Da “Perdo,
ergo comando” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del
22 di marzo dell’anno 2016: Sentendola in non so più quale titolo di
telegiornale (tanto sono tutti uguali), ho pensato di aver capito male. Infatti
la frase, attribuita a Matteo Renzi, suonava così: “Governiamo con Verdini e
Alfano perché le elezioni le abbiamo perse”. Poi ieri ho controllato sull’house
organ, l’Unità: “Conosco un metodo infallibile per non avere in maggioranza
Alfano e Verdini: vincere le elezioni, cosa che nel 2013 non è accaduta”. Frase
identica testuale anche sull’amata Repubblica e nel pezzo dell’adorata Meli sul
Corriere. Purtroppo nessun giornale l’ha messa nel titolo: forse perché nessuno
ha colto le due clamorose notizie ivi contenute, o forse perché tutti le hanno
colte fin troppo bene. La prima è piuttosto rilevante: il neocondannato Verdini
è ufficialmente nella maggioranza del governo Renzi, come noi scriviamo da
mesi, sempre smentiti dai giannizzeri renziani (ma il capo dello Stato, nelle
cui mani giura il premier, sarà stato avvertito?).
La seconda è addirittura clamorosa: il presidente del Consiglio comunica urbi et orbi alla Nazione che al governo c’è un partito (il suo) che ha perso le elezioni e che, non avendo la maggioranza in Parlamento, usa senatori eletti contro il suo partito staccatisi da un altro partito che alle elezioni era stato sconfitto ancor più del suo. Qualcuno dirà: ma lo sanno tutti. Vero: ma ora lo dice il capo del governo. Ve l’immaginate la Merkel, Valls, Cameron, Rajoy o Tsipras che dichiarano orgogliosi: “La sapete l’ultima? Ho perso le elezioni, dunque governo io”? Verrebbero immediatamente dimissionati dai rispettivi capi dello Stato con l’immediato scioglimento delle Camere e l’indizione dei comizi elettorali, sempreché non fossero preceduti dalle sirene di un’ambulanza e da un paio di robusti infermieri della neuro. Noi italiani invece siamo talmente abituati all’idea che il nostro voto non conta nulla, che i parlamentari si comprano e si vendono e che i governi si decidono aumma aumma nelle segrete stanze di organi mai eletti, da fare spallucce dinanzi a un premier che confessa di governare con i voti di una coalizione che ha perso le elezioni, alle quali lui per giunta non partecipò. Embè? Che sarà mai? Tutto qui? Conosciamo l’obiezione: la Costituzione non prevede l’elezione diretta del premier, quindi la polemica sul premier non eletto è insensata. Ma qui il problema non è che Renzi non è un parlamentare: è che né lui né il suo partito si sono mai presentati agli elettori per chiedere i voti sul programma che stanno realizzando. Anzi, il suo partito, l’ultima volta che si presentò agli elettori, chiese i voti su un programma che è l’esatto contrario di quello che Renzi sta realizzando. E prese il 25% dei voti, cioè gli stessi dei 5Stelle, che però non avevano alleati, mentre il Pd di Bersani aveva Sel: dunque il premio di maggioranza, previsto dall’Italicum per la prima coalizione, lo presero Pd e Sel. Purtroppo però bastava alla Camera, ma non al Senato. E in ogni caso chi comanda in Italia (anche dall’estero) aveva già deciso che di un governo Pd-Sel non si poteva neppure parlare: meglio ricicciare l’inciucione con chi le elezioni le aveva straperse, cioè B. e Monti. Tutti dentro o quasi per tener fuori i 5Stelle, cioè gli unici vincitori. Per avallare quel golpetto bianco, occorreva un presidente ad hoc: niente Prodi o Rodotà, meglio un altro golpettino per riesumare re Giorgio, uomo di mondo e stomaco forte. Che infatti benedisse il governo Letta di Larghe Intese con Pd, Pdl e Centro montiano. E pazienza se il Pd scioglieva l’alleanza con Sel, senza cui non avrebbe avuto gli stessi voti (quanti ne avrebbe presi Bersani, se avesse promesso in campagna elettorale una bella ammucchiata con B. e Monti?) e non avrebbe ottenuto il premio di maggioranza. Un obbrobrio che però, almeno numericamente, stava in piedi, avendo un’ampia maggioranza in Parlamento e nel Paese (circa il 55% dei votanti del 2013). Poi però B. se ne andò e il Centro si sfarinò in mille pulviscoli. E la Consulta stabilì che il Parlamento era stato eletto con regole incostituzionali, anche per il premio di maggioranza che consente al Pd di averne una. A quel punto Renzi rovesciò Letta e fece il governo di Piccole Intese con Alfano e quel che restava del Centro. Anche lui aveva i numeri, almeno in Parlamento (nel Paese no: la sua coalizione rappresenta poco più del 30% dei votanti del 2013 e meno del 20% nei sondaggi), anche se molto più risicati di Letta e anche se grazie a un premio di maggioranza fuorilegge. Ma ha preso a comportarsi come se avesse dietro di sé una maggioranza oceanica, al punto di cambiare la Costituzione e la legge elettorale a colpi di fiducie e canguri per silenziare una minoranza che, in realtà, nel Paese è maggioranza. Poi, strada facendo, ha perso anche la maggioranza numerica: un po’ per l’emorragia dalla sinistra del Pd, un po’ per la diaspora centrista. Allora ha iniziato ad acquistarli in cambio di poltrone e promesse: ex Sel, FI, M5S, Lega. Tutta gente che sfugge ai radar e non la votano manco i parenti stretti.
