Da “Le leggi della natura non sono fatte per
noi” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 16 di aprile
dell’anno 2016: L'umanità ha inventato la tecnica proprio per soddisfare quei desideri,
progetti e sogni che giustificano la nostra esistenza, oltrepassando i limiti
dell'ordine delle cose. (…), appellarsi alla natura offre quella serenità e
quel senso d'innocenza, se non addirittura di giustizia, che accompagna chi,
richiamandosi alla natura, pensa di ragionare senza essere condizionato da
alcuna fede né ideologia. Non è così. Riferirsi alla natura come a un buon
criterio per decidere sui nostri comportamenti, le nostre scelte, le nostre
azioni, sottintende che la natura è "buona" e "giusta",
come vuole la tradizione giudaico-cristiana che così la concepisce in quanto
creatura di Dio: tutto ciò che Dio crea è buono, come sappiamo dal primo libro
della Bibbia, il Genesi. Anche Leopardi, nonostante non credesse in Dio,
soffriva di questa inconscia cultura cristiana, se è vero che nella lirica A
Silvia scrive: «O natura, o natura,/ Perché non rendi poi/ Quel che prometti
allor? perché di tanto/ Inganni i figli tuoi?». In realtà la natura non ha promesso
proprio niente a nessuno. E solo l'ipotesi che sia "buona" consente
di pensare, davanti a una disgrazia, che la natura ci abbia ingannato. La
natura non è né buona né cattiva, è semplicemente indifferente alla vicenda
umana. Fa nascere eterosessuali, omosessuali, bisessuali senza alcuna ragione,
così come fa nascere sani e malati, belli e brutti, fa morire giovani e vecchi,
nel suo ribollire senza scopo né perché fa tremare la terra, l'inonda di
improvvise lave vulcaniche e onde tsunamiche che provocano sciagure non
imputabili ad alcuno, né evitabili. La natura, come bene aveva visto Goethe, è
caratterizzata da una crudeltà innocente perché, per il suo ricambio e la sua
conservazione, non esita a far nascere e morire gli individui, che soggiacciono
impotenti alla sua legge: «Senza farsi pregare e senza avvertire», scrive
Goethe, «la natura ci rapisce nel vortice della sua danza e si lascia andare
con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. Viviamo nel suo seno
e le siamo estranei. Parla incessantemente con noi e non ci rivela il suo
segreto. Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità, eppure niente le
importa degli individui. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il
suo artificio per avere molta vita». Dalla natura, l'umanità si è difesa
attraverso la scienza e la tecnica che hanno creato il mondo attuale in cui da
occidentali viviamo, dove la natura, che un tempo ospitava la città come sua
enclave, oggi è diventata lei stessa un'enclave della città, al cui interno si vive
più comodamente di quanto non si vivesse allo "stato naturale". La
nostra vita, che la natura aveva programmato di 40/50 anni, grazie alla scienza
e alla tecnica, si è allungata quasi del doppio. In una parola, i limiti
naturali sono stati oltrepassati in quella lotta che, non sappiamo quanto
consapevolmente, l'umanità ha ingaggiato con la natura, interessata solo alla
conservazione della specie e non alla felicità degli individui, ai loro
desideri, ai loro progetti, ai loro sogni e a tutte quelle buone ragioni che
gli individui, prima di sottostare alla legge della natura che inesorabile
sancisce la morte, riescono a reperire per vivere. Tra queste buone ragioni c'è
anche quella di generare e crescere con amore un figlio, se la tecnica,
ideazione umana per contrastare l'indifferenza della natura per la sorte umana,
lo consente.
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