita, dobbiamo riconoscere la relazione, la corrispondenza, la complementarietà e la reciprocità tra tutte le entità viventi, senzienti e non, su questo pianeta. Questo ci permette di riscoprire la nostra fragilità e l’interdipendenza con il resto della vita di cui siamo parte. Cooperazione e solidarietà sono il modo con cui evolve la vita nel nostro pianeta, non attraverso la competizione individuale. Lo vediamo anche in queste ore così difficili: dove si coopera e siamo solidali i risultati ci sono. Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale se vogliamo affrontare l’emergenza e ridurre i rischi per il futuro. Noi non siamo il centro dell’universo e non siamo l’unica forma vivente che ha diritto alla vita su questo pianeta. È la Terra a garantirci la vita e la possibilità di rigenerare il nostro sviluppo. Da qui discende l’obbligo morale di difenderla. La Terra è la nostra Costituzione biologica, come lei siamo gli uni collegati agli altri, abbiamo bisogno di tutta la comunità vivente per vivere e prosperare. Siamo fragili ed allo stesso tempo straordinariamente complessi, relazionati, reciproci, interdipendenti. Ciò che facciamo alla Terra facciamo a noi stessi. Noi siamo la Terra. Le politiche di austerità, i tagli alla sanità pubblica, al sociale, alla ricerca, alla cultura, le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro, l’assenza di misure per garantire a tutti i lavoratori il diritto alla salute, le mancate bonifiche ambientali, l’urbanizzazione selvaggia, il sostegno economico e finanziario alle multinazionale dei fossili ed ai loro progetti estrattivi, il patto di stabilità in Costituzione, l’assenza di un piano strategico di riconversione industriale ed energetica, l’assenza di un piano integrato di interventi per adattarci e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici nelle nostre città, sono scelte politiche che hanno come conseguenza maggiori ingiustizie sociali, ambientali ed ecologiche. Oggi capiamo attraverso il dramma del coronavirus che il liberismo economico ci ha reso tutti più insicuri, soli, impauriti. Per questo abbiamo urgente bisogno di istituzionalizzare un’economia che difende e garantisca la vita e non l’accumulazione di capitale.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, dopo la lettura di questo post così esaustivo e profondo, mi viene spontaneo porre a me stessa alcune domande. Saremo capaci di ribellarci ai modelli di vita dettati e imposti dal sistema? Sapremo rinunciare all'edonismo, alla competizione, al consumismo, al narcisismo? Riuscirà l'umanità a tornare umana? Oppure continuerà a credere che la tecnica la immunizza sempre e comunque? Il pericolo è rappresentato dal fatto che l'uomo di oggi è portato a dimenticare,a rimuovere troppo facilmente ciò che non gli piace e che gli ha fatto tanta paura. Pertanto è incapace di lungimiranza responsabile. Se dovessimo continuare a vivere assecondando le logiche irresponsabili fatte di profitto, produttività, pluslavoro, consumismo, incapacità di concepire un'idea di limite, allora niente sarebbe servita questa dura esperienza della "pandemia", né il sacrificio di tante vite. Grazie per la condivisione e buona continuazione. Agnese A.

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