Alla caduta dell’uomo venuto da
Arcore l’amico carissimo mi dice: - Non mi sembra che tu ne sia rallegrato di
questa caduta -. Resto perplesso per l’osservazione. È tutta vera. Non ne sono
rallegrato e la “cosa” mi sorprende assai. Si era sperato nel miracolo,
nell’incanto che ne sarebbe sopraggiunto. È forse così: ne siamo come
incantati, storditi. Stupiti. Troppo presto, tutto è avvenuto troppo presto;
troppa grazia, signore. Ci rifletto sopra ed un istante dopo mi pare di avere
trovato la risposta: - C’è poco da rallegrarsi. Quella falsa moneta che oggi
spaccia come “segno” di responsabilità – a seguito della lettera europea - nei
confronti del paese è tanto falsa che non riusciremmo a pagarci un nulla a fronte
delle iniquità, delle macerie che ci ha costretto ad ammucchiare nel corso
della sua occupazione del potere. Con la sua moneta falsa tenta di salvare la
faccia sua e basta, assieme alle sue sostanze certamente -. Lo si va ripetendo
da anni il ritornello: ci saranno montagne di macerie materiali e morali da
rimuovere che non ci sarà consentito rallegrarci per gli accadimenti che
avevamo sperato che si inverassero. È un’amara verità. È la crudeltà della
Storia. Scrivevo su questo blog in tempi oramai lontani, arcaici, il 29 di
settembre dell’anno 2003: Andando lungo
la sottile ed incerta linea d’ombra che separa la cronaca dei nostri giorni
dalla Storia. Scriveva Alexis de Tocqueville al caro amico De Beaumont il 5
Ottobre dell’anno 1828 : “(…). Meditate bene su questo, niente offre più
ampia materia di riflessione: supponiamo che un despota s’impadronisca della
sovranità, il suo potere, qualunque esso sia, avrà dei limiti, se non altro
quelli dettati dalla paura; ma un sovrano investito del potere di fare ogni
cosa in nome della legge è molto più temibile, e lui non teme nulla. (…)”.
Pare proprio essere un severo monito
per le cronache di questi nostri giorni, allorquando le vicissitudini
politiche sembrano non destare quegli allarmi che una sana e robusta democrazia
dovrebbe attivare rapidamente per arginare le mostruosità legislative già
realizzare ed impedire ulteriori stravolgimenti che renderebbero questo Paese
impresentabile a sé stesso ed al consesso delle nazioni più progredite. Termine
all’auto-citazione.
Ecco il punto, ecco il senso di questo “doveravatetutti” che non
ci esime, oggigiorno, in questa nuova circostanza, d’interrogarci sulle cose
andate e tollerate. Scriveva il grande martire di Ales in quello che intitolò “Odio gli indifferenti”: “(…).
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto
perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia
aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le
leggi che solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che
poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. (…)”. Ecco perché è
necessario in questo momento chiederci “doveravatetutti”. Tutti, con le
responsabilità che ne derivano d’essere cittadini a pieno titolo di una
democrazia. E di una democrazia avvilita, sminuita nelle sue istituzioni e
rappresentanze ne scrisse il compianto Giuseppe D’Avanzo - Napoli, 10 dicembre
1953/Calcata, 30 luglio 2011 - sul quotidiano “la Repubblica” del 13 di maggio
dell’anno 2011 col titolo “Lo statuto
della menzogna”. Poiché essa, la menzogna per l’appunto, prima di questa “caduta”,
nell’indifferenza dei tanti, era divenuta la “verità” del potere. Trascrivo di
seguito il pregevole “pezzo” in parte. Per un responsabile esercizio di
“memoria”. Perché non s’abbia a dire “non sapevamo”: (…). …distrutta la trama della
realtà con la menzogna, chi stringe nelle sue mani potere politico, economico e
mediatico può ridurre ogni istituzione - come ogni essere umano - a repliche
dei suoi slogan ideologici, distruggendo ogni storia e ogni forma personale di
vita, non rinunciando ad assassinare caratteri, in caso di ostilità o
resistenza. (…). Ora ciò che è decisivo in questo dispositivo letale per la
realtà e la dignità degli uomini (viene voglia addirittura di parlare di
libertà degli uomini) è lo statuto della menzogna nell'èra berlusconiana (ed
