Da “Non i «barbari»
ma il vuoto di valori ci finirà” di Massimo Fini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano
del 29 di aprile dell’anno 2017: Siamo
in una situazione molto simile a quella in cui dovettero trovarsi i Romani nei
decenni che precedettero il crollo dell’Impero. C’è nell’aria un sensus finis,
un’assenza di speranze, collettive e individuali, uno sfinimento, uno
sfibramento, una mancanza di vitalità, un sentimento di impotenza: classici
segni di un mondo in decadenza. I “barbari” sono alle porte, molti già dentro
le mura, premono, come ai tempi dell’Impero, ai nostri confini. I Goti, i Burgundi,
i Franchi, i Vandali poterono averla vinta sulle ben più potenti e organizzate
armate romane, fino a conquistarne la Capitale, riducendola ai tempi dei
Lanzichenecchi a 37 mila abitanti, perché nei secoli precedenti l’Impero e le
sue strutture istituzionali e mentali erano state corrose da un tarlo chiamato
cristianesimo. Invano gli imperatori, da Diocleziano in poi fino all’ultimo e
disperato tentativo di Giuliano l’Apostata, avevano cercato di estirpare, con
la repressione e la violenza, questo tarlo. Il mondo pagano, corrotto fino al
midollo proprio a cagione della propria potenza, verrebbe da dire della
Superpotenza, non poté nulla contro un’ideologia che portava in sé valori
fortissimi e nuovi (almeno parzialmente, perché originavano dal giudaismo). Perciò
nel giro di pochi secoli il cristianesimo poté avere di fatto la meglio sul
mondo germanico, apparentemente vincitore, convertendolo a sé com’è documentato
dai canti dell’Edda. Alle quasi infinite superstizioni che avevano attraversato
quel mondo, ma che avevano anche, per misteriosi canali, molti punti di
contatto con la Bibbia e il Vangelo, se n’era sostituita un’altra, unica, più
forte, più convincente, più coinvolgente. Ma anche il cristianesimo, tradotto
da San Paolo in una struttura potente come la Chiesa, aveva in sé i germi e i
prodromi della sua fine. Dopo 20 secoli di egemonia e ascesa il pensiero
cristiano nelle sue varie declinazioni cattolica, ortodossa, protestante ha
terminato la sua fase propulsiva, per dirla con le parole di Enrico Berlinguer
in riferimento al comunismo sovietico.
Forse noi non abbiamo compreso appieno cosa ha voluto dire “la morte di Dio”. Quando Friedrich Nietzsche la proclama nei primi anni 80 del 1800, constata, con qualche decennio di anticipo, che Dio, in virtù o a causa dell’Illuminismo e dell’affermarsi della Dea Ragione, è morto nella coscienza dell’uomo occidentale. Ma i suoi funerali non saranno affatto indolori. Non per nulla il capitolo successivo a questa affermazione nicciana si intitola Incipit tragoedia. Dio sarà sostituito dalle Ideologie. Ma le Ideologie, nel giro di un tempo relativamente breve, due secoli e mezzo circa, periranno anch’esse. E anche la loro morte, come quella di Dio, verrà salutata come una liberazione. Invece è un’altra tragedia. Perché è venuto meno ogni punto di riferimento laico o religioso, non potendosi considerar tale il libero mercato che non è nemmeno più non dico un’ideologia, com’era ai tempi di Adam Smith e di David Ricardo, ma neppure un’idea. È semplicemente un meccanismo che va per conto suo, autopotenziandosi nella misura in cui indebolisce l’uomo che lo ha innescato, sfuggito di mano non solo agli “apprendisti stregoni” che lo concepirono, ma anche alle mosche cocchiere che si illudono di guidarlo e del quale, prima o poi, saranno anch’esse vittima. Da qui lo smarrimento che ci coinvolge tutti, poveri e ricchi. E la paura, l’abbietta paura (…) per i “nuovi barbari” che sono davvero, a differenza di quelli d’antan, “altro da noi”. Ma non è del terrore che dovremmo aver terrore. Ma del nostro vuoto di valori. Sarà questo che ci perderà, nonostante noi occidentali si sia tanto superiormente armati, come lo erano i Romani di fronte alle orde germaniche. Presso ogni cultura, quasi senza eccezioni, è previsto che il proprio sistema di valori non sia eterno, ma a un certo punto collassi. Ma la favola convenuta, nella inesausta necessità di speranza che è propria di quella tragica creatura che è l’uomo, vuole che dopo ogni krisis rinasca un mondo migliore e più degno di essere vissuto. A noi non resta che aggrapparci a questa favola e augurarci che non sia veritiera la premonizione di Eraclito che nel VI secolo a. C. ammoniva che l’umanità era destinata a degenerare senza soluzione di continuità. Anche se la Storia, almeno finora, sembra dargli ragione.
Forse noi non abbiamo compreso appieno cosa ha voluto dire “la morte di Dio”. Quando Friedrich Nietzsche la proclama nei primi anni 80 del 1800, constata, con qualche decennio di anticipo, che Dio, in virtù o a causa dell’Illuminismo e dell’affermarsi della Dea Ragione, è morto nella coscienza dell’uomo occidentale. Ma i suoi funerali non saranno affatto indolori. Non per nulla il capitolo successivo a questa affermazione nicciana si intitola Incipit tragoedia. Dio sarà sostituito dalle Ideologie. Ma le Ideologie, nel giro di un tempo relativamente breve, due secoli e mezzo circa, periranno anch’esse. E anche la loro morte, come quella di Dio, verrà salutata come una liberazione. Invece è un’altra tragedia. Perché è venuto meno ogni punto di riferimento laico o religioso, non potendosi considerar tale il libero mercato che non è nemmeno più non dico un’ideologia, com’era ai tempi di Adam Smith e di David Ricardo, ma neppure un’idea. È semplicemente un meccanismo che va per conto suo, autopotenziandosi nella misura in cui indebolisce l’uomo che lo ha innescato, sfuggito di mano non solo agli “apprendisti stregoni” che lo concepirono, ma anche alle mosche cocchiere che si illudono di guidarlo e del quale, prima o poi, saranno anch’esse vittima. Da qui lo smarrimento che ci coinvolge tutti, poveri e ricchi. E la paura, l’abbietta paura (…) per i “nuovi barbari” che sono davvero, a differenza di quelli d’antan, “altro da noi”. Ma non è del terrore che dovremmo aver terrore. Ma del nostro vuoto di valori. Sarà questo che ci perderà, nonostante noi occidentali si sia tanto superiormente armati, come lo erano i Romani di fronte alle orde germaniche. Presso ogni cultura, quasi senza eccezioni, è previsto che il proprio sistema di valori non sia eterno, ma a un certo punto collassi. Ma la favola convenuta, nella inesausta necessità di speranza che è propria di quella tragica creatura che è l’uomo, vuole che dopo ogni krisis rinasca un mondo migliore e più degno di essere vissuto. A noi non resta che aggrapparci a questa favola e augurarci che non sia veritiera la premonizione di Eraclito che nel VI secolo a. C. ammoniva che l’umanità era destinata a degenerare senza soluzione di continuità. Anche se la Storia, almeno finora, sembra dargli ragione.
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