È una fortuna
avere qualcuno che sappia ascoltare, e che pratichi i quattro parametri (...)
enunciati dalla comunicatrice texana Barbara Miller - "Receive":
ricevere; "Appreciate": dare segni di apprezzamento mentre l'altro
parla; "Summarizing": riassumere quello che ci ha detto;
"Asking": rivolgere domande per andare più a fondo -.
Da “Ecco
perché nessuno ascolta più nessuno” di Stefano Bartezzaghi, sul quotidiano
la Repubblica del 2 di agosto dell’anno 2014: (…). La realtà è che mentre
qualcuno parla pensiamo a cosa dire noi; oppure lo interrompiamo per rispondere
al problema che ci sta ponendo prima di averlo capito bene, o ascoltiamo
«dall'interno di una sorta di solido bunker che abbiamo messo anni a costruire
e di cui però non siamo ancora consapevoli», come dice Julian Treasure, che si
occupa di "ascolto consapevole". (…). Il problema, però, potrebbe
essere ancora più generale. Ha a che fare con il primato dato nelle nostre
mitologie sociali all'attività, alla performatività, e dunque alla parola
detta. In Italia, poi, le logomachie dei talk-show e più recentemente degli
streaming (quello fra Grillo e Renzi resta un culmine) dimostrano con
un'evidenza sconsolante come la comunicazione sia vissuta in termini di quantità
— occupazione di spazio e tempo, annichilimento dell'agibilità locutoria altrui
— piuttosto che di qualità. Ed è paradossale che in un discorso pubblico
dominato da concetti come "audience" (uditorio, da "udire")
e "share" (condivisione), la vittoria non si consegua con i gol
davvero realizzati. Basta il possesso palla. (…). È che la gente si è abituata
a parlare da sola al televisore e dire «quanto sei cretino» a quello che si
pensa sia un ectoplasma privo di orecchie: lo aveva intuito già negli anni
Ottanta il Woody Allen che faceva intervenire Marshall McLuhan in persona in
una conversazione privata che lo concerneva ( Io e Annie) , o che faceva
interagire gli attori sullo schermo con la spettatrice Mia Farrow fino a farla
entrare nella storia ( La Rosa purpurea del Cairo). Oggi a teatro gli
spettatori parlano, commentano, anticipano, rispondono al telefono e non
sembrano assolutamente consapevoli che lì a loro è richiesto di mantenere una
posizione di puro ascolto, e ascolto di quello per cui hanno pagato il
biglietto (se l'hanno pagato). (…). …l'interlocutore che guarda l'orologio, che
riceve un sms e lo legge e risponde dicendoci «parla, parla, ti ascolto», che
ci domanda qualcosa che avrebbe dovuto aver ascoltato due minuti fa non solo
non ci piace. Ci frustra nel desiderio, o nella necessità, di una conversazione
che ci porti qualcosa, anche la mera sensazione di aver fatto passi avanti nel
discorso. E quando invece ricordiamo a qualcuno qualcosa che ci ha detto mesi
prima, è sempre più frequente registrarne uno stupore quasi commosso: «Ma
allora quando parlo mi ascolti!». (…). E la verità è che siamo governati
dall'attivismo, dall'impazienza, dalla frenesia: e anche dalla sordità.
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