"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 4 aprile 2017

Sfogliature. 76 “Destra e sinistra pari lo sono”.



Ha scritto Curzio Maltese sull’ultimo numero del settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “La sinistra che ha perso anche la cultura” - del 31 di marzo ultimo scorso: L’unica volta che si cita il termine (cultura n.d.r.) a sinistra è solo per parlare di “cultura di governo”, che significa in pratica essere disposti a qualsiasi compromesso pur di comandare, lisciare il pelo ai gruppi dominanti e approvare le crescenti ingiustizie, svendere i diritti acquisiti e applicare senza batter ciglio ricette di destra nel nome di un presunto riformismo moderno. Pur di stare al governo e allontanare così la vergogna e la noia di dover stare all’opposizione. L’esatto opposto di quei vecchi capi comunisti, che al governo non sarebbero mai arrivati, ma dall’opposizione hanno cambiato davvero la vita e ottenuto risultati enormi, straordinarie riforme, lavoro e salario e pensioni dignitosi, assistenza sanitaria e istruzione pubblica di alto livello per le classi popolari. Il tradimento del primo dei valori di sinistra, la difesa dei deboli, è all’origine del declino socialista in tutta Europa. Ci si interroga: “destra e sinistra pari lo sono?”. Lo sono. O almeno lo sono divenute. La “sfogliatura” che si propone alla lettura risale al giovedì 22 del mese di febbraio dell’anno 2007. Per dire che essa, la “sfogliatura” intendo dire, con la vicenda “Minzolini” non ha da spartire la concomitanza temporale dei fatti, anzi dei misfatti, ma tutto per intero il perdurante malcostume che connota la “casta” politica che affolla ed affama il bel paese. Ha scritto quanto sopra Curzio Maltese or sono dieci anni dopo, annotavo e scrivevo a quel tempo: (…). La prima (la destra politica italiana n.d.r.) se ne frega dei principi e persegue coerentemente i propri obiettivi e i propri interessi, nelle forme e nei modi che sembrano più adeguati al raggiungimento di tali scopi. Se qualcuno, al suo interno, vilipende il tricolore e qualcun altro lo sventola di continuo, essa non si lacera pubblicamente in polemiche sul valore della bandiera, di cui assai poco le importa, perché esibire questo conflitto nuocerebbe ai suoi interessi. La sinistra è piena di gente vogliosa soprattutto di dire la sua, di gridare i propri sentimenti, le rabbie, le delusioni e di esibire nobiltà e la sensibilità della propria anima bella, senza preoccuparsi se i modi e le forme in cui ciò avviene oggettivamente aiutano oppure ostacolano l’affermazione e la difesa di quei valori in cui si crede e per i quali si combatte e per i quali, se veramente si crede in essi e non solo nel proprio stato d’animo, bisognerebbe essere pronti a sacrificare qualcosa, anche – se necessario – le effusioni del proprio stato d’animo. (…).
Scrive così Claudio Magris nel capitolo “Eclissi della responsabilità” nel Suo lavoro “La storia non è finita”. E siamo tornati al punto di partenza. Ha ripreso ad oscillare il pendolo della politica del bel paese, anzi del peggior politichese, ad oscillare nel suo periodo breve compreso tra una destra “politicante” assolutamente impresentabile ed una sinistra trinariciuta ed inconcludente. Destra e sinistra. Non conosco la prima, ché non è stata mai nei miei orizzonti ideali e culturali. Ed allora immagino la destra impresentabile del nostro paese per come la ho potuta conoscere attraverso la saggistica e la stampa. Ed immagino corrisponda alla perfezione alla descrizione che ne ha fatto Claudio Magris, di una “destraccia” che “se ne frega dei principi e persegue coerentemente i propri obiettivi e i propri interessi, nelle forme e nei modi che sembrano più adeguati al raggiungimento di tali scopi”. Ed è facile intuirne i motivi non ideali e pratici dei suoi componenti, il maggior numero dei quali è dedito, o lo è stato, alle cosiddette “arti liberali”, o meglio liberiste oggi, per le quali arti necessita riporre ideali e fumisterie varie per concentrarsi convenientemente sul concreto, ovvero sugli affari e sul denaro che tanto non porta odore alcuno. È la