Da “Anche Renzi
è da reality ma meglio coatti che col loden” intervista ad Enrico Vanzina di
Malcom Pagani, su “il Fatto Quotidiano” del 26 di agosto dell’anno 2014: (…). “Questo
paese è diventato la landa del cazzeggio continuo senza mai un istante in cui
ci si fermi a riflettere. Ridono tutti, non si capisce bene per che cosa. In
radio trionfano, senza un’unghia del suo talento, imitatori di Fiorello a vario
titolo. In giro si sentono storiacce di guerra e decapitazioni, ma noi perdiamo
la testa solo per la battuta. Fino all’autunno che immagino un po’ meno allegro
del presente ci attaccheremo a Flaiano e considereremo la situazione grave, ma
non seria. Dopo, si vedrà”. (…).
A proposito di avventure, in estate,
vestendo fogge improbabili, hanno imperversato i politici. “Si sono adattati al
nuovo linguaggio seriale. Tutti vogliono il loro reality e i politici non fanno
eccezione. Vanno a farsi prendere in giro a Striscia o a Le Iene, diventano
attori comici a loro volta. Il problema è che la politica non può essere
soltanto avanspettacolo. Poi c’è il tema dell’autoreferenzialità”.
Affrontiamolo. “Prenda Renzi che, ci tengo a
dirlo, per me è un bravo ragazzo ed è tutt’altro che un cafone”.
Renzi, preso. “Ecco, Renzi si è dovuto
adattare ai social network e ineluttabilmente, visto che l’unico imperativo
contemporaneo sembra essere rimandare in continuazione la propria immagine
impegnata in una, dieci, cento esistenze, ha creato a sua volta la propria
serialità. Renzi allo stadio, Renzi Scout, Renzi in Iraq. A volte va bene, a
volte meno. Non importa. L’unica cosa che conti è esserci e riaffermare
un’identità. Sotto Renzi, poi, gli italiani si comportano esattamente nello
stesso modo. E in una realtà parallela, che nulla ha a che vedere con il reale,
nuotano felici senza alcuna evoluzione”.
Perché? “Perché nell’autonarrazione non c’è
mai un passo in avanti nello stile del racconto. Descriviamo noi stessi, ma lo
facciamo sempre nello stesso modo. Bisognerebbe uscire dall’ossessione, ma a
dire il vero non so come”.
Siamo passati dal doppiopetto di Silvio B.
al giubbotto Fonzie di Matteo R. ? “Una nuova stagione, con un altro
protagonista vestito diversamente. Berlusconi è un laico travestito da
democristiano, Renzi invece è proprio un democristiano impegnato a parlare con
una sinistra più perbenista di lui. Entrambi sanno comunicare, e bene, con la gente
normale. In qualche modo si somigliano e Berlusconi, per uno costretto a far
convivere tante anime come Renzi, è insieme spettro e modello”.
I cafoni del 2014 somigliano a quelli di
ieri? “Neanche un po’. Il cafone di ieri, osservato con orrore da chi nel nuovo
ricco vedeva l’usurpatore, era ignaro della propria cafoneria. La sventolava
semplicemente , senza curarsi del contesto”.
Il cafone contemporaneo? “È compiaciuto,
tronfio, perfettamente consapevole di esportare un piccolo modello di successo.
Se lo tiene stretto, non dubita mai. È terribile? Sì, lo è. Ma ormai il Cafonal
è stato sdoganato, difficile invertire la tendenza”.
Colpe? Responsabilità? “Posso osare un
paradosso? ”.
Prego. “Credo che il punto di non ritorno si
sia verificato con il declino di Berlusconi. Il paese si è visto proporre i
bocconiani e ha detto no. Non conta che Mario Monti sia stato bravo o pessimo e
io sicuramente non ce l’ho con lui, ma quell’epoca è stata il manifesto della
noia”.
E come ha reagito l’italiano al manifesto
della noia? “Sapete che c’è?” si è detto un vastissimo pezzo di Paese: “Meglio
il cafonal della tristezza, meglio morire coatti che vivere
nell’autoflagellazione, meglio l’allegria. Non abbiamo più niente e forse
moriremo affogati nei debiti, ma almeno lo faremo ridendo”.
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