Da “Feticcio Facebook” di Federico Rampini, pubblicato sul settimanale
“D” del 30 di aprile dell’anno 2011: La dittatura si rovescia con internet? Che
idiozia. Non c'è strumento di rivoluzione di massa che non sia bipartisan.
Dov'è finita "la rivoluzione di Facebook e di Twitter", come tanti
osservatori occidentali hanno frettolosamente definito la rivolta
antiautoritaria in Egitto? Mentre scrivo, i militari che governano il paese
stanno mostrando un'inquietante tendenza a usare metodi simili a quelli di
Mubarak. I Fratelli musulmani hanno di fatto vinto la prima prova del consenso,
il voto sulle prossime regole elettorali è andato come volevano loro. La parte
dell'opinione pubblica che propende per una vera liberaldemocrazia si è
rivelata minoritaria, circoscritta alle città del Cairo e di Alessandria. La
presunta onnipotenza di Facebook e Twitter, l'idea che le tecnologie siano di
per sé capaci di suscitare rivoluzioni, ne esce un po' malconcia. Attribuire a
questi strumenti il potere di cambiare il corso degli eventi, di plasmare la
storia, di imporre nuovi valori è puro "feticismo tecnologico". Una
perversione in cui l'Occidente sembra cadere sempre più spesso. "Internet
cambierà la Cina", profetizzava alcuni anni fa Bill Gates, e intendeva
dire che il sistema autoritario di Pechino non avrebbe retto all'immenso flusso
di informazioni dal mondo. Poi si è scoperto che internet non ha affatto il
potere di cambiare il sistema politico cinese. Finora è accaduto il contrario:
è stato il governo di Pechino a "cambiare internet". Ha eretto la
Grande Muraglia di Fuoco, il più sofisticato sistema di cyber-censura. Ha messo
la museruola a Google al punto da costringerla di fatto ad autoesiliarsi dal
più vasto mercato del pianeta. Il regime ha consentito un ampio uso di internet
perché gli conviene: un'economia globalizzata come quella cinese deve poter
comunicare efficacemente col resto del mondo. Ma sul web opera anche la
propaganda di regime. Ci sono blog specializzati nel dare la "caccia alle
streghe", criminalizzando il dissenso o soffiando sul fuoco del
nazionalismo antioccidentale ogni volta che Obama o la Merkel osano ricevere il
Dalai Lama. E che dire dell'altra teoria in voga un anno fa, secondo la quale
Twitter avrebbe rovesciato la dittatura islamica in Iran? Che io sappia
Ahmadinejad è sempre al suo posto. In quanto a Twitter, è stato un efficace
strumento di comunicazione per contestare i brogli elettorali del regime e
organizzare le grandi manifestazioni di protesta a Teheran; ma poi anche la
polizia iraniana a imparato a usarlo per pedinare elettronicamente i
dissidenti.
È curioso dover sottolineare una simile ovvietà: le tecnologie sono neutre, non hanno un colore politico. Un tempo non eravamo malati di feticismo tecnologico. Chi si sarebbe mai sognato di sostenere che quella bolscevica nel 1917 a Mosca fu "la rivoluzione del telegrafo e della ferrovia"? Certo, le nuove tecnologie consentirono a Lenin di diffondere più velocemente la dottrina comunista, e di viaggiare dalla Svizzera alla Russia per mettersi a capo della rivolta. Ma altrove telegrafo e treni erano al servizio della grande guerra, il primo massacro sovranazionale del Novecento. Chi ha mai teorizzato che la radio fosse di sinistra? È vero, Franklin Delano Roosevelt ne fece un uso magistrale nei suoi celebri "discorsi al focolare" con il popolo americano, per diffondere le idee progressiste del New Deal. Ma suppergiù negli stessi anni anche un certo Goebbels mostrò di saper padroneggiare le tecnologie di comunicazione di massa, al servizio della propaganda nazista. Solo in tempi recenti si è radicata la scemenza che consiste nel dare una valenza politica alle nuove tecnologie. Sospetto che dietro il feticismo tecnologico ci siano i rimasugli di una vecchia ideologia determinista del progresso, tipicamente occidentale. Ho una modesta proposta da farvi: smettiamola di prendere per buona l'affermazione di Marshall McLuhan "il mezzo è il messaggio". Quella frase, per lo più citata a sproposito, se presa in senso letterale è una pura idiozia.
È curioso dover sottolineare una simile ovvietà: le tecnologie sono neutre, non hanno un colore politico. Un tempo non eravamo malati di feticismo tecnologico. Chi si sarebbe mai sognato di sostenere che quella bolscevica nel 1917 a Mosca fu "la rivoluzione del telegrafo e della ferrovia"? Certo, le nuove tecnologie consentirono a Lenin di diffondere più velocemente la dottrina comunista, e di viaggiare dalla Svizzera alla Russia per mettersi a capo della rivolta. Ma altrove telegrafo e treni erano al servizio della grande guerra, il primo massacro sovranazionale del Novecento. Chi ha mai teorizzato che la radio fosse di sinistra? È vero, Franklin Delano Roosevelt ne fece un uso magistrale nei suoi celebri "discorsi al focolare" con il popolo americano, per diffondere le idee progressiste del New Deal. Ma suppergiù negli stessi anni anche un certo Goebbels mostrò di saper padroneggiare le tecnologie di comunicazione di massa, al servizio della propaganda nazista. Solo in tempi recenti si è radicata la scemenza che consiste nel dare una valenza politica alle nuove tecnologie. Sospetto che dietro il feticismo tecnologico ci siano i rimasugli di una vecchia ideologia determinista del progresso, tipicamente occidentale. Ho una modesta proposta da farvi: smettiamola di prendere per buona l'affermazione di Marshall McLuhan "il mezzo è il messaggio". Quella frase, per lo più citata a sproposito, se presa in senso letterale è una pura idiozia.
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