destra che immagino e che tanto ha scandalizzato un grande che non c’è più, ma che nella destra ideale e non affaristica si è sempre riconosciuto, quel grande che è stato Indro Montanelli. Asseriva quel grande che l’interesse unico della destra “politicante” del bel paese fosse quello del “manganello”, tanto si rivelava essa sensibile alle soluzioni estreme e ne invocava in tante occasioni l’intervento spedito e deciso. Ed allora, diventa difficile pensare ed invocare una destra che non c’è, che non c’è mai stata e che non ci sarà a maggior ragione nel corso di questi tristissimi anni, abbondantemente monopolizzati dai peggiori media che si conoscano sulla faccia del pianeta Terra. Ma all’altro estremo dell’oscillare del pendolo vi è la sinistra trinariciuta che ben conosco, avendola frequentata e dalla quale mi sono allontanato in anni non più recenti, pur continuando ad esserle fedele nel voto, in mancanza d’altro purtroppo. Averla votata – turandomi il naso come consigliava quel grande e che lui stesso ha sostenuto nell’ultimissima stagione della sua vita - nel corso degli anni ha voluto significare assicurarmi una insperata uscita di sicurezza poiché, al pari dei polli di manzoniana memoria, i componenti della sinistra “ politicante “ del bel paese hanno continuato e continuano a comportarsi, con grave danno per la tenuta sociale e con il ricorrente svilimento delle pubbliche istituzioni. Conosco bene la sinistra “politicante”, per averla vista da presso nei suoi militanti che, per non rubare il termine caro all’economista Ichino, concorrono a rinfoltire le schiere di quei personaggi dediti alle elucubrazioni più incredibili e vacue, conoscitori, facitori e sostenitori della cooptazione negli organigrammi, organigrammi centellinati in estenuanti sedute politiche – ché hanno l’ardire di definirle tali - al pari del più notorio manuale “Cencelli”, senza criterio di selezione alcuno che non fosse della lealtà indiscussa ed incondizionata ai capi e capetti vari delle varie correnti, sottocorrenti ed anime. Non dediti essi alle “arti liberali” nella loro stragrande maggioranza, non hanno potuto anteporre – come nella politica propria della destra nazionale - interessi immediati e concreti, e pertanto “spoliticando” hanno provveduto a coltivare ed ingigantire il loro narcisismo fatto di solipsismi il più delle volte inintelligibili ai più degli umani, solipsismi contorti e men che mai capaci di supportare seriamente la politica vera che è fatta di scelte calate nel concreto dei problemi e delle urgenze. Ma non si creda affatto che tale loro disposizione all’inconcludenza sia sempre stata fine a se stessa; riescono così di conserva a ritagliarsi una spazio piccolo piccolo di finto potere, ma pur sempre potere, ma bastevole a ringalluzzire di continuo il loro sproporzionato “ io “ personale che annegherebbe nell’ignavia solo che lo si lasciasse correre libero per il mondo complesso dei pensieri razionali. È questa sinistra del peggiore politichese che pur sempre è riuscita a mobilitare migliaia e migliaia di coscienze esauste ed esasperate da una fase politica massacrante, nelle indimenticabili tornate delle “primarie” e nella estenuante e trepidante attesa dei risultati elettorali in tante occasioni dati per scontati, sciorinamento di risultati che ha assunto sempre l’andamento dello psicodramma, con tutte le ombre su brogli e connessi, ombre  che non sono mai state fugate e che non lo saranno mai, per come avviene nel bel paese per tutte le cose che siano in qualche relazione con il mondo politico nazionale e locale. E siamo quindi al punto di partenza, assordati come saremo dallo sproloquiare di questi vanesi che trascorrono il loro tempo, ma ahimè anche il nostro, nell’estasiato ascolto delle loro elucubrazioni che nulla portano alla gente che sempre più numerosa si defila dall’impegno politico, per il quale impegno necessita sempre essere legati ad un “carro”, vigendo ancora il nepotismo più smaccato nell’ambiente politico più longevo almeno nel novero dei paesi del cosiddetto primo mondo.

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