Da “Un’occasione
per l’Italia” di Jeremy Rifkin, pubblicato sul settimanale L’Espresso del
15 di aprile 2018: (…). In un mio recente articolo per L’Espresso, osservavo che il
rallentamento del Pil e l’aumento di disoccupazione e disuguaglianza sono il
risultato del declino della seconda rivoluzione industriale, basata su
telecomunicazioni ed energia centralizzate e sul motore a scoppio. Questa
infrastruttura antiquata è ormai entrata in fase terminale in tutto il mondo. È
necessario costruire e estendere una nuova infrastruttura intelligente di Terza
Rivoluzione Industriale (Tri) ad alto tasso di integrazione digitale, che dovrà
comprendere anche una rete Internet 5G, un’Internet dell’energia rinnovabile
digitalizzata, un Internet della mobilità automatizzata basata su veicoli
elettrici e a idrogeno, circolanti in tessuti urbani intelligenti collegati
interattivamente nell’Internet delle cose (IdC). Se su questo si creasse
consenso trasversale, avremmo una nuova visione capace di ispirare le prossime
tre generazioni in Italia per affrontare efficacemente i problemi posti da
disoccupazione, immigrazione e deficit di protagonismo delle comunità locali
nei processi decisionali. Serve una radicale transizione dell’Italia verso
un’economia Tri digitalizzata, intelligente. Oltre il reddito minimo. Altro
tema caldo è il reddito minimo condizionato all’accettazione di almeno una su
tre proposte di lavoro dei Centri per l’impiego. Ma dove le si va a prendere le
tre proposte di lavoro se non si creano nuove dinamiche occupazionali e
professionali? Nella costruzione di un’infrastruttura Tri, che richiede decine
di migliaia di posti di lavoro semi-qualificati, qualificati, e altamente
qualificati per le prossime due generazioni, che non potranno essere coperti né
da robot né dall’Intelligenza artificiale. Sono figure professionali nuove per
settori quali l’ammodernamento della rete di comunicazione e la cablatura della
banda larga universale 5G e del Wi-Fi gratuito; l’efficienza energetica di
milioni di edifici pubblici e privati con l’installazione di infissi ad alta
tenuta termica; una nuova infrastruttura energetica basata non più su fossili o
nucleare ma sulle fonti rinnovabili (sole, vento etc) con installazione delle
tecnologie di accumulo energetico; la riconfigurazione di tutta la rete
elettrica in una vera e propria Internet dell’energia con contatori di nuova
generazione e altre tecnologie digitali per collegare fra di loro milioni di
microcentrali; la realizzazione di un’Internet della logistica e della mobilità
senza conducente a guida satellitare, con milioni di sensori su “smart roads”
che forniranno informazioni in tempo reale su flussi di traffico e movimenti di
merci, la sostituzione del parco veicoli tradizionali con quelli elettrici e a
idrogeno su strada, ferrovia e mare, con decine di migliaia di stazioni di
ricarica e rifornimento di idrogeno. La creazione di questa infrastruttura
dell’Internet delle Cose per una “Smart Italy” darà lavoro a centinaia di
migliaia di lavoratori per i prossimi trent’anni e la riqualificazione delle
figure professionali necessarie non dovrebbe richiedere più di 6-9 mesi,
secondo esperienze già in corso in altre regioni d’Europa. Altrettanto
bisognerebbe fare per i programmi delle scuole superiori e delle università. Quale
lavoro dopo il lavoro. Per i prossimi trent’anni vi sarà dunque un’ultima
ondata di occupazione di massa prima che la nuova infrastruttura economica
digitale intelligente riduca il lavoro al lumicino perché sarà governata da
algoritmi e robot. Cosa faranno allora gli esseri umani? L’occupazione migrerà
verso l’economia sociale e della condivisione, e il settore “No profit” (che
non significa necessariamente “No jobs”). Nell’economia no profit e della
condivisione il lavoro dell’uomo rimarrà importante perché l’impegno sociale e
la creazione di capitale sociale sono un’impresa intrinsecamente umana.