oltre n.d.r.). Sappiamo, anche se qualche sapiente ce lo ricorda ogni giorno, che la
menzogna è stata sempre impiegata a fini politici, ma la comune menzogna
politica utilizzata da istituzioni, leader, ministri, capi partito nella
storia, in democrazia e a ogni latitudine è molto diversa dalla menzogna
berlusconiana. La comune menzogna politica vuole nascondere la verità,
camuffarla, ma ha sempre chiara la distinzione tra ciò che è vero e ciò che è
falso. Non è così per la menzogna berlusconiana per la quale non esiste alcun
criterio di verità praticabile eccetto per ciò che viene dichiarato vero in
quel momento. Comune menzogna politica è la commemorazione dei Re Magi, ricorda
Leszek Kolakowski. Nacque come un'invenzione per rafforzare la dottrina con cui
la Chiesa rivendicava la propria supremazia sui poteri secolari. Tuttavia la
Chiesa non ha riscritto il Vangelo di Matteo per giustificare la leggenda. La
storia dei Magi, dei monarchi in visita a Gesù bambino, è rimasta in vita ma
come innocente, folkloristico evento non come verità. Al contrario, ai fedeli è
stato concesso di scorgerne e comprenderne la falsità. Ammesso che menzogna sia
qui una parola adeguata, è di altra natura, ha un'altra funzione la menzogna
berlusconiana. Essa abolisce l'idea stessa di verità perché, a differenza della
comune menzogna politica che ha sempre un obiettivo specifico, la menzogna
berlusconiana è sistematica e totalitaria. Pretende di rendere superflua la
realtà e di espropriare la memoria delle persone; di cancellare i ricordi di
luoghi, fatti, parole in una sorta di sterilizzazione mentale e morale della
società che lascia tutti confusi, smarriti, indotti a credere che nulla sia
vero in se stesso; che i fatti siano soltanto opinioni e che la realtà politica
non sia altro che un caleidoscopio di menzogne, un reticolo di immagini che si
possono comporre, scomporre, ricostruire a piacere o secondo convenienza. La
menzogna sistematica è il più autentico nucleo del sistema politico
berlusconiano. Senza la menzogna, non ci sarebbe Berlusconi. Senza la menzogna
sistematica, Berlusconi non potrebbe rendere indecifrabile, quasi misteriosa e
comunque non giudicabile per l'opinione pubblica la realtà italiana e il suo
fallimento politico. Senza una menzogna deliberata, accuratamente studiata, non
potrebbe assassinare i suoi avversari politici, minacciare i non conformi,
costringere al silenzio e all'obbedienza i più deboli. La menzogna e la verità.
I duri fatti e la realtà di cartapesta creata in laboratorio da chi dispone il
pieno controllo dei meccanismi della risonanza. Ecco, non c'è questione più
squisitamente politica di questa nell'Italia di Berlusconi (ed oltre,
come in peccaminosa continuità n.d.r.) e appare un impegno preliminare per ogni
iniziativa di rilievo pubblico - e dunque soprattutto per l'informazione -
misurarsi con questo paradigma di potere che agisce, trasforma, modifica la
realtà come se fosse potenzialmente trascurabile, modificabile o negabile nella
sua totalità. Diventa sempre più chiaro quel che si deve responsabilmente fare
per contenere questa avventurosa negazione della realtà. Bisogna proporre con
ostinazione i duri fatti, rappresentare l'attualità delle cose dimenticando la
retorica pilatesca delle risse, dei veleni, dei duelli che non illuminano la
scena, ma la confondono colpevolmente sposando il fondamento menzognero di
Berlusconi. Non c'è alcuna guerra civile in Italia. C'è un uomo che dichiara
guerra a chiunque si dichiara moderatamente critico, costruttivamente in
dissenso, dichiaratamente antagonista. Allora, è vero, bisogna parlare proprio
di libertà perché ‘senza un'informazione basata sui fatti e non manipolata -
scriveva Hannah Arendt - la libertà d'opinione diventa una beffa crudele’.”
Dietro quella “menzogna” abbiamo trascorso un ventennio delle nostre vite,
della nostra Storia. Quando se ne potrà finalmente uscire? Non scorgo luci in
fondo al nostro tenebroso tunnel politico e sociale.
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