Da “En
Retromarche” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6
di aprile 2018: (…). Come scrive Paolo Mieli sul
Corriere, la causa dell’impasse sono le finte dimissioni di Renzi, il più
grande collezionista di fiaschi mai visto anche nella storia delle cantine
sociali: ha perso tutte le Amministrative dal 2015 a oggi, ha tracollato al
referendum costituzionale, si è schiantato alle Politiche, eppure continua a
fare il bello e il cattivo tempo nel Pd per completarne la distruzione fino
all’azzeramento.
E i suoi fedelissimi, come il pluritrombato Sandro Gozi, non fanno neppure mistero di volersene andare dal partito che hanno devastato per fondare un En Marche all’italiana modello Macron (che però, diversamente da loro, le elezioni le ha stravinte). Nelle democrazie serie, il leader sconfitto se ne va e la squadra che perde si cambia. In Italia è tutto alla rovescia. Siamo pieni di presunti leader che hanno costruito le proprie carriere esclusivamente sulle disfatte. Viceversa chi aveva il brutto vizio di vincere, come Prodi che batté B. due volte su due, fu severamente punito dal suo partito. Idem dall’altra parte, dove B. perse rovinosamente la maggioranza e il governo nel 2011, ma nel 2013 era sempre lì sul trono di FI. Perse per strada 6,5 milioni di voti e dimezzò i seggi in Parlamento, da cui fu poi cacciato per la condanna definitiva. Però rimase il leader non solo del suo partito, ma dell’intero centrodestra, anche nei 10 mesi di servizi sociali all’ospizio di Cesano Boscone. Ora ha subìto un’altra batosta, facendosi scavalcare da Salvini e doppiare dagli alleati Lega-Fratelli d’Italia, eppure non c’è verso di scalzarlo. Perché FI, caso unico al mondo, è un partito di sua proprietà e non è escluso che ciò valga anche per un pezzo della Lega. Il che spiega perché Salvini ha prima dovuto cedergli la presidenza del Senato e ora non può permettersi di scaricarlo per governare col M5S. Il Pd, invece, non è formalmente proprietà privata di Renzi, ma è come se lo fosse grazie al Rosatellum, figlio legittimo del Porcellum e dell’Italicum incostituzionali: deputati e senatori non sono stati eletti dagli elettori, ma nominati da Renzi al momento di compilare personalmente le liste senza neppure passare per le primarie, sistemandoli nei collegi sicuri e nei primi posti nei listini. È grazie a questo pattuglione di miracolati dal Capo se lui, pur dimissionario, continua a controllare i gruppi parlamentari. E non per dettare loro una linea sulle alleanze, ma per impedire loro di averne una. Dopo averci regalato – in combutta con B. e Salvini – una legge elettorale di impianto proporzionale, Renzi tiene il secondo partito d’Italia in ghiacciaia, tramando e minacciando ogni giorno per impedire al reggente Martina di assumere qualsiasi iniziativa. M5S, Lega, FdI, persino FI e LeU si muovono, parlano, prospettano soluzioni, cioè fanno politica secondo le regole dei sistemi proporzionali delle democrazie parlamentari. Il Pd, che più di tutti ha voluto questo sistema, no. Finge di scegliere l’opposizione senza neppure sapere chi andrà al governo, né se mai ci andrà qualcuno. E racconta frottole ai confini della realtà. Tipo che “gli elettori ci vogliono all’opposizione”: come se chi ha votato Pd disponesse di una seconda scheda con le opzioni “maggioranza/opposizione” (in realtà gli elettori del Pd lo volevano al governo, altrimenti avrebbero votato qualcun altro; sono gli elettori degli altri partiti che volevano il Pd all’opposizione, ma non s’è mai visto al mondo un partito che obbedisce a chi non l’ha votato). O tipo che con i 5Stelle non si parla perché “sono già d’accordo con la Lega”. Questa idiozia è di quel genio di Ettore Rosato (quello del Rosatellum: e ho detto tutto). E naturalmente è falsa, a meno che il Pd non metta alla prova Di Maio incontrandolo, facendogli qualche controproposta e trovando le porte chiuse. Ma è destinata ad avverarsi: se Di Maio non vuol parlare con B. e il Pd non vuol parlare con Di Maio, l’unico a parlare con Di Maio sarà Salvini. A proposito: riusciranno i nostri eroi a spiegare agli eventuali elettori che con B. era giusto fare due governi, un patto del Nazareno, una schiforma costituzionale e due leggi elettorali, mentre con Di Maio è vietato pure parlare?