Neanche i più ardenti tecnofili osano sostenere l’idea che le macchine possano creare capitale sociale. La gestione di ambiente, educazione, salute, attività culturali e una moltitudine di altre attività sociali, richiede l’intervento umano e non quello delle macchine. Un robot potrà portare il pranzo al bambino, ma non potrà mai insegnargli a diventare un essere umano. La sfera del no profit è già il settore a più rapida crescita in tutto il mondo. Non è solo volontariato. Uno studio su 42 paesi della Johns Hopkins University rivela che 56 milioni di persone lavorano a tempo pieno nel settore no profit. Il 15,9 per cento del lavoro retribuito nei Paesi Bassi è no profit. Il 13,1 per cento in Belgio, l’11 per cento nel Regno Unito, il 10,9 per cento in Irlanda, il 10 per cento negli Stati Uniti, il 12,3 per cento in Canada. Queste percentuali sono in costante aumento. È prevedibile che entro il 2050 la maggioranza degli occupati nel mondo sarà in comunità senza scopo di lucro, impegnate nell’economia sociale e della condivisione. Il saggio di John Maynard Keynes “Economic possibilities for our grand-children” scritto più di 80 anni fa, immaginava un mondo in cui le macchine liberano l’uomo dalla fatica del lavoro, permettendogli di impegnarsi nella ricerca del senso più profondo della vita. Questa potrebbe rivelarsi la previsione economica più azzeccata di Keynes. Ma per cogliere questa opportunità dobbiamo riqualificare la forza lavoro esistente verso il mercato dell’Internet delle Cose, e formare le persone alle nuove figure professionali che si aprono nel no profit. Modernizzazione, demografia e immigrazione. È vero, serve uno sforzo erculeo, ma l’umanità ha già affrontato sfide simili in passato, come nel passaggio da uno stile di vita agricolo a uno industriale tra il 1890 e il 1940. Per affrontare questa sfida l’Italia dovrà però risolvere un problema supplementare: secondo la Banca Mondiale infatti, l’Italia è 187ma su 200 paesi come tasso di natalità. Dove reperirà le centinaia di migliaia di lavoratori per realizzare l’infrastruttura intelligente Tri nei prossimi quarant’anni se c’è questo impressionante declino demografico? Qui tocchiamo il tema caldo dell’immigrazione: per far fronte alle sue esigenze di modernizzazione, l’Italia dovrà dunque fronteggiare il declino demografico con politiche intelligenti e impedire lo spopolamento del paese. C’è poi il tema della crisi di fiducia verso la classe politica tradizionale, troppo condizionata dagli interessi di ben precise lobby economiche. Il rapporto fra l’economia e la politica deve ispirarsi a logiche nuove, sviluppate intorno alla riorganizzazione del Sogno europeo verso un’economia sostenibile e una società ecologica. Si comincia a discutere su come mettere in pratica il “principio di sussidiarietà”, punto centrale del Trattato di Lisbona, che presuppone che rimangano a livello regionale o nazionale, tutte le decisioni che non siano state devolute all’Ue. “Power to the people”. La piattaforma digitale Tri mira a valorizzare le comunità locali in tutta Europa e a dare loro maggiore potere, perché le collega in uno spazio digitale continentale intelligente distribuito, aperto, trasparente e crea economie di scala laterali e non centralizzate, in un”effetto rete” più produttivo e creativo per l’Italia e per l’Europa, e quindi è in perfetta sinergia col principio di sussidiarietà. Questo è “power to the people”, letteralmente nel senso di energia per tutti, e anche figurativamente nel senso di potere alle persone. Come finanziamo il passaggio all’infrastruttura digitale Tri? Le rigidità dovute ai parametri di stabilità finanziaria (rapporto debito-Pil, etc) sconsigliano l’uso di fondi pubblici ma nulla vieta di utilizzare capitali privati attraverso il nuovo strumento dei contratti Esco, che permettono alla P.A. di pagare gradualmente il finanziamento delle infrastrutture pubbliche con i risparmi di spesa determinati dalla maggiore efficienza energetica e dalle maggiori economie di scala, mantenendo il possesso delle infrastrutture in mani pubbliche anche se pagate con fondi privati. Le recenti elezioni politiche offrono l’occasione di ripensare il futuro dell’Italia in quest’Europa rivitalizzata. L’Italia è stata a lungo la fucina delle idee per la politica europea e l’innovazione economica. Negli ultimi anni, questo ruolo guida si è un po’ offuscato. È venuto il momento del risveglio.
