Da “La
povertà in aumento curata coi soldi falsi: Renzi vende il Sì” di Marco
Palombi, su “il Fatto Quotidiano” dell'11 di agosto 2016:
(…). Partiamo dai soldi. Il
problema è che i 500 milioni (che Renzi Matteo vuole devolvere in beneficienza
pro-Sì al referendum novembrino n.d.r.) l’anno con cui Renzi vuole rimpinguare il
Fondo per la lotta alla povertà non esistono. Va apprezzata, certo, la
progressiva moderazione: si trovano ancora dichiarazioni in cui i risparmi
della riforma erano quantificati in un miliardo. Durante l’ultimo anno qualcosa
deve averli fatti dimezzare, ma sono ancora lontani dai risparmi veri. Quanto a
quelli, c’è un documento del 18 novembre 2014 della Ragioneria generale dello
Stato – cioè un dipartimento del Tesoro, cioè il governo – assai preciso. I
risparmi preventivabili, secondo la Rgs, sono meno di 60 milioni. In generale,
nel 2016 il Senato dovrebbe costare (da bilancio di previsione) circa 560
milioni: 330 milioni se ne andranno in pensioni degli ex senatori e degli ex
dipendenti e in stipendi del personale (voci non tagliabili). Si risparmierà
sulle indennità dei senatori, che sono state abolite: valgono 42,1 milioni.
Tolti i 14 milioni che rientrano dall’Irpef, però, il minor costo per lo Stato
sono 28 milioni. I vari rimborsi spese, invece, resteranno in vigore, ma solo
per i 100 senatori scelti tra consiglieri comunali e sindaci (ora sono 315): i
37,2 milioni approntati quest’anno vanno dunque ridotti di due terzi. Il minor
costo lordo è di circa 25 milioni, tolte le tasse 20: sempre che non esplodano
i costi di vitto, alloggio, viaggi e segreteria dovuti al fatto che i senatori
“dei territori” dovranno fare avanti e indietro da Roma. Sugli altri costi di
funzionamento del Senato – circa 70 milioni – bisognerà vedere come ci si
regolerà in futuro, ma è difficile immaginare meraviglie visto che Palazzo
Madama resterà aperto. E ancora: l’abolizione del Cnel comporta, per la
Ragioneria, risparmi pari a 8,7 milioni. Infine ci sono i costi delle province,
che sono state abolite già una decina di volte ma continuano magicamente ogni
volta a produrre risparmi. In realtà – stante che i dipendenti resteranno nella
P.a. – è difficile ce ne siano: dal 2014 il personale politico non prende più
stipendio. (…). Ora i risparmi falsi della riforma costituzionale il premier
vorrebbe darli ai poveri (“sarebbe bello”). Curiosamente, questo governo si è
finora disinteressato del problema, eppure le sue dimensioni sono cresciute
durante l’èra Renzi a livelli mai visti. L’ultimo dato Istat, diffuso a fine
luglio, ci dice che 4 milioni e 598 mila italiani vivono in “povertà assoluta”,
il 7,6% della popolazione residente (1 milione e 582 mila famiglie): quella
percentuale era al 6,8% nel 2014 (e al 7,3% nel 2013, dopo un anno e mezzo di
governo Monti con annessi “salva-Italia”). Un dato semplicemente senza
precedenti in tempo di pace: nel 2007 la percentuale di individui residenti in
Italia in povertà assoluta era il 4,1% (2 milioni e 427 mila persone). A fronte
di questi numeri preoccupanti, prima della propaganda fatta in una Festa
dell’Unità in Emilia il governo Renzi aveva fatto poco e niente. I suoi
provvedimenti fiscali sono stati gli 80 euro – da cui però sono esclusi gli
incapienti (cioè chi guadagna meno di 8mila euro l’anno) – e una lunga serie di
sgravi alle imprese (dalle assunzioni ai super-ammortamenti): l’obiettivo era
rilanciare i consumi (è andata malino), gli investimenti (idem) e l’occupazione
(poca roba). Agli incapienti zero, alle pensioni minime zero (“ma mi piacerebbe
aumentarle”), l’unico parto del governo per chi è in grave difficoltà economica
è il Fondo anti-povertà: 600 milioni quest’anno e un miliardo l’anno prossimo,
in parte recuperati peraltro da fondi già esistenti. Siccome così fa la miseria
di 217 euro a “povero assoluto”, si partirà dalle famiglie con minori o
disabili gravi (280 mila in tutto). Nel frattempo, però, abbiamo buttato due
anni. Ricorda l’ex ministro del Lavoro (con Letta) Enrico Giovannini: era stato
predisposto un progetto organico chiamato SIA (sostegno all’inclusione attiva),
che coinvolge Asl, scuole, centri per l’impiego e Comuni. La sperimentazione
era stata avviata nel 2013, poi arrivò #enricostaisereno e “caduto il governo
lo si è fatto due anni dopo”. Le stime del governo dicono che basterebbero poco
più di 5 miliardi per debelalre la povertà assoluta. È la metà di quanto
costano gli 80 euro.
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