Da “Quando
mia figlia a 5 anni ha scoperto che c'è la povertà” di Arianna Huffington,
sul settimanale “D” del 30 di agosto dell’anno 2014: Sogno il giorno in cui fare il
volontario sarà naturale come fare shopping. Perché aspettare che un leader ci
salvi non basta, bisogna iniziare a fare da sé. Dare, amare, prendersi cura
delle persone, praticare l'empatia e la compassione, superare i propri limiti e
abbandonare le proprie sicurezze per contribuire ad aiutare gli altri: ecco
qual è l'unica risposta possibile alla moltitudine di problemi che il mondo si
trova ad affrontare. Se il benessere, la saggezza e la capacità di stupirsi
sono la nostra risposta alla chiamata che sentiamo da dentro, ne consegue che
mettersi al servizio degli altri è la risposta naturale alla chiamata
proveniente dall'umanità. Ci troviamo immersi in molteplici crisi, economiche,
ambientali e sociali. E non possiamo aspettare che un leader sul cavallo bianco
venga a salvarci. Quel leader dobbiamo trovarlo tutti noi, guardandoci allo
specchio e compiendo i passi necessari per cambiare le cose, nelle nostre
comunità come dall'altra parte del pianeta. Ciò che fa del mettersi al servizio
degli altri qualcosa di così potente è che a giovarsene sono entrambe le parti.
Quando mia figlia minore Isabella aveva 5 anni, abitavamo a Washington. Un
giorno stavamo facendo volontariato al Children of Mine, un centro per bambini
in difficoltà nel quartiere disagiato di Anacostia. Il giorno prima avevamo
festeggiato il compleanno di Isabella con una torta a forma di sirenetta,
regali, palloncini e festa. Il caso ha voluto che l'indomani, al centro per
l'infanzia, anche un'altra bambina compisse i 5 anni. E la sua festa di
compleanno consisteva in nient'altro che un biscotto al cioccolato con una
candelina sopra: quel biscotto era la torta e al tempo stesso il suo unico
regalo. Da un lato all'altro della stanza, ricordo, vidi che a mia figlia si
riempivano gli occhi di lacrime. In quel momento, dentro di lei scattò
qualcosa, qualcosa che io non avrei mai potuto insegnarle. Quando tornammo a
casa, Isabella corse in camera sua, prese tutti i regali che aveva ricevuto e
mi disse che voleva portarli a quella bambina. Non è che all'improvviso si
fosse trasformata in Madre Teresa: in seguito, Isabella i suoi episodi di
egoismo li ha avuti eccome. Ma fu comunque un momento profondo, il cui effetto
la accompagnerà per sempre. Ecco perché mi piacciono tanto quelle famiglie in
cui si trova regolarmente il tempo di fare volontariato tutti insieme. Il mio
sogno è che un giorno tutte le famiglie, quando si tratterà di decidere come
impegnare il fine settimana, si domandino: «Questo weekend cosa facciamo?
Andiamo per negozi, al cinema, oppure a fare volontariato?». Sogno il giorno in
cui fare volontariato risulterà naturale, e non una cosa eccezionale, o che ci
fa sentire particolarmente nobili. Soltanto una delle cose che facciamo, e che
ci mette in contatto gli uni con gli altri. È l'unico modo in cui, come
individui, potremo realmente cambiare la vita di milioni di bambini che non
hanno un tetto, o che hanno fame, o che vivono in zone urbane dove la violenza
è un fatto quotidiano. Quella bambina di Anacostia che festeggiava il
compleanno con un biscotto è una degli oltre sedici milioni di bambini che solo
in America vivono nell'indigenza, in condizioni che mettono a rischio la loro
salute, il loro rendimento scolastico e la possibilità di avere un futuro. Ed è
un problema che va peggiorando. La percentuale di bambini che negli Stati Uniti
vivono in famiglie a basso reddito è passata dal 37 per cento del 2000 al 45
per cento del 2011. Fino a quando la compassione e la generosità non
diventeranno parte integrante della nostra vita quotidiana, continueremo a
liquidare questi dati statistici con una scrollatina di spalle nervosa e
qualche disillusa spiegazione che tuttavia non offre risposte: «È il sistema
che è guasto», oppure «i politici litigano troppo per realizzare le riforme
importanti». È vero, quello che la politica deve fare è molto, ma noi non
possiamo limitarci a delegare la nostra compassione allo Stato e starcene a
bordo campo, lamentandoci perché non fa abbastanza. Una compassione davvero
profonda può liberarci da tutto ciò che pone limiti alla nostra mente quando si
tratta di immaginare il possibile. Solo così potremo contrastare l'eccesso di
avidità e narcisismo che ci circonda.
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