Carissimo,
ma non è tutto. Non abbiamo risparmiato il mare, ma il buon senso non
ci ha aiutato a salvare la terraferma, la nostra aria e non abbiamo soprattutto
avuto l’accortezza di rispettare la natura nel suo complesso. Poiché, è alla
natura nel suo complesso che noi dobbiamo rivolgerci per avere ancora “una
speranza di salvezza”. Hai paura se io ti scrivo di sopravvivenza per noi? Ma
credimi, è proprio così: il problema è molto grave. È tutto il nostro pianeta
che oramai è in via di distruzione, nel senso ecologico e naturalistico.
Oggi sarebbe stato magnifico essere insieme su questa spiaggia, lontani dai rumori della città, lontani dalla sua aria inquinata. È questo uno degli aspetti più gravi: abbiamo creato delle grosse trappole dove stiamo imprigionati per grande parte della nostra esistenza. Non sono più le città, come oggi si suole dire, a misura d’uomo: poiché l’uomo è tale solo se in intima comunione con la natura riesce a creare un ambiente dove può soddisfare le sue fondamentali esigenze. E ti sembra che le nostre città siano rispondenti a dette esigenze? Pensa un poco a quegli immensi gabbioni dove siamo costretti a vivere, inscatolati quasi, uno sulla testa dell’altro. Ed il verde, lo spazio per i giochi, per le corse, per la caccia? Ah, certo, oggi non abbiamo bisogno più di cacciare, questa nostra civiltà ci porta tutto in tavola, anzi in “scatola”! Ma i nostri stimoli primordiali, dove scaricarli, dove misurare le nostre capacità personali? Tu cerchi sempre un prato dove correre, dove magari far lotta con chi ti vuole estromettere da un gioco: e gli adulti? Dove lottare, come del resto avveniva in origine per una preda, per una compagna e come tuttora avviene in tutte le altre specie? Oggi questa lotta si è trasformata, si è ritualizzata nelle competizioni sportive più accese, nella ricerca di un prestigio sociale maggiore. Ti sembra giusto? Certo, è difficile rispondere a questa domanda. È questo il prezzo del nostro progresso. Ecco che, parlando delle nostre città, abbiamo alla fine parlato dell’Uomo e proprio poiché non sono fatte a sua misura, esso ne rimane condizionato ed imprigionato nei suoi modi di vivere e di comportamento.
Ma torniamo a parlare di questi alveari umani e cerchiamo di capire in quale misura essi siano lontani da un quadro ecologico ottimale. Il problema delle nostre città, penso, sia il problema ecologico più drammatico, poiché ci siamo cacciati a vivere, abbiamo creato cioè un ambiente, che è il meno naturale per la nostra realtà. È per colpa di un ambiente così innaturale che assumiamo atteggiamenti non del tutto comprensibili e per nulla umani, dando a questo aggettivo il più largo significato possibile. Pensa, in città di milioni di uomini tanti di essi si sentono soli, forse più soli di quando, sperduti in una vasta foresta, erano chiamati a lottare solo per la propria sopravvivenza. Pensa a quando si va al centro per quel grande rito che sono le compere. Ci troviamo in centinaia su di un tram, gomito contro gomito, a percepire il respiro del vicino, a sentire il suo odore, a scrutare il colore della sua pelle; ebbene, una così stretta vicinanza è una situazione che tolleriamo per poco tempo, poiché ci infastidisce, essendoci stato rubato quello “spazio vitale” del quale ti ho già parlato. Ed in questa situazione solo un disagio estremo ci pervade: non amicizia, non umanità, ma la sopportazione di una situazione che certo non abbiamo voluto, ma che purtroppo dobbiamo accettare contrariamente alle nostre caratteristiche naturali. Il problema ecologico cittadino è questa mancanza di “spazio vitale”, questo non più intimo contatto con la natura, questi adattamenti a modelli di comportamento che poi sfociano in mille atteggiamenti di intolleranza ed insoddisfazione. Ma