27 di aprile dell’anno 1937, ore 4,40: muore a Roma,
nella clinica “Quisisana”, Antonio Gramsci. Da “La scoperta della libertà” di Maurizio Viroli, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 18 di aprile 2017: (…). Nel 1975 esce (…) per Einaudi, sotto
l’egida dell’Istituto Gramsci, la prima edizione critica dei Quaderni del
carcere, a cura di Valentino Gerratana. Su quei quattro volumi furono promosse
molte iniziative e si aprì un importante dibattito culturale e politico sul
concetto di egemonia, sul rapporto fra democrazia e socialismo, sul ruolo e la
natura del partito, sulla Rivoluzione d’Ottobre, sugli intellettuali, sulla
storia d’Italia, sulla questione meridionale. A Gramsci va riconosciuto il
merito storico di aver avviato nel mondo comunista la consapevolezza che non
era possibile in Italia seguire la via della Rivoluzione d’Ottobre. Lo ha fatto
con l’unico argomento che poteva essere efficacie, vale a dire la
considerazione realistica delle condizioni storiche. Sarebbe sbagliato
sostenere che Gramsci aveva capito che la trasformazione socialista della
società deve avvenire soltanto nel pieno rispetto delle libertà civili e delle
regole democratiche. Ma una volta dichiarato che la via sovietica non poteva
essere percorsa, che il proletariato “può e deve essere dirigente [vale a dire
ottenere il consenso degli altri gruppi sociali] già prima di conquistare il
potere governativo”, e che deve continuare ad essere dirigente anche dopo la
conquista del potere, restava aperta, di fatto, soltanto la via democratica. L’intuizione
più felice di Gramsci è a mio giudizio l’idea della “riforma intellettuale e
morale”. In un passo delle ‘Noterelle sul Machiavelli’, la descrive come “elevamento
civile degli strati depressi della società”, simile, per la sua capacità di coinvolgere
ampi strati delle classi subalterne, alla Riforma protestante e
all’illuminismo, ma capace di conservare e rielaborare “i caratteri di
classicità della cultura greca e del Rinascimento italiano”. E giustamente
sottolinea che la riforma intellettuale e morale “non può non essere legata a
un programma di riforma economica , anzi, il programma di riforma economica è
appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e
morale”. “Banditore” della riforma intellettuale morale doveva essere per
Gramsci, il “moderno Principe”, il partito comunista, che diventa, nella sua
visione, non più un’avanguardia volta esclusivamente al lavoro di agitazione e
organizzazione in vista della conquista del potere politico, ma un partito
educatore e formatore di coscienze, una vera e propria scuola dove gli elementi
migliori delle classi subalterne imparano a dirigere il complesso della vita
sociale alla luce di ideali di emancipazione. Il limite dell’idea gramsciana
della riforma intellettuale e morale non non risiede nella sua concezione del
partito politico come educatore e formatore di coscienze, ma nella sua
convinzione che il partito della classe operaia debba essere il punto di
riferimento del giudizio morale e politico: “il moderno Principe sviluppandosi
sconvolge tutto il sistema dei rapporti intellettuali e morali in quanto il suo
svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o
dannoso, come virtuoso e scellerato, solo in quanto ha come punto di
riferimento il moderno principe stesso e serve a incremenatre il suo potere o a
contrastarlo”. Il Principe, conclude Gramsci, “prende il posto, nelle
coscienze, della divinità o dell’imperativo categorico” (Quaderni del carcere,
vol. III, p.1561).
Ma la coscienza personale è e deve rimanere rigorosamente individuale: può accogliere l’imperativo morale o la divinità, ma mai lasciare entrare come sua guida suprema un soggetto collettivo, non importa se è lo stato, o il partito o una chiesa. Se la coscienza personale accetta la guida o l’autorità di un soggetto collettivo non è più pienamente libera e non può costruire nè uno stato nè una società liberi. In quegli stessi anni, nel confino di Lipari, Carlo Rosselli scriveva su Socialimo liberale: “Non esistono fini della società che non siano, al tempo stesso, fini dell’individuo, in quanto personalità morale; anzi questi fini non hanno vita se non quando siano profondamente vissuti nell’intimo delle coscienze. [...]Uno Stato libero vuole prima e soprattutto uomini liberi. E uno Stato socialista spiriti socialisti. Io non esito a dichiarare che la rivoluzione socialista sarà tale, in ultima analisi, solo in quanto la trasformazione della organizzazione sociale si accompagnerà ad una rivoluzione morale, cioè alla conquista, perpetuamente rinnovantesi, di una umanità qualitativamente migliore, piú buona, piú giusta, piú spirituale.” Carlo Rosselli partiva da Mazzini; Gramsci da Marx e da Lenin. Per arrivare all’idea del socialismo come trasformazione sociale sorretta da una riforma intellettuale e morale capace di realizzare l’elevamento civile delle classi subalterne, aveva percorso una lunga strada grazie alla libertà morale e intellettuale che gli diede la forza di andare contro le idee prevalenti nel suo stesso partito, senza paura di affrontare, anche nelle terribili condizioni del carcere, l’ostilità degli stessi compagni comunisti che lo giudicavano un traditore della causa. La sua è una testimonianza di libertà, per tutti i tempi.
Ma la coscienza personale è e deve rimanere rigorosamente individuale: può accogliere l’imperativo morale o la divinità, ma mai lasciare entrare come sua guida suprema un soggetto collettivo, non importa se è lo stato, o il partito o una chiesa. Se la coscienza personale accetta la guida o l’autorità di un soggetto collettivo non è più pienamente libera e non può costruire nè uno stato nè una società liberi. In quegli stessi anni, nel confino di Lipari, Carlo Rosselli scriveva su Socialimo liberale: “Non esistono fini della società che non siano, al tempo stesso, fini dell’individuo, in quanto personalità morale; anzi questi fini non hanno vita se non quando siano profondamente vissuti nell’intimo delle coscienze. [...]Uno Stato libero vuole prima e soprattutto uomini liberi. E uno Stato socialista spiriti socialisti. Io non esito a dichiarare che la rivoluzione socialista sarà tale, in ultima analisi, solo in quanto la trasformazione della organizzazione sociale si accompagnerà ad una rivoluzione morale, cioè alla conquista, perpetuamente rinnovantesi, di una umanità qualitativamente migliore, piú buona, piú giusta, piú spirituale.” Carlo Rosselli partiva da Mazzini; Gramsci da Marx e da Lenin. Per arrivare all’idea del socialismo come trasformazione sociale sorretta da una riforma intellettuale e morale capace di realizzare l’elevamento civile delle classi subalterne, aveva percorso una lunga strada grazie alla libertà morale e intellettuale che gli diede la forza di andare contro le idee prevalenti nel suo stesso partito, senza paura di affrontare, anche nelle terribili condizioni del carcere, l’ostilità degli stessi compagni comunisti che lo giudicavano un traditore della causa. La sua è una testimonianza di libertà, per tutti i tempi.
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