La seconda è addirittura clamorosa: il presidente del Consiglio comunica urbi et orbi alla Nazione che al governo c’è un partito (il suo) che ha perso le elezioni e che, non avendo la maggioranza in Parlamento, usa senatori eletti contro il suo partito staccatisi da un altro partito che alle elezioni era stato sconfitto ancor più del suo. Qualcuno dirà: ma lo sanno tutti. Vero: ma ora lo dice il capo del governo. Ve l’immaginate la Merkel, Valls, Cameron, Rajoy o Tsipras che dichiarano orgogliosi: “La sapete l’ultima? Ho perso le elezioni, dunque governo io”? Verrebbero immediatamente dimissionati dai rispettivi capi dello Stato con l’immediato scioglimento delle Camere e l’indizione dei comizi elettorali, sempreché non fossero preceduti dalle sirene di un’ambulanza e da un paio di robusti infermieri della neuro. Noi italiani invece siamo talmente abituati all’idea che il nostro voto non conta nulla, che i parlamentari si comprano e si vendono e che i governi si decidono aumma aumma nelle segrete stanze di organi mai eletti, da fare spallucce dinanzi a un premier che confessa di governare con i voti di una coalizione che ha perso le elezioni, alle quali lui per giunta non partecipò. Embè? Che sarà mai? Tutto qui? Conosciamo l’obiezione: la Costituzione non prevede l’elezione diretta del premier, quindi la polemica sul premier non eletto è insensata. Ma qui il problema non è che Renzi non è un parlamentare: è che né lui né il suo partito si sono mai presentati agli elettori per chiedere i voti sul programma che stanno realizzando. Anzi, il suo partito, l’ultima volta che si presentò agli elettori, chiese i voti su un programma che è l’esatto contrario di quello che Renzi sta realizzando. E prese il 25% dei voti, cioè gli stessi dei 5Stelle, che però non avevano alleati, mentre il Pd di Bersani aveva Sel: dunque il premio di maggioranza, previsto dall’Italicum per la prima coalizione, lo presero Pd e Sel. Purtroppo però bastava alla Camera, ma non al Senato. E in ogni caso chi comanda in Italia (anche dall’estero) aveva già deciso che di un governo Pd-Sel non si poteva neppure parlare: meglio ricicciare l’inciucione con chi le elezioni le aveva straperse, cioè B. e Monti. Tutti dentro o quasi per tener fuori i 5Stelle, cioè gli unici vincitori. Per avallare quel golpetto bianco, occorreva un presidente ad hoc: niente Prodi o Rodotà, meglio un altro golpettino per riesumare re Giorgio, uomo di mondo e stomaco forte. Che infatti benedisse il governo Letta di Larghe Intese con Pd, Pdl e Centro montiano. E pazienza se il Pd scioglieva l’alleanza con Sel, senza cui non avrebbe avuto gli stessi voti (quanti ne avrebbe presi Bersani, se avesse promesso in campagna elettorale una bella ammucchiata con B. e Monti?) e non avrebbe ottenuto il premio di maggioranza. Un obbrobrio che però, almeno numericamente, stava in piedi, avendo un’ampia maggioranza in Parlamento e nel Paese (circa il 55% dei votanti del 2013). Poi però B. se ne andò e il Centro si sfarinò in mille pulviscoli. E la Consulta stabilì che il Parlamento era stato eletto con regole incostituzionali, anche per il premio di maggioranza che consente al Pd di averne una. A quel punto Renzi rovesciò Letta e fece il governo di Piccole Intese con Alfano e quel che restava del Centro. Anche lui aveva i numeri, almeno in Parlamento (nel Paese no: la sua coalizione rappresenta poco più del 30% dei votanti del 2013 e meno del 20% nei sondaggi), anche se molto più risicati di Letta e anche se grazie a un premio di maggioranza fuorilegge. Ma ha preso a comportarsi come se avesse dietro di sé una maggioranza oceanica, al punto di cambiare la Costituzione e la legge elettorale a colpi di fiducie e canguri per silenziare una minoranza che, in realtà, nel Paese è maggioranza. Poi, strada facendo, ha perso anche la maggioranza numerica: un po’ per l’emorragia dalla sinistra del Pd, un po’ per la diaspora centrista. Allora ha iniziato ad acquistarli in cambio di poltrone e promesse: ex Sel, FI, M5S, Lega. Tutta gente che sfugge ai radar e non la votano manco i parenti stretti.
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