E i suoi fedelissimi, come il pluritrombato Sandro Gozi, non fanno neppure mistero di volersene andare dal partito che hanno devastato per fondare un En Marche all’italiana modello Macron (che però, diversamente da loro, le elezioni le ha stravinte). Nelle democrazie serie, il leader sconfitto se ne va e la squadra che perde si cambia. In Italia è tutto alla rovescia. Siamo pieni di presunti leader che hanno costruito le proprie carriere esclusivamente sulle disfatte. Viceversa chi aveva il brutto vizio di vincere, come Prodi che batté B. due volte su due, fu severamente punito dal suo partito. Idem dall’altra parte, dove B. perse rovinosamente la maggioranza e il governo nel 2011, ma nel 2013 era sempre lì sul trono di FI. Perse per strada 6,5 milioni di voti e dimezzò i seggi in Parlamento, da cui fu poi cacciato per la condanna definitiva. Però rimase il leader non solo del suo partito, ma dell’intero centrodestra, anche nei 10 mesi di servizi sociali all’ospizio di Cesano Boscone. Ora ha subìto un’altra batosta, facendosi scavalcare da Salvini e doppiare dagli alleati Lega-Fratelli d’Italia, eppure non c’è verso di scalzarlo. Perché FI, caso unico al mondo, è un partito di sua proprietà e non è escluso che ciò valga anche per un pezzo della Lega. Il che spiega perché Salvini ha prima dovuto cedergli la presidenza del Senato e ora non può permettersi di scaricarlo per governare col M5S. Il Pd, invece, non è formalmente proprietà privata di Renzi, ma è come se lo fosse grazie al Rosatellum, figlio legittimo del Porcellum e dell’Italicum incostituzionali: deputati e senatori non sono stati eletti dagli elettori, ma nominati da Renzi al momento di compilare personalmente le liste senza neppure passare per le primarie, sistemandoli nei collegi sicuri e nei primi posti nei listini. È grazie a questo pattuglione di miracolati dal Capo se lui, pur dimissionario, continua a controllare i gruppi parlamentari. E non per dettare loro una linea sulle alleanze, ma per impedire loro di averne una. Dopo averci regalato – in combutta con B. e Salvini – una legge elettorale di impianto proporzionale, Renzi tiene il secondo partito d’Italia in ghiacciaia, tramando e minacciando ogni giorno per impedire al reggente Martina di assumere qualsiasi iniziativa. M5S, Lega, FdI, persino FI e LeU si muovono, parlano, prospettano soluzioni, cioè fanno politica secondo le regole dei sistemi proporzionali delle democrazie parlamentari. Il Pd, che più di tutti ha voluto questo sistema, no. Finge di scegliere l’opposizione senza neppure sapere chi andrà al governo, né se mai ci andrà qualcuno. E racconta frottole ai confini della realtà. Tipo che “gli elettori ci vogliono all’opposizione”: come se chi ha votato Pd disponesse di una seconda scheda con le opzioni “maggioranza/opposizione” (in realtà gli elettori del Pd lo volevano al governo, altrimenti avrebbero votato qualcun altro; sono gli elettori degli altri partiti che volevano il Pd all’opposizione, ma non s’è mai visto al mondo un partito che obbedisce a chi non l’ha votato). O tipo che con i 5Stelle non si parla perché “sono già d’accordo con la Lega”. Questa idiozia è di quel genio di Ettore Rosato (quello del Rosatellum: e ho detto tutto). E naturalmente è falsa, a meno che il Pd non metta alla prova Di Maio incontrandolo, facendogli qualche controproposta e trovando le porte chiuse. Ma è destinata ad avverarsi: se Di Maio non vuol parlare con B. e il Pd non vuol parlare con Di Maio, l’unico a parlare con Di Maio sarà Salvini. A proposito: riusciranno i nostri eroi a spiegare agli eventuali elettori che con B. era giusto fare due governi, un patto del Nazareno, una schiforma costituzionale e due leggi elettorali, mentre con Di Maio è vietato pure parlare?
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