non è tutto. Ti trascrivo la cronaca da una grossa metropoli del nostro tempo: Tokio. Un dato: 30 tonnellate di sudiciume al mese cadono su ogni suo chilometro quadrato, contro le 15 tonnellate di New York. Gli agenti del traffico rientrano alle stazioni di polizia dopo quattro ore di servizio per riossigenare il sangue carico di ossido di carbonio. Nei caffé, distributori automatici, dispensano “aria salubre” ai clienti ed ai passanti sull’orlo del collasso. Nelle scuole, nelle giornate di allarme antismog, i bambini assistono alle lezioni col volto coperto da mascherine. Ti sembrerà assurdo, come di altri mondi e non di questo nostro mondo! Ma non è solo un problema che riguarda Tokio e qualche altra grossa città: è un problema che investe il pianeta tutto, con le alterazioni conseguenti dal punto di vista meteorologico e climatologico. Pensa, molti scienziati sostengono oggi che l’aumento continuo nell’atmosfera di scarichi gassosi porterà prima o poi ad una disastrosa conseguenza: quello schermo protettivo, offerto dall’atmosfera alle radiazioni solari più dannose, verrebbe ad essere distrutto con tutte le conseguenze per la nostra stessa esistenza. Tu sai bene come la vita sulla Terra sia legata alla attività solare; qualora detta attività non fosse più controllata è evidente che il destino della vita sulla Terra e quindi in definitiva, il nostro destino, sarebbe segnato. Ti riporto questi altri dati a denuncia di una situazione che si va facendo sempre più difficile e sempre più difficilmente controllabile: Gli studenti dell’Università della California, per protestare contro l’inquinamento dell’aria, hanno seppellito in un prato un motore di automobile. Alcuni dati: Los Angeles, 10 milioni di abitanti, 4 milioni di automobili ed autocarri che bruciano ogni giorno 36 milioni di litri di carburanti ed emanano nell’aria 13.000 tonnellate di fumi velenosi. Pittsburg: 28 tonnellate di sostanze solforose immesse nell’atmosfera giornalmente, 200 tonnellate di polveri industriali, in un anno 20 morti per intossicazioni ed il 42% degli abitanti colpito da gravi malattie cardiache e respiratorie. Tokio. Le fotografie scattate dagli astronauti dell’Apollo 9 hanno mostrato che la capitale giapponese giace sotto una coltre di fumo nero, provocato da ben 70.000 ciminiere. In Italia, Milano. Nel solo periodo invernale si accumulano nella sua atmosfera 9.850.000 metri cubi di fumi dovuti a scarichi industriali ed automobilistici. È cronaca di qualche anno addietro, forse migliore e diversa dalla situazione attuale. Se il quadro è completo, ecco allora che un pizzico di paura si impadronisce di noi; quale potrà essere il nostro destino? Ma sono solo i motori delle automobili responsabili di questi mali del nostro tempo? Certo, l’inquinamento dell’aria dovuto ai motori che liberano quantità notevoli di gas, come l’ossido di carbonio e di altre sostanze inquinanti, è un aspetto molto importante e devastante; ma ti ho già detto delle industrie con i loro scarichi nei corsi d’acqua, che poi vanno a finire nel mare, le industrie con i loro micidiali fumi immessi di continuo nell’aria senza risparmio alcuno. E tutto allora diventa chiaro. Ma sono solo essi i veri responsabili di questa catastrofe ecologica? Non mi sento proprio di chiudere a questo punto la nostra corrispondenza. Poiché vi è un tipo di problema ecologico più sottile che spesso sfugge alla denuncia anche la più violenta; è invece quello che ci tocca più duramente e da vicino senza che ce se ne accorga se non per qualche fatto che suscita scalpore. Forse hai di già capito che mi riferisco a quel problema che riguarda la nostra salute, la nostra alimentazione, che è un problema primario per la nostra esistenza, e che fa da specchio ad una situazione ecologica generale