Da “I
politici di oggi vogliono una stampa al loro servizio”, intervista di
Gianni Barbacetto a Gian Carlo Caselli pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del
13 di aprile dell’anno 2017: Oggi si sente nell’aria un clima da Partito
della Nazione: destra e sinistra insieme che attaccano Report, per aver fatto
un’inchiesta sui presunti scambi tra Pd e gruppo Pessina (appalti Eni in cambio
della gestione dell’Unità). E attacchi anche al Fatto quotidiano. «Non so se si
possa parlare di Partito della Nazione, (…). Certo è che va diffondendosi a
destra come a sinistra, fra i partiti come fra i movimenti, la tendenza a
valutare le inchieste giudiziarie e giornalistiche non con il metro della
correttezza e del rigore, ma con quello dell’utilità: se l’inchiesta mi
conviene, tutto ok, altrimenti fulmini e saette. In Italia per alcuni ambienti
il vero peccato non è il male, ma scoprirlo o raccontarlo. Una certa politica,
in particolare, per i suoi affari ama l’indulgenza compiacente e il silenzio.
Le inchieste che riguardano il versante grigio, opaco, oscuro delle attività
economiche e finanziarie, per un verso, e per l’altro legate alla politica,
sono quelle che più danno fastidio e che espongono agli attacchi peggiori il
magistrato o il giornalista scomodo che si ostina a farle».
La Rai minaccia di togliere l’assistenza
legale ai giornalisti che realizzano Report. «Chi si ritiene diffamato ha
diritto di tutelarsi in sede giudiziaria con una querela. Poi si vedrà se
fondata o no. Ma una cosa che secondo me non si può fare è minacciare o, peggio
ancora, darsi da fare per ridurre o cancellare l’assistenza legale, come
ritorsione per una certa inchiesta. Perché in questo modo i diritti di
autonomia e libertà, che sono i motori della buona informazione, rischiano di
essere stritolati da condizionamenti che assomigliano alle censure».
Attacchi anche a magistrati come Henry John
Woodcock, considerato quasi l’ispiratore di un complotto contro la famiglia
dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Senza voler entrare nel merito
dell’inchiesta – se non altro perché Woodcock è un mio amico –, certi attacchi
alla magistratura ancora oggi mi fanno venire in mente quello che Sebastiano
Vassalli ha scritto nel suo libro L’italiano a proposito di Francesco Crispi.
Secondo Vassalli, nel giudice che lo interrogava sullo scandalo del Banco di
Napoli, Crispi vedeva un “ometto sussiegoso” che pretendeva di aver conto di
ogni singola operazione di banca e di ogni prestanome. Secondo Crispi, quel
giudice era soltanto “un cretino”, perché pensava che la politica di una nazione
potesse farsi senza quattrini e senza infamia, soltanto con l’onestà. Ho
l’impressione che ancora oggi la “filosofia” di Crispi si riaffacci a volte
sulla scena».
Un tempo, quando l’allora direttore generale
della Rai Mauro Masi minacciò di togliere l’assistenza legale a Milena
Gabanelli per Report, ci fu un’ampia solidarietà alla giornalista in nome della
libertà di stampa. Oggi invece quasi nessuno fiata… «I giornalisti che si
ostinano a fare il proprio lavoro con rigore e coerenza – (…) – sempre più
spesso finiscono per essere considerati anche da certi colleghi come un
gruppetto di alieni, di marziani. A volte non si riflette abbastanza
sull’importanza della parola e sull’amore per la verità, antidoti contro
l’informazione complice, pilotata. In ogni caso strumenti necessari perché il
nostro Paese recuperi un posto più lusinghiero nella classifica mondiale della
libertà d’informazione».
(…). Chi racconta le indagini viene invitato
ad aspettare le sentenze, poi quando arrivano le sentenze (vedi il caso
Minzolini) non sono tenute in alcun conto… «Torniamo al discorso dei
provvedimenti giudiziari che vanno bene se sono ritenuti utili a una certa
causa, altrimenti vengono attaccati o calpestati. È come ridurre la legalità a
un paio di ciabatte da indossare solo quando fa comodo».
Lei il clima di oggi lo ha già sperimentato
a Palermo, quando subì attacchi da destra e da sinistra, ai tempi del processo
a Giulio Andreotti… «Durante i quasi sette anni in cui ho diretto la Procura di
Palermo (1993-1999) il nostro lavoro ha contribuito a salvare la democrazia
italiana. Non ho mai preteso di essere pensato come avvolto in una bandiera
tricolore. Sarebbe ridicolo. Ma mi sarei aspettato almeno un diffuso rispetto
per il nostro lavoro. E invece siamo stati al centro di una vera e propria
guerra: non contro la mafia, ma contro la Procura di Palermo. Una guerra totale
condotta con tattiche diverse, ma tutte ispirate all’obiettivo di restringere i
nostri spazi operativi e circoscrivere il rischio che potessimo scoprire verità
sgradevoli, tipo quelle emerse con le inchieste su Giulio Andreotti e su
Marcello Dell’Utri. Per resistere agli attacchi scatenati contro di noi abbiamo
dovuto mostrare una schiena ben diritta e robusta».
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