Da “Tettuccio
rialzabile” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 29 di luglio
2016: Uh come parlava bene. Come le cantava, per esempio, a quei dilettanti
del governo Monti. “Se il governo tecnico vuole, possiamo dirglielo noi dove
tagliare, facciamo noi i consulenti gratis: dalle caserme vuote agli stipendi
dei manager pubblici” (3.5.2012). “È allucinante che non si possa intervenire
sulla retribuzione degli alti manager di Stato (12.10.’12). Ma anche a quelle
salme del governo Letta: “Vanno ridotti gli stipendi per i top manager
pubblici, che sono alti tre volte la media europea. Valga la regola
olivettiana, uno stipendio al massimo 10 volte dall’ultimo lavoratore”
(19.11.’13). Bravo. “Sugli stipendi dei manager pubblici troppo alti, uscirà
Filippo Taddei con uno studio realizzato dal professor Perotti” (14.1.’14).
Giusto: mai più senza Taddei e Perotti. Poi finalmente al governo ci andò lui,
e lì si parve subito la sua nobilitate. “Prenderemo 500 milioni di euro dagli
stipendi dei manager. Se sei un dirigente della PA è giusto che guadagni più
del presidente della Repubblica? No e ci sono molti dirigenti che guadagnano di
più. Se non riuscirò a tagliare sarà colpa mia. E lo so dove mi manderanno gli
italiani. Mi daranno del buffone” (13.3.’14). Ben detto: del buffone.“Confermo
l’intervento sugli stipendi dei dirigenti pubblici” (21.3.’14). Bravone. “I
manager resisteranno a parole, ma poi ovviamente è naturale che le cose
cambino, non è possibile che l’ad di una società guadagni 1000 volte in più
dell’ultimo operaio, torniamo a un principio di giustizia sociale. Noi non
molliamo” (23.3.’14). Così si fa: mai mollare. “Sul tetto agli stipendi dei
dirigenti pubblici, piaccia o non piaccia, il governo intende andare fino in
fondo. Altrimenti andiamo a casa. È il modo di fare la pace con gli italiani”
(26.3.’14). Sacrosanto: piaccia o non piaccia, fino in fondo. “Per noi la prima
scelta è di stare vicini alle persone che guadagnano di meno. Sugli stipendi
dei manager, vedrete che sarete contenti (7.4.’14). Ma che dico contenti:
contentissimi. “Per chi lavora nel pubblico, 238 mila euro sono più che
sufficienti, è un elemento di limite che ci vuole, in questi anni si è
totalmente sforato” (8.4.’14). Parole sante: un elemento del limite a 238 mila,
e mai più sforato. “Non è possibile che un manager prenda un premio massimo se
il Paese va a rotoli. Da adesso inizia a pagare chi non ha mai pagato, è
un’operazione di giustizia sociale” (8.4.’14). Ecco, che paghino un po’ anche
loro. “Facciamo una stretta molto significativa, tra i 350 e i 400 milioni”
(8.4.’14). Perbacco, da leccarsi i baffi. Poi il 20 maggio 2015 la Rai emise il
suo primo bond sul mercato obbligazionario: serviva a rifinanziare il debito,
ma soprattutto a consentire ai “nuovi” manager che Renzi stava per nominare di
sfondare il tetto di 240 mila euro appena fissato in pompa magna dal decreto
Competitività. Motivo: il decreto del governo Renzi esenta dal tetto le società
quotate in Borsa e a quelle non quotate che “emettono titoli negoziati su
mercati regolamentati”. Tipo appunto, dal 20 maggio, la Rai. Appena in tempo,
perché il 6 agosto Renzi piazza l’amico Campo Dall’Orto sulla poltrona di
Gubitosi e tanti altri amichetti nei posti chiave. I 5Stelle, in ottobre,
presentano un emendamento alla riforma Rai per evitare lo sfondamento del tetto
sugli stipendi col trucco del bond, ma il Pd vota contro e lo affossa. Così gli
stipendi dei manager Rai tornano festosamente a superare i 240 mila euro (e non
solo dei manager: anche dei Merlo). (…)
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