sempre più difficile. Ho qualcosa che voglio trascriverti per sottoporre alla tua attenzione questo che è solo un aspetto di un problema molto più vasto: Il 4 dicembre 19** nel Nuovo Messico una bambina di nove anni mentre faceva ginnastica a scuola cadeva dal quadro svedese. Portata all’ospedale perché sentiva un forte dolore alla schiena, i medici le riscontravano uno stato spastico acuto. Dieci giorni più tardi nello stesso ospedale venivano ricoverati con la stessa diagnosi Dorothy, 24 anni, ed Amos, 14 anni, sorella e fratello della prima bambina. Campioni di sangue ed urina venivano inviati ai centri diagnostici di Atlanta. Verdetto: avvelenamento da mercurio. Tutto ciò perché il padre dei ragazzi agricoltore ed allevatore di maiali aveva comperato 15 quintali di miglio da un granaio. Due settimane dopo i maiali si ammalavano: sembravano ciechi e barcollavano. L’allevatore uccideva allora il maiale più grosso ed in famiglia per parecchi giorni si mangiò di quella carne. Ecco allora che abbiamo scoperto un altro mezzo di inquinamento che questa volta non riguarda solamente il nostro ambiente circostante ma che aggredisce direttamente il nostro organismo, il nostro “ambiente interno”. Ti ripeto che questo non è affatto un problema nuovo, un problema diverso; è soltanto una faccia, o meglio, diciamo un altro aspetto di quel grosso problema di cui stiamo scrivendo, come presi da un improvviso timore, da una improvvisa esigenza di affrontarlo, per sapere, per meglio conoscerlo e difenderci. Vedi, l’inquinamento, ovvero la distruzione di un patrimonio naturale, diventa drammatico nella misura in cui entra con prepotenza nel nostro “mondo di uomini”, allorché riguarda i nostri stomaci, i nostri polmoni. Ché, forse, se noi non fossimo stati parte così integrante di questa natura, forse non ce ne saremmo presi punto di esso, saremmo stati come spettatori al capezzale di un parente oramai in via di morire. La natura invece no, ci tira in ballo assieme ad essa e proprio questo ci rende sensibili. Non vogliamo insomma che per noi sia recitata un’ultima preghiera. Ti rimando alla prossima mia. Tuo ****.
Oggi sarebbe stato magnifico essere insieme su questa spiaggia, lontani dai rumori della città, lontani dalla sua aria inquinata. È questo uno degli aspetti più gravi: abbiamo creato delle grosse trappole dove stiamo imprigionati per grande parte della nostra esistenza. Non sono più le città, come oggi si suole dire, a misura d’uomo: poiché l’uomo è tale solo se in intima comunione con la natura riesce a creare un ambiente dove può soddisfare le sue fondamentali esigenze. E ti sembra che le nostre città siano rispondenti a dette esigenze? Pensa un poco a quegli immensi gabbioni dove siamo costretti a vivere, inscatolati quasi, uno sulla testa dell’altro. Ed il verde, lo spazio per i giochi, per le corse, per la caccia? Ah, certo, oggi non abbiamo bisogno più di cacciare, questa nostra civiltà ci porta tutto in tavola, anzi in “scatola”! Ma i nostri stimoli primordiali, dove scaricarli, dove misurare le nostre capacità personali? Tu cerchi sempre un prato dove correre, dove magari far lotta con chi ti vuole estromettere da un gioco: e gli adulti? Dove lottare, come del resto avveniva in origine per una preda, per una compagna e come tuttora avviene in tutte le altre specie? Oggi questa lotta si è trasformata, si è ritualizzata nelle competizioni sportive più accese, nella ricerca di un prestigio sociale maggiore. Ti sembra giusto? Certo, è difficile rispondere a questa domanda. È questo il prezzo del nostro progresso. Ecco che, parlando delle nostre città, abbiamo alla fine parlato dell’Uomo e proprio poiché non sono fatte a sua misura, esso ne rimane condizionato ed imprigionato nei suoi modi di vivere e di comportamento.
