Da “La disuguaglianza
ha mille facce” di Nadia Urbinati, pubblicato sul quotidiano la Repubblica
del 27 di aprile 2018: (…). Per la prima volta da quando la
democrazia è rinata, dopo la seconda guerra mondiale, l’andamento delle
relazioni tra classi e forze politiche ha subito un mutamento profondo che
cambia il significato dei termini “destra” e “sinistra”. Se fino agli anni ’ 80
il voto ai partiti di sinistra o centrosinistra era associato a basso tenore di
vita, meno cultura e minor reddito, dalla fine del secolo si è sempre più
associato alle élite con alta educazione e buoni redditi. A raccontarlo con i
sondaggi post-elettorali comparando il voto in tre Paesi (Usa, Regno Unito e
Francia) è Thomas Piketty nel suo nuovo progetto dal titolo, Sinistra di
bramini contro Destra di mercanti: la crescita della diseguaglianza e la mutata
struttura del conflitto politico. Piketty dimostra non solo che la media e
upper class acculturata vota a sinistra e la media e upper class ricca per il
centrodestra. Dimostra soprattutto che le classi “ up” — ricchi o ricchi e
acculturati o entrambi — occupano tutto lo spettro della democrazia dei
partiti, che egli chiama un “ multiple- élite party system”, ovvero una
democrazia che ha una pluralità di partiti di élite, non più semplicemente una
pluralità di partiti per tutti. Una larga porzione dei “tutti”, infatti, è nel
corso degli ultimi due decenni diventata più povera e anche meno acculturata,
un’associazione che fa parlare di plebeizzazione (…) in aggiunta a questo
svantaggio assoluto, i “ molti” hanno perso i loro tradizionali referenti
rappresentativi, occupati dalle classi più alte. È questa, secondo Piketty, una
delle ragioni della nascita o del successo repentino di movimenti e partiti
populisti, radicalmente xenofobi e fascisti oppure qualunquisti e anti-
partito. L’anti- partitismo che il populismo coltiva e alimenta ha quindi un
sapore classista, come reazione alle classi forti che si sono prese tutto lo
spazio partitico esistente. Dopo un’ondata di astensione, di ritiro dalla
partecipazione elettorale, i molti trattati come cittadini di serie B trovano
il loro fronte rappresentativo: qui sta l’origine dell’impennata populista, che
ha quindi radici economiche e socio- culturali. Il popolo dei lavoratori,
quello che trovava sicuro porto nei partiti storici della sinistra, ha subito
una plebeizzazione, anche in ragione del fatto che non ha più luoghi
aggregativi dove consolidare la cittadinanza attiva e il civismo.
Partiti-cartello o circoli elettorali per le classi agiate, e deserto per la
massa, che o assiste allo spettacolo nell’arena dei social o si fa i suoi
movimenti. Questo fenomeno ha radici nella crescente diseguaglianza, un termine
che Piketty suggerisce di coniugare al plurale: diseguaglianze di ricchezza, di
reddito, di istruzione, di cultura, di genere, di età, di razza, di religione.
Il paradosso è che queste diseguaglianze quanto più si sommano tanto più
perdono rappresentanti. Essere povero e vivere in un quartiere in cui la
maggioranza è povera comporta altre condizioni di svantaggio e la massima forma
di esclusione: non avere alcun partito che si batta per i propri bisogni.
Essere cittadino con meno voce per manifestare le proprie rivendicazioni e con
meno potere. Fino agli anni ’80, sostiene Piketty, le classi lavoratrici erano
nobilitate non solo nell’identità operaia, quando il lavoro era segno di valore
sociale e non di precarietà, ma anche nella cittadinanza e nell’identità
d’appartenenza della bandiera rossa ( sapere di avere un rappresentante-
difensore dava dignità; e soprattutto consentiva ai molti di stare al gioco, di
lottare per correggere le diseguaglianze). I partiti della sinistra hanno
nobilitato la cittadinanza dei lavoratori togliendo loro lo stigma
dell’inadeguatezza; hanno edificato buone scuole pubbliche e perseguito una
politica delle eguali opportunità. Sinistra e democrazia sono per questo andate
di pari passo. Ma ora che la sinistra attira i raffinati intellettuali, i
professionisti, i benestanti, a quale parte organizzata si rivolgono coloro che
la globalizzazione e la crescita della diseguaglianza ha reso meno acculturati
e soprattutto più pressati dai bisogni primari? La sinistra per i pochi
comporta fatalmente che anche i beni pubblici assumano diverso valore a seconda
di chi ne usufruisce: le scuole pubbliche cessano di essere buone dovunque e la
loro qualità segue il quartiere e i ceti che attraggono. E così sarà anche per
gli ospedali e la qualità della vita nelle città. Insomma, la sinistra presa
dai pochi lascia la maggioranza non solo senza sostenitori politici ma anche
senza una condizione dignitosa certa. La democrazia come “multi-élite party
system” ha anche una biforcazione ideologica: i partiti che attraggono le
destre moderate (dei ricchi e basta) e le sinistre tradizionali (dei ricchi e
colti) sono per lo più votati ai valori universalistici e liberali, europeisti
e cosmopoliti, anche quando coniugati in accezione conservatrice; fuori di qui,
tra i partiti populisti, si coltiva una visione opposta, come il nazionalismo e
il comunitarismo. Come spiega Piketty, i partiti dell’establishment serrano i
ranghi — quelli di centrosinistra diventano “ braminici” (castali e
sacerdotali) e quelli di centrodestra di “mercanti” — e si trovano alleati
naturali contro l’anti- partitismo populista, identitario nazionalista o
blandamente gentista. Questa biforcazione è presente in tutti i Paesi
occidentali e scuote le intelligenze. Non si può restare ad assistere allo
scempio che le diseguaglianze producono alle nostre democrazie.
Nessun commento:
Posta un commento