Neanche i più ardenti tecnofili osano sostenere l’idea che le macchine possano creare capitale sociale. La gestione di ambiente, educazione, salute, attività culturali e una moltitudine di altre attività sociali, richiede l’intervento umano e non quello delle macchine. Un robot potrà portare il pranzo al bambino, ma non potrà mai insegnargli a diventare un essere umano. La sfera del no profit è già il settore a più rapida crescita in tutto il mondo. Non è solo volontariato. Uno studio su 42 paesi della Johns Hopkins University rivela che 56 milioni di persone lavorano a tempo pieno nel settore no profit. Il 15,9 per cento del lavoro retribuito nei Paesi Bassi è no profit. Il 13,1 per cento in Belgio, l’11 per cento nel Regno Unito, il 10,9 per cento in Irlanda, il 10 per cento negli Stati Uniti, il 12,3 per cento in Canada. Queste percentuali sono in costante aumento. È prevedibile che entro il 2050 la maggioranza degli occupati nel mondo sarà in comunità senza scopo di lucro, impegnate nell’economia sociale e della condivisione. Il saggio di John Maynard Keynes “Economic possibilities for our grand-children” scritto più di 80 anni fa, immaginava un mondo in cui le macchine liberano l’uomo dalla fatica del lavoro, permettendogli di impegnarsi nella ricerca del senso più profondo della vita. Questa potrebbe rivelarsi la previsione economica più azzeccata di Keynes. Ma per cogliere questa opportunità dobbiamo riqualificare la forza lavoro esistente verso il mercato dell’Internet delle Cose, e formare le persone alle nuove figure professionali che si aprono nel no profit. Modernizzazione, demografia e immigrazione. È vero, serve uno sforzo erculeo, ma l’umanità ha già affrontato sfide simili in passato, come nel passaggio da uno stile di vita agricolo a uno industriale tra il 1890 e il 1940. Per affrontare questa sfida l’Italia dovrà però risolvere un problema supplementare: secondo la Banca Mondiale infatti, l’Italia è 187ma su 200 paesi come tasso di natalità. Dove reperirà le centinaia di migliaia di lavoratori per realizzare l’infrastruttura intelligente Tri nei prossimi quarant’anni se c’è questo impressionante declino demografico? Qui tocchiamo il tema caldo dell’immigrazione: per far fronte alle sue esigenze di modernizzazione, l’Italia dovrà dunque fronteggiare il declino demografico con politiche intelligenti e impedire lo spopolamento del paese. C’è poi il tema della crisi di fiducia verso la classe politica tradizionale, troppo condizionata dagli interessi di ben precise lobby economiche. Il rapporto fra l’economia e la politica deve ispirarsi a logiche nuove, sviluppate intorno alla riorganizzazione del Sogno europeo verso un’economia sostenibile e una società ecologica. Si comincia a discutere su come mettere in pratica il “principio di sussidiarietà”, punto centrale del Trattato di Lisbona, che presuppone che rimangano a livello regionale o nazionale, tutte le decisioni che non siano state devolute all’Ue. “Power to the people”. La piattaforma digitale Tri mira a valorizzare le comunità locali in tutta Europa e a dare loro maggiore potere, perché le collega in uno spazio digitale continentale intelligente distribuito, aperto, trasparente e crea economie di scala laterali e non centralizzate, in un”effetto rete” più produttivo e creativo per l’Italia e per l’Europa, e quindi è in perfetta sinergia col principio di sussidiarietà. Questo è “power to the people”, letteralmente nel senso di energia per tutti, e anche figurativamente nel senso di potere alle persone. Come finanziamo il passaggio all’infrastruttura digitale Tri? Le rigidità dovute ai parametri di stabilità finanziaria (rapporto debito-Pil, etc) sconsigliano l’uso di fondi pubblici ma nulla vieta di utilizzare capitali privati attraverso il nuovo strumento dei contratti Esco, che permettono alla P.A. di pagare gradualmente il finanziamento delle infrastrutture pubbliche con i risparmi di spesa determinati dalla maggiore efficienza energetica e dalle maggiori economie di scala, mantenendo il possesso delle infrastrutture in mani pubbliche anche se pagate con fondi privati. Le recenti elezioni politiche offrono l’occasione di ripensare il futuro dell’Italia in quest’Europa rivitalizzata. L’Italia è stata a lungo la fucina delle idee per la politica europea e l’innovazione economica. Negli ultimi anni, questo ruolo guida si è un po’ offuscato. È venuto il momento del risveglio.
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