Ma torniamo a parlare di questi alveari umani e cerchiamo di capire in quale misura essi siano lontani da un quadro ecologico ottimale. Il problema delle nostre città, penso, sia il problema ecologico più drammatico, poiché ci siamo cacciati a vivere, abbiamo creato cioè un ambiente, che è il meno naturale per la nostra realtà. È per colpa di un ambiente così innaturale che assumiamo atteggiamenti non del tutto comprensibili e per nulla umani, dando a questo aggettivo il più largo significato possibile. Pensa, in città di milioni di uomini tanti di essi si sentono soli, forse più soli di quando, sperduti in una vasta foresta, erano chiamati a lottare solo per la propria sopravvivenza. Pensa a quando si va al centro per quel grande rito che sono le compere. Ci troviamo in centinaia su di un tram, gomito contro gomito, a percepire il respiro del vicino, a sentire il suo odore, a scrutare il colore della sua pelle; ebbene, una così stretta vicinanza è una situazione che tolleriamo per poco tempo, poiché ci infastidisce, essendoci stato rubato quello “spazio vitale” del quale ti ho già parlato. Ed in questa situazione solo un disagio estremo ci pervade: non amicizia, non umanità, ma la sopportazione di una situazione che certo non abbiamo voluto, ma che purtroppo dobbiamo accettare contrariamente alle nostre caratteristiche naturali. Il problema ecologico cittadino è questa mancanza di “spazio vitale”, questo non più intimo contatto con la natura, questi adattamenti a modelli di comportamento che poi sfociano in mille atteggiamenti di intolleranza ed insoddisfazione. Ma non è tutto. Ti trascrivo la cronaca da una grossa metropoli del nostro tempo: Tokio. Un dato: 30 tonnellate di sudiciume al mese cadono su ogni suo chilometro quadrato, contro le 15 tonnellate di New York. Gli agenti del traffico rientrano alle stazioni di polizia dopo quattro ore di servizio per riossigenare il sangue carico di ossido di carbonio. Nei caffé, distributori automatici, dispensano “aria salubre” ai clienti ed ai passanti sull’orlo del collasso. Nelle scuole, nelle giornate di allarme antismog, i bambini assistono alle lezioni col volto coperto da mascherine. Ti sembrerà assurdo, come di altri mondi e non di questo nostro mondo! Ma non è solo un problema che riguarda Tokio e qualche altra grossa città: è un problema che investe il pianeta tutto, con le alterazioni conseguenti dal punto di vista meteorologico e climatologico. Pensa, molti scienziati sostengono oggi che l’aumento continuo nell’atmosfera di scarichi gassosi porterà prima o poi ad una disastrosa conseguenza: quello schermo protettivo, offerto dall’atmosfera alle radiazioni solari più dannose, verrebbe ad essere distrutto con tutte le conseguenze per la nostra stessa esistenza. Tu sai bene come la vita sulla Terra sia legata alla attività solare; qualora detta attività non fosse più controllata è evidente che il destino della vita sulla Terra e quindi in definitiva, il nostro destino, sarebbe segnato. Ti riporto questi altri dati a denuncia di una situazione che si va facendo sempre più difficile e sempre più difficilmente controllabile: Gli studenti dell’Università della California, per protestare contro l’inquinamento dell’aria, hanno seppellito in un prato un motore di automobile. Alcuni dati: Los Angeles, 10 milioni di abitanti, 4 milioni di automobili ed autocarri che bruciano ogni giorno 36 milioni di litri di carburanti ed emanano nell’aria 13.000 tonnellate di fumi velenosi. Pittsburg: 28 tonnellate di sostanze solforose immesse nell’atmosfera giornalmente, 200 tonnellate di polveri industriali, in un anno 20 morti per intossicazioni ed il 42% degli abitanti colpito da gravi malattie cardiache e respiratorie. Tokio. Le fotografie scattate dagli astronauti dell’Apollo 9 hanno mostrato che la capitale giapponese giace sotto una coltre di