Da “La
Costituzione è nostra non dei mercati” di Maurizio Viroli, su “il Fatto
Quotidiano” del 20 di agosto 2016: (…). …cari mercanti internazionali, (…) dei
vostri ammonimenti non ce importa un fico secco. Siete pregati di farvi gli
affari vostri anziché ficcare il naso in una questione che non vi compete,quale
la Costituzione di uno Stato sovrano, e di cui non capite una mazza. Siete
abituati a trattare con investitori, azionisti, dipendenti e fare i conti con i
profitti e coi vostri interessi. Vi sfugge il particolare che esistono anche
dei cittadini di libere repubbliche che pensano in termini di bene comune, che
non intendono prendere ordini da chicchessia e vogliono decidere con la loro
testa sotto quale Costituzione vivere. Se Renzi fosse un vero capo di governo,
e se il Presidente Mattarella intendesse come intendo io il dovere di
rappresentare l’unità nazionale, avrebbero risposto più o meno in questi
termini al concerto di pressioni dei non meglio identificati mercati
internazionali (…). Ma il primo, immagino, si starà sfregando le mani
soddisfatto per l’aiuto alla sua campagna referendaria; il secondo, che io
sappia, tace. Qui non si tratta del diritto delle istituzioni finanziarie
internazionali di operare secondo le regole del mercato, ma della loro
arrogante pretesa di influenzare con aperte minacce il voto del referendum. Non
sta scritto da alcuna parte che i capi dei governi di paesi democratici a
economia di mercato non possano e non debbano sottrarsi ai loro comandi. Nel
1936, in piena campagna elettorale, il presidente americano Franklin Delano
Roosevelt disse di essere consapevole che i monopoli della finanza lo odiavano,
e aggiunse: “I welcome their hatred” (“ben venga il loro odio”) e tirò dritto
con le sue politiche del New Deal che permisero agli Stati Uniti di uscire
dalla tremenda crisi economica del 1929. Da queste parti di leader politici del
calibro di Roosevelt non se ne vedono. E francamente dispiace leggere che un
uomo e un politico della tempra di Romano Prodi, che potrebbe fare la
differenza, è orientato a votare no ma non intende dichiararlo pubblicamente
per una sorta di “spirito nazionale” e di timore delle speculazioni
finanziarie. Ma proprio lo spirito nazionale bene inteso impone di prendere
posizione netta e operare con tutte le proprie forze per il no, se si crede in
coscienza che la vittoria del sì devasti la Costituzione. C’è forse un bene
comune più alto della Costituzione? Se i capi non sanno tenere la schiena
dritta davanti alle oligarchie finanziarie possiamo farlo noi cittadini, con un
bel no che nasce dalla volontà di dire a lorsignori che non prendiamo ordini da
nessuno. Se la maggioranza degli italiani voterà sì perché impaurita dalle
minacce dei mercanti vorrà dire che è felice di essere serva. Che differenza
c’è fra obbedire a un padrone domestico e obbedire ai padroni della finanza
internazionale? Ma allora tanto vale andare fino in fondo e chiedere a JP
Morgan o a Bloomberg di scrivere loro la nostra Costituzione e toglierci
l’inutile fardello della libertà. Affermare il diritto e dovere dei popoli di
scegliere la propria Carta contro i potenti stranieri non è nazionalismo, ma
quel sano amor di patria di cittadini che pretendono rispetto e non tollerano
di essere trattati come bambini da potenti che traggono la loro potenza dal denaro.
E lasciamo stare la fandonia che la vittoria del no danneggerebbe l’Europa.
Sono i politici da barzelletta sempre pronti a fare quello che vogliono i
mercati che stanno distruggendo l’ideale europeo. Quell’ideale, vale la pena
ricordarlo, era di un’Europa di popoli. Ma veri popoli sono soltanto quelli che
vogliono e sanno essere arbitri del loro destino. Nella nostra storia, noi
italiani raramente siamo stati in grado di affermare la nostra dignità di
popolo e di riscattarci dai padroni stranieri. Ma qualche volta ci siamo
riusciti. Proviamo, almeno proviamo.
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