Tratto da “Psicopatologia
dell'indifferenza quotidiana” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” dell’8 di aprile dell’anno 2016:
Chi
non avverte la differenza tra bene e male è più pericoloso del violento, perché
non desta l'attenzione e non si fa notare finché, nello stupore generale,
agisce.
Tante volte, se lasciassimo fuori Dio dalle vicende umane, riusciremmo a capire qualcosa di più. (…). "Perché c'è il male?". Perché appartiene alla natura umana, al punto che potremmo dire che se non ci fosse, non capiremmo neppure che cos'è il bene. E allora atteniamoci alla natura umana senza coinvolgere Dio, della cui esistenza tra l'altro non tutti sono persuasi. Gli animali uccidono perché hanno fame, quindi per un bisogno biologico, gli uomini invece, come ci ricorda Hegel, uccidono per ottenere un riconoscimento della loro forza e del loro potere, quindi non per un bisogno biologico, ma per un bisogno culturale. E allora, più che a Dio, è alla nostra cultura che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. (…). Una volta che (…) si rinuncia e si abbandona il controllo razionale, a regolare le nostre azioni è il fattore emotivo, che qualcosa riesce a fare anche in assenza della ragione, purché la nostra psiche ancora disponga di una risonanza emotiva in grado di farci percepire la differenza tra il bene e il male, o per lo meno tra ciò che è grave e ciò che grave non è. Kant diceva che potremmo anche non definire la differenza tra il bene e il male perché ciascuno la "sente" (e usa il verbo sentire - fühlen) naturalmente da sé. Oggi non è più così. (…). La psichiatria dell'Ottocento chiamava questa condizione "psicopatia", denunciando il carattere apatico di una psiche che non registra emotivamente quel che accade nel mondo e quel che il soggetto stesso compie. A leggere le cronache, mi vien da chiedere se i giovani di oggi "sentono" ancora la differenza tra parlare male di un insegnante o prenderlo a calci, tra far la corte a una ragazza o stuprarla. (…). Che poi ci si meravigli che delitti (…) possano essere compiuti anche da giovani di "buona famiglia", dipende dal fatto che l'attenzione sociologica e mediatica è stata posta solo sulle generazioni del pugno chiuso, sugli squatter di non lontana memoria, sui ragazzi dello stadio, e mai sulla generazione degli indifferenti a basso quoziente emotivo, indecifrabili come una "X" ignota, caratterizzati da un'indifferenza egocentrica abbinata al concetto di destino ("sono fatto così"). Miscela, questa, che dà luogo al più potente esplosivo sociale del nostro tempo, da cui non si salva neppure la cultura borghese: lì molto spesso l'affettività, l'emotività e il sentimento non sono proprio di casa, soprattutto nell'età infantile. E l'affettività genitoriale è delegata a un esercito di baby-sitter, per poi fare la sua comparsa nell'adolescenza sotto forma di una sovrabbondanza di regali che stanno al posto di una comunicazione mancata. Quando il desiderio è azzerato perché non ha mai avuto l'occasione di desiderare, essendo stato saturato prima ancora che cominciasse a sognare, subentra quella noia mortale che induce a vivere come virtuosi dell'irresponsabilità, senza alcun riguardo per la propria storia personale, senza temere le eventuali conseguenze del proprio agire e senza sfuggire al vuoto di significati da fine della storia che si esprime in quell'ottimismo egocentrico dove il motto è, come scrive il sociologo tedesco Falko Blask: «Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra».
Tante volte, se lasciassimo fuori Dio dalle vicende umane, riusciremmo a capire qualcosa di più. (…). "Perché c'è il male?". Perché appartiene alla natura umana, al punto che potremmo dire che se non ci fosse, non capiremmo neppure che cos'è il bene. E allora atteniamoci alla natura umana senza coinvolgere Dio, della cui esistenza tra l'altro non tutti sono persuasi. Gli animali uccidono perché hanno fame, quindi per un bisogno biologico, gli uomini invece, come ci ricorda Hegel, uccidono per ottenere un riconoscimento della loro forza e del loro potere, quindi non per un bisogno biologico, ma per un bisogno culturale. E allora, più che a Dio, è alla nostra cultura che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. (…). Una volta che (…) si rinuncia e si abbandona il controllo razionale, a regolare le nostre azioni è il fattore emotivo, che qualcosa riesce a fare anche in assenza della ragione, purché la nostra psiche ancora disponga di una risonanza emotiva in grado di farci percepire la differenza tra il bene e il male, o per lo meno tra ciò che è grave e ciò che grave non è. Kant diceva che potremmo anche non definire la differenza tra il bene e il male perché ciascuno la "sente" (e usa il verbo sentire - fühlen) naturalmente da sé. Oggi non è più così. (…). La psichiatria dell'Ottocento chiamava questa condizione "psicopatia", denunciando il carattere apatico di una psiche che non registra emotivamente quel che accade nel mondo e quel che il soggetto stesso compie. A leggere le cronache, mi vien da chiedere se i giovani di oggi "sentono" ancora la differenza tra parlare male di un insegnante o prenderlo a calci, tra far la corte a una ragazza o stuprarla. (…). Che poi ci si meravigli che delitti (…) possano essere compiuti anche da giovani di "buona famiglia", dipende dal fatto che l'attenzione sociologica e mediatica è stata posta solo sulle generazioni del pugno chiuso, sugli squatter di non lontana memoria, sui ragazzi dello stadio, e mai sulla generazione degli indifferenti a basso quoziente emotivo, indecifrabili come una "X" ignota, caratterizzati da un'indifferenza egocentrica abbinata al concetto di destino ("sono fatto così"). Miscela, questa, che dà luogo al più potente esplosivo sociale del nostro tempo, da cui non si salva neppure la cultura borghese: lì molto spesso l'affettività, l'emotività e il sentimento non sono proprio di casa, soprattutto nell'età infantile. E l'affettività genitoriale è delegata a un esercito di baby-sitter, per poi fare la sua comparsa nell'adolescenza sotto forma di una sovrabbondanza di regali che stanno al posto di una comunicazione mancata. Quando il desiderio è azzerato perché non ha mai avuto l'occasione di desiderare, essendo stato saturato prima ancora che cominciasse a sognare, subentra quella noia mortale che induce a vivere come virtuosi dell'irresponsabilità, senza alcun riguardo per la propria storia personale, senza temere le eventuali conseguenze del proprio agire e senza sfuggire al vuoto di significati da fine della storia che si esprime in quell'ottimismo egocentrico dove il motto è, come scrive il sociologo tedesco Falko Blask: «Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra».
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