fumo nero, provocato da ben 70.000 ciminiere. In Italia, Milano. Nel solo periodo invernale si accumulano nella sua atmosfera 9.850.000 metri cubi di fumi dovuti a scarichi industriali ed automobilistici. È cronaca di qualche anno addietro, forse migliore e diversa dalla situazione attuale. Se il quadro è completo, ecco allora che un pizzico di paura si impadronisce di noi; quale potrà essere il nostro destino? Ma sono solo i motori delle automobili responsabili di questi mali del nostro tempo? Certo, l’inquinamento dell’aria dovuto ai motori che liberano quantità notevoli di gas, come l’ossido di carbonio e di altre sostanze inquinanti, è un aspetto molto importante e devastante; ma ti ho già detto delle industrie con i loro scarichi nei corsi d’acqua, che poi vanno a finire nel mare, le industrie con i loro micidiali fumi immessi di continuo nell’aria senza risparmio alcuno. E tutto allora diventa chiaro. Ma sono solo essi i veri responsabili di questa catastrofe ecologica? Non mi sento proprio di chiudere a questo punto la nostra corrispondenza. Poiché vi è un tipo di problema ecologico più sottile che spesso sfugge alla denuncia anche la più violenta; è invece quello che ci tocca più duramente e da vicino senza che ce se ne accorga se non per qualche fatto che suscita scalpore. Forse hai di già capito che mi riferisco a quel problema che riguarda la nostra salute, la nostra alimentazione, che è un problema primario per la nostra esistenza, e che fa da specchio ad una situazione ecologica generale sempre più difficile. Ho qualcosa che voglio trascriverti per sottoporre alla tua attenzione questo che è solo un aspetto di un problema molto più vasto: Il 4 dicembre 19** nel Nuovo Messico una bambina di nove anni mentre faceva ginnastica a scuola cadeva dal quadro svedese. Portata all’ospedale perché sentiva un forte dolore alla schiena, i medici le riscontravano uno stato spastico acuto. Dieci giorni più tardi nello stesso ospedale venivano ricoverati con la stessa diagnosi Dorothy, 24 anni, ed Amos, 14 anni, sorella e fratello della prima bambina. Campioni di sangue ed urina venivano inviati ai centri diagnostici di Atlanta. Verdetto: avvelenamento da mercurio. Tutto ciò perché il padre dei ragazzi agricoltore ed allevatore di maiali aveva comperato 15 quintali di miglio da un granaio. Due settimane dopo i maiali si ammalavano: sembravano ciechi e barcollavano. L’allevatore uccideva allora il maiale più grosso ed in famiglia per parecchi giorni si mangiò di quella carne. Ecco allora che abbiamo scoperto un altro mezzo di inquinamento che questa volta non riguarda solamente il nostro ambiente circostante ma che aggredisce direttamente il nostro organismo, il nostro “ambiente interno”. Ti ripeto che questo non è affatto un problema nuovo, un problema diverso; è soltanto una faccia, o meglio, diciamo un altro aspetto di quel grosso problema di cui stiamo scrivendo, come presi da un improvviso timore, da una improvvisa esigenza di affrontarlo, per sapere, per meglio conoscerlo e difenderci. Vedi, l’inquinamento, ovvero la distruzione di un patrimonio naturale, diventa drammatico nella misura in cui entra con prepotenza nel nostro “mondo di uomini”, allorché riguarda i nostri stomaci, i nostri polmoni. Ché, forse, se noi non fossimo stati parte così integrante di questa natura, forse non ce ne saremmo presi punto di esso, saremmo stati come spettatori al capezzale di un parente oramai in via di morire. La natura invece no, ci tira in ballo assieme ad essa e proprio questo ci rende sensibili. Non vogliamo insomma che per noi sia recitata un’ultima preghiera. Ti rimando alla prossima mia. Tuo ****.
P.s. “Lettera a…” del venerdì
20 di ottobre dell’anno 2006. Le “cronache” riportate non sono state sottoposte
ad aggiornamento dei dati.
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