Da "I
migranti risvegliano le nostre paure. La politica non può rimanere cieca",
intervista al sociologo Zygmunt Bauman di Antonello Guerrera pubblicata sul quotidiano la
Repubblica del 29 di agosto dell’anno 2015: "Un giorno Lampedusa, un
altro Calais, l'altro ancora la Macedonia. Ieri l'Austria, oggi la Libia. Che notizie
ci attendono domani? Ogni giorno incombe una nuova tragedia di rara
insensibilità e cecità morale. Sono tutti segnali: stiamo precipitando, in
maniera graduale ma inarrestabile, in una sorta di stanchezza della
catastrofe". (…).
Signor Bauman, duecento morti al largo della
Libia. Due giorni fa altri cento cadaveri ritrovati ammassati in un camion in
Austria. Il dramma scava sempre più il cuore del Vecchio continente. E noi?
Cosa facciamo? "E chissà quanti altri ce ne saranno nelle prossime ore.
Oramai sono milioni i profughi che cercano la salvezza da atroci guerre,
massacri interreligiosi, fame... La guerra civile in Siria ha innescato un
esodo biblico. Scappano gli afgani, gli eritrei. Mentre nel 2014, riporta
l'Onu, erano circa 219mila i rifugiati e migranti che hanno attraversato il Mar
Mediterraneo, e di questi 3.500 sono morti. Un anno prima questa cifra era
molto più bassa: circa 60mila. Qui in Inghilterra ho letto molte reazioni di
personaggi pubblici di fronte a una simile emergenza. Tutte a favore di
"quote migratorie" più rigide, in ogni caso. Mentre chi come Stephen
Hale dell'associazione British Refugee Action invoca una riforma del sistema di
asilo basata sugli esseri umani, e non sulle statistiche, è rimasto solo una
voce solitaria".
Ma l'Europa cosa può fare per risolvere
questo disastro umanitario? "L'antropologo Michel Agier ha stimato circa
un miliardo di sfollati nei prossimi quarant'anni: - Dopo la globalizzazione di
capitali, beni e immagini, ora è arrivato il tempo della globalizzazione
dell'umanità -. Ma i profughi non hanno un loro luogo nel mondo comune. Il loro
unico posto diventa un non luogo, che può essere la stazione di Roma e Milano o
i parchi di Belgrado. Ritrovarsi nel proprio quartiere simili non luoghi, e non
solo guardarli in tv, può rappresentare uno shock. E così oggi la
globalizzazione irrompe materialmente nelle nostre strade, con tutti i suoi
effetti collaterali. Ma cercare di allontanare una catastrofe globale con una
recinzione è come cercare di schivare la bomba atomica in cantina".
Eppure in Europa stanno tornando i muri,
figli di uno spettro xenofobo che purtroppo sta dilagando. "Sa chi mi
ricordano quelli che li erigono? Il filosofo greco Diogene, che, mentre i suoi
vicini si preparavano a combattere contro Alessandro Magno, lui faceva rotolare
la botte in cui viveva su e giù per le strade di Sinope dicendo di non voler
essere l'unico a non far niente".
È vero, tuttavia, che oggi il flusso
migratorio verso l'Europa è di dimensioni mai viste. Qualche timore può essere
giustificato, non trova? "Ma oramai il nostro mondo è multiculturale,
forse irreversibilmente, a causa di un'abnorme migrazione di idee, valori e
credenze. E comunque la separazione fisica non assicura quella spirituale, come
ha scritto Ulrich Beck. Lo straniero è per definizione un soggetto poco familiare,
colpevole fino a prova contraria e dunque per alcuni può rappresentare una
minaccia. Nella nostra società liquida, flagellata dalla paura del fallimento e
di perdere il proprio posto nella società, i migranti diventano walking
dystopias, distopie che camminano. Ma in un'era di totale incertezza
esistenziale, dove la vita è sempre più precaria, questa non è l'unica ragione
delle paure che scatena la vista di ondate di sfollati fuori controllo. Vengono
percepiti come messaggeri di cattive notizie, come scriveva Bertolt Brecht. Ma
ci ricordano, allo stesso tempo, ciò che vorremmo cancellare".
E cioè? "Quelle forze lontane, oscure e
distruttive del mondo che possono interferire nelle nostre vite. E le vittime
collaterali di queste forze, i poveri sfollati in fuga, vengono percepiti dalla
nostra società come gli alfieri di tali forze. Questi migranti, non per scelta
ma per atroce destino, ci ricordano quanto vulnerabili siano le nostre vite e
il nostro benessere. Purtroppo è nell'istinto umano addossare la colpa alle
vittime delle sventure del mondo. E così, anche se siamo assolutamente
impotenti a imbrigliare queste estreme dinamiche della globalizzazione, ci
riduciamo a scaricare la nostra rabbia su quelli che arrivano, per alleviare la
nostra umiliante incapacità di resistere alla precarietà della nostra società.
E nel frattempo alcuni politici o aspiranti tali, il cui unico pensiero sono i
voti che prenderanno alle prossime elezioni, continuano a speculare su queste
ansie collettive, nonostante sappiano benissimo che non potranno mai mantenere
le loro promesse. E poi alle aziende occidentali il flusso di migranti a
bassissimo costo fa sempre comodo. E molti politici sono allo stesso modo
tentati di sfruttare l'emergenza migratoria per abbassare ancor più i salari e
i diritti dei lavoratori. Ma una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti
e chiudersi in stanze insonorizzate non porterà ad altro che a una terra
desolata, di separazione reciproca, che aggraverà soltanto i problemi".
E allora come risolvere questa immane
tragedia? "Sicuramente non con soluzioni miopi e a breve termine, utili
solo a provocare ulteriori tensioni esplosive. I problemi globali si risolvono
con soluzioni globali. Scaricare il problema sul vicino non servirà a niente.
La vera cura va oltre il singolo paese, per quanto grande e potente che sia. E
va oltre anche una folta assemblea di nazioni come l'Unione europea. Bisogna
cambiare mentalità: l'unico modo per uscirne è rinnegare con forza le viscide
sirene della separazione, smantellare le reti dei campi per i richiedenti asilo
e far sì che tutte le differenze, le disuguaglianze e questo alienamento
autoimposto tra noi e i migranti si avvicinino, si concentrino in un contatto
giornaliero e sempre più profondo. Con la speranza che tutto questo provochi
una fusione di orizzonti, invece di una fissione sempre più esasperata".
Non teme che questa soluzione possa non
piacere a una buona parte della popolazione europea? "Lo so, una rivoluzione
simile presuppone tanti anni di instabilità e asperità. Anzi, in uno stadio
iniziale, potrà scatenare altre paure e tensioni. Ma, sinceramente, credo che
non ci siano alternative più facili e meno rischiose, e nemmeno soluzioni più
drastiche a questo problema. L'umanità è in crisi. E l'unica via di uscita da
questa crisi catastrofica sarà una nuova solidarietà tra gli umani".
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