Dal nuovo “impero del bene” la corrispondenza “Scusi presidente, dov'è il dottore?” di
Vittorio Zucconi, pubblicata sul settimanale “D” del 15 di aprile 2017: (…). Alaa
al Nufa, così si chiama, uno sciamano lo è per davvero ma moderno, con una
laurea in Medicina conseguita a Damasco e una specialità in endocrinologia
pediatrica che era andato a prendere nella Università del Sud Dakota. Si era
sposato, cinque anni or sono,con una ragazza del posto. Aveva avuto una bambina
e aveva preso un impegno solenne al momento di partire dalla Siria: aveva
promesso alla madre vedova e alla sorella più grande, che avevano dedicato la
vita a lui per permettergli di studiare, di andarle a prendere e portarle a
vivere in America,magari in una zona un po' meno gelida della Grande Prateria
dei Sioux. Invece oggi Alaa il Siriano ad appena 32 anni è in trappola. Le
speranze di procurare un visto alla madre e alla sorella sono pari alla
temperatura media di gennaio a Sioux Falls, meno di zero. L'ipotesi di andare
lui a Damasco per far conoscere la moglie e la nipotina alla sua famiglia è da
scartare, perché il pericolo di restare bloccato è troppo alto per un musulmano
di ritorno da un viaggio in Siria. Il rischio più grave non è neppure al
rientro, ma all'uscita, perché lui è l'unico endocrinologo per centinaia di
chilometri di prateria specializzato nel trattamento di un male che affligge
sproporzionatamente i bambini e soprattutto i bambini delle riserve indiane: il
diabete. Attorno al suo studio, madri di varia carnagione formano circoli di
preghiera, ciascuna a divinità con nomi diversi, portano coperte e amuleti,
firmano petizioni per trattenerlo. Se lui se ne andasse o non potesse tornare,
migliaia di pazienti resterebbero privi di assistenza, perché i medici
specialisti disposti a vivere e ad esercitare la professione in uno Stato dove
il reddito medio è di un quinto inferiore alla media americana, e la pratica
della medicina ancora una vocazione missionaria, sono pochi. Come quei bambini
diabetici del South Dakota, così milioni di altri americani, grandi o piccini,
dipendono ormai per la loro salute da medici, infermieri, personale tecnico
venuto da lontano. Un medico generalista su tre non è nato in Usa e senza quei
dottori asiatici, africani, indiani, cinesi, europei, la prima linea di difesa
della salute, quella che accoglie l'80 per cento dei pazienti prima di
smistarli a specialisti o di mandarli a casa rassicurati con una pacca sulla
spalla e una ricetta, sarebbe sguarnita. Il 90 per cento dei piccoli ospedali
di campagna, quelli che offrono assistenza primaria, dai parti ai piccoli
interventi chirurghici, sparpargliati nell'immensità del grande ventre
americano, non potrebbe funzionare senza immigrati. E chi ha un bambino con le
coliche o un anziano caduto dalle scale non chiede a quale religione appartenga
il medico del pronto soccorso. Alaa al Nufa lo sa, come sa che probabilmente
non rivedrà mai più la madre, che ha 82 anni e, ironia crudele, soffre di
diabete, visto che difficilmente lei sopravviverà ai quattro o otto anni
dell'amministrazione in carica a Washington. Un medico islamico siriano resterà
per curare i bambini Sioux. Perché questa è la realtà del mondo di oggi.
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