"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 9 aprile 2016

Storiedallitalia. 73 “Vespa, le domande che mancavano”.



Scriveva Giovanni Valentini sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell’anno 2013 – “Fra stampa e Tv la rete non gode” -: (…). Secondo l'Agcom, (…), la televisione conferma il suo predominio assoluto, con la tv generalista che conserva il 75% dell'audience media e quella satellitare che rastrella più pubblicità, fino a diventare leader del settore (2,63 miliardi di euro, pari al 32%). A soffrirne è innanzitutto l'editoria che, in un calo generalizzato, accusa nel 2012 una perdita di un miliardo (-16% per i quotidiani e -22,4 per i periodici). L'unica mezza buona notizia riguarda l'online che invece continua a crescere, seppure lentamente (+10,3%). Fra i due "litiganti", stampa e televisione, il terzo insomma non gode o - per dir così - non gode ancora abbastanza. L'Italia rimane al quarto posto in Europa nella classifica del numero di persone che non hanno mai avuto accesso a Internet (37,2% contro una media europea del 22,4): in pratica, più di un italiano su tre non frequenta la Rete. E quindi il trend positivo di questo settore non basta a compensare il declino di tutto il mercato. (…). Quanto per i cittadini che rischiano di veder compromessa la libertà d'opinione, insieme al pluralismo e alla concorrenza: un valore politico e uno economico. Il duopolio televisivo resta in posizione dominante, con un terzo soggetto come la tv satellitare che ormai scavalca Rai e Mediaset nei ricavi, ma non nell'audience. Sta di fatto che l'editoria italiana, a causa dei propri ritardi e ancor più di quelli strutturali, non è riuscita finora a convertirsi con sufficiente rapidità dalla carta al digitale. (…). Anno 2013, prima che si “cambiasse verso”. Ché una volta scoperto il fittizio cambio di “verso”, difficile risulta stabilire, nello smarrimento generale, l’entità reale degli avvenimenti. Stante il fatto che, rispetto ai dati allora registrati da Giovanni Valentini, non sia difficile supporre che le cose non siano cambiate più di tanto, se non in peggio. Gli italiani continuano ad abbeverarsi al tubo catodico o a qualsivoglia suo succedaneo. È così che la penetrante azione di disinformazione continua lenta ma imperterrita nonostante gli apparenti cambiamenti di “verso”. Ne è prova l’ultima polemica insorta all’indomani della “performance” del vespide televisivo che (non) intervista un soggetto vissuto all’oscuro del triste fenomeno della mafia. Come sempre mi sono sottratto a quell’inutile esposizione del nulla in tutte le sue forme e sostanze. Chi di mestiere ne è stato obbligato ha dovuto fare da cornice passiva ad un puro intrattenimento mediatico, senza il quale mi è dato da percepire la vita avrebbe continuato a scorrere nei consueti binari dell’ovvio. E tra quelli di mestiere Francesco Merlo ne ha scritto sul quotidiano la Repubblica dell’8 di aprile - “Le domande che mancavano” – in prima pagina con rimando alla pagina 33:
Guardate che intervistare il figlio di un mafioso assassino è una grande occasione perduta del giornalismo. (…). Da che mondo è mondo (…) il giornalismo intervista i cattivi, i malfattori, i malavitosi e racconta anche le mani insanguinate, i peggiori dittatori, i criminali più efferati. Certo, ci vuole la distanza che Vespa non ha, e bisogna fare le domande vere, incalzare, persino irridere. E senza bisogno di essere mafiologi. Ecco, regaliamo al collega Vespa qualche esempio, qualche frase diretta:” ma perché fai lo scemo e fingi di non sapere cos’è la mafia”? O ancora: “quanti anni hai, dove hai vissuto sino adesso, non sai che tuo padre ordinava di sciogliere i corpi nell’acido?”. Di più: “ma non capisci il destino che hai davanti, non ti rendi conto che le malefatte di tuo papà condannano per sempre anche te? Perché non reagisci? Ma di quale bene parli?” Certo, devi strapazzarlo un po’, mettere a disagio la sua complicità: “Spiegaci le cose che hai sentito. Su, abbi coraggio, non è possibile che tu abbia visto solo le carezze che faceva a te e non ti passi per la testa che se sta in galera è perché se lo merita”.(…). Purtroppo Vespa ha intervistato il figlio di Riina, che lombrosianamente somiglia fisicamente a suo papà molto più di quanto si somiglino i loro certificati penali, con l’identico ruffianesimo e con la stessa dolce impertinenza che riserva a tutti i suoi ospiti. Ha trattato il mafioso come tratta Renzi e come ha sempre trattato tutti i politici che infatti già ai tempi della Prima Repubblica elevarono la sua trasmissione a Terza Camera del Paese, un’istituzione untuosamente affettuosa dove annunziare, spiegare, fare campagna elettorale. (…). E tuttavia non c’è oggi nessuna Commissione bulgara e nessun Minculpop che abbiano il diritto politico di sdottoreggiare sul giornalismo, anche quando è naturaliter corrivo come questo di Vespa, e soprattutto quando la corrività è stata incoraggiata, protetta e premiata da quegli stessi che adesso lo vorrebbero censurare. La politica vuole governare il giornalismo solo per asservirlo, e anche gli eccessi di retorica e le prese di distanza sono furbizie, così come le solidarietà sono crediti da esigere, cambiali di gratitudine, posti riservati nella future puntate di Porta a Porta. Di sicuro è comprensibile lo sdegno, soprattutto nel mondo nostro di repubblica che da sempre denuncia il giornalismo di Vespa come sapienza manipolatrice. Infatti Vespa conosce il mestiere ed è proprio questo che lo rende abile nel manipolare. Lo penso e lo scrivo, com’è mio diritto e dovere, da quando ero ancora praticante, in tutti i giornali nei quali ho lavorato. E tuttavia la libertà nel giornalismo è aggiungere, non togliere; è correggere, mai sopprimere; è criticare , mai zittire. La Rai ha tutto il tempo per fare e per rifarsi. Ma senza dimenticare che due sere prima Vespa aveva intervistato Maria Elena Boschi sempre ammiccando nel ruolo di spalla-antagonista come il famoso onorevole Trombetta di Totò. Il punto è che ogni volta che Vespa entra in scena, il muscolo della memoria si flette nel tempo e scorrono nello specchietto retrovisore il risotto di D’Alema, la scrivania di Berlusconi, le lacrime di Bersani, il selfie con Grillo … Insomma come tutti i giornalisti – che scrivano o vadano in Tv – anche Vespa porta sulle spalle la propria reputazione, la propria carriera, la propria opera omnia, la propria cifra. Ecco perché fanno sorridere i paragoni che Vespa si concede con i maestri del giornalismo televisivo che intervistarono Sindona, Liggio, i terroristi… Erano ben diverse le cifre di Biagi appunto, di Zavoli, Marrazzo e Barbato. Non sappiamo cosa esattamente Vespa avesse concordato con l’avvocato di Salvo Riina e con l’editore (“A nordest”) di questa ‘Recherche’ , il cui titolo anglo mafioso è “Riina. Family Life”. (…). E sappiamo pure che l’avvocato ha scelto Porta a porta, con le stesse ragioni per cui la scelgono i politici e i potenti: l’affidabilità, quella capacità davvero notevole di cucire per tempo e su misura le interviste e trasformare tutto questo precotto in giornalismo addomesticato. Sappiamo anche che Salvo Riina e il suo avvocato solo dopo aver rivisto e approvato l’intervista hanno firmato quella carta ( ‘liberatoria’ si chiama) che a rigore si dovrebbe firmare prima. Evidentemente. Vespa pensa di compensare anche questo, di potersela cavare con una sorta di par condicio tra mafia e antimafia. Come sempre “la correttezza” diventa in lui un espediente artificioso, una scappatoia formale. A lui e al suo partner di palcoscenico dedichiamo la poesia di Saba che dice: “Non somigliare / a tuo padre”. Perché? “Mio padre è stato per me l’assassino” . Orbene lo sconcerto nasce quando alla pagina precedente – 32 - dello stesso quotidiano si legge a firma di Michele Serra: (…). Sono queste, non altre, le domande e gli scrupoli che hanno spinto Bruno Vespa a invitare a Raiuno Giuseppe Salvatore Riina. La sua intenzione era mettere in atto un esemplare gesto d’appoggio alla piccola editoria indipendente, esclusa dai grandi giri promozionali, negletta nