A lato. Fotogramma tratto da "Novecento" di Bernardo Bertolucci.
Da “Una
domanda alla sinistra” di Guido Crainz, pubblicato sul quotidiano la
Repubblica del 23 di aprile 2018: Da sempre il 25 aprile è il segnale di un
clima: "racconta" il modificarsi di un Paese, il suo vivere il
proprio passato e il suo immaginare il futuro. Ed è uno sfregio il primo
segnale venuto quest'anno, il rifiuto della giunta di centrodestra di Todi di
dare il proprio patrocinio alle celebrazioni dell'Anpi: l'antifascismo sarebbe
"di parte", per una giunta che ha il sostegno di CasaPound. Non è
affatto un segnale minore, mentre sul proscenio si susseguono incauti osanna
alla "Terza Repubblica". E ancora una volta il 25 aprile chiama in
causa tutte le parti in campo: "rivela" la cultura - o l'incultura -
dei vincitori, ma anche la capacità di risposta - e la cultura - di chi non si
rassegna, di chi non è disposto a cedere il campo quando sono in discussione i
valori fondativi della comunità nazionale. Interroga dunque i nuovi
"vincitori", il 25 aprile di quest'anno, e da essi esige risposte:
anche da chi le ha sempre eluse. E interroga al tempo stesso la sinistra, la costringe
a riflettere su se stessa. O meglio: su quella "dissipazione di sé"
che sembra prevalere. E l'urgenza di una riflessione non episodica è rafforzata
e accentuata da molti altri, allarmanti segnali venuti nei mesi scorsi. Una
riflessione che coinvolga l'educazione quotidiana alla democrazia (la
quotidiana "pedagogia della Costituzione") e la mobilitazione
politica e civile: così come è sempre stato nella nostra storia, lontana o
recente. Può essere utile ricordare il clima di vent'anni fa o poco più, quando
venne proclamato l'avvento di una seducente "Seconda Repubblica". In
quel 1994 andava al governo, sotto il segno di Berlusconi, una coalizione che
comprendeva per la prima volta anche il Movimento sociale di Gianfranco Fini
(un Movimento non ancora depurato a Fiuggi dalle sue radici neofasciste),
assieme a una Lega che alimentava umori secessionisti. E se Fini proclamava
allora Mussolini "il più grande statista del secolo", trovando la
"comprensione" di Berlusconi, gli faceva eco la allora presidente
della Camera, Irene Pivetti: "Le cose migliori per le donne e la famiglia
le ha fatte Mussolini", disse (era leghista, Pivetti, ma non disse cose
molto diverse cinque anni fa la capogruppo grillina a Montecitorio, Roberta
Lombardi). A completare il quadro venne allora un programma televisivo sulla
caduta del fascismo, Combat film, che proponeva un messaggio di sostanziale
equiparazione fra le due parti in conflitto. Fascismo e Resistenza pari sono
per la Rai, commentava Mario Pirani su questo giornale, mentre Barbara Spinelli
osservava: in pochi giorni è avvenuto qualcosa di importante in Italia,
"c'è clima di banalizzazione del Ventennio, di libertinismo verbale,
licenza assoluta di dire. Morta la "Prima Repubblica" tutto diventa
possibile, tutto diventa permesso". Un giudizio scritto allora, ma che
rischia di ritornare drammaticamente attuale. In quel 1994 la risposta fu
chiara e netta: una sinistra disorientata e sconfitta seppe ritrovare se stessa
e le proprie ragioni (anche se il primo stimolo non venne dai partiti o dai
sindacati, ma da un piccolo quotidiano, il manifesto). La mobilitazione fu
realmente ampia e confluì nella grande manifestazione nazionale del 25 aprile
di quell'anno, a Milano: "un'altra Italia" non era scomparsa e a
partire da essa era possibile ricostruire nella coscienza di tutti le ragioni
della democrazia. E questo avvenne, in una "Seconda Repubblica" per
altri versi infausta: si avviò da quel 1994 il percorso che portò una destra
sin lì neofascista a rinnegare le proprie radici (un merito di Gianfranco Fini
che non può essere dimenticato). E il 25 aprile si impose anche a chi, come
Silvio Berlusconi, si era sempre sentito estraneo a esso: (…).
Anche allora il 25 aprile era stato più forte, e naturalmente non vanno dimenticate neppure altre e più lontane fasi della nostra storia repubblicana, quando le discriminazioni nei confronti delle associazioni partigiane e delle sinistre erano quotidiane. Avveniva metodicamente negli anni Cinquanta, nel clima della "guerra fredda", con punte talora estreme: nei confronti degli antifascisti, ad esempio, continuarono a funzionare a lungo quei controlli di polizia e quelle "schedature" del Casellario politico centrale che il fascismo aveva ampliato a dismisura. Tempi lontani, appunto, travolti allora da mobilitazioni popolari che videro attivamente presenti i giovani (le "magliette a strisce" del luglio 1960): travolti, più in generale, da una modernizzazione del Paese che si coniugava all'ampliamento della democrazia e alla progressiva attuazione dei valori e dei principi sanciti dalla Costituzione. Modernizzazione e ampliamento della democrazia, progredire del Paese e rinsaldarsi dei valori dell'antifascismo, in una mobilitazione culturale, politica e civile contro chi si opponeva a essi in modo esplicito o contro chi ne appannava la rilevanza decisiva (tratto comune a non pochi "vincitori" del 4 marzo): questo è stato il tratto fondativo della nostra storia repubblicana, e sempre il Paese ha saputo rispondere. È ancora così? Questa è la vera domanda che il 25 aprile di quest'anno pone alla sinistra nel suo insieme, nel momento in cui il suo ruolo decisivo - se non la sua stessa esistenza - sembra messo in discussione. Ed è una domanda sul futuro del Paese: riguarda ciascuno di noi.
Anche allora il 25 aprile era stato più forte, e naturalmente non vanno dimenticate neppure altre e più lontane fasi della nostra storia repubblicana, quando le discriminazioni nei confronti delle associazioni partigiane e delle sinistre erano quotidiane. Avveniva metodicamente negli anni Cinquanta, nel clima della "guerra fredda", con punte talora estreme: nei confronti degli antifascisti, ad esempio, continuarono a funzionare a lungo quei controlli di polizia e quelle "schedature" del Casellario politico centrale che il fascismo aveva ampliato a dismisura. Tempi lontani, appunto, travolti allora da mobilitazioni popolari che videro attivamente presenti i giovani (le "magliette a strisce" del luglio 1960): travolti, più in generale, da una modernizzazione del Paese che si coniugava all'ampliamento della democrazia e alla progressiva attuazione dei valori e dei principi sanciti dalla Costituzione. Modernizzazione e ampliamento della democrazia, progredire del Paese e rinsaldarsi dei valori dell'antifascismo, in una mobilitazione culturale, politica e civile contro chi si opponeva a essi in modo esplicito o contro chi ne appannava la rilevanza decisiva (tratto comune a non pochi "vincitori" del 4 marzo): questo è stato il tratto fondativo della nostra storia repubblicana, e sempre il Paese ha saputo rispondere. È ancora così? Questa è la vera domanda che il 25 aprile di quest'anno pone alla sinistra nel suo insieme, nel momento in cui il suo ruolo decisivo - se non la sua stessa esistenza - sembra messo in discussione. Ed è una domanda sul futuro del Paese: riguarda ciascuno di noi.
Nessun commento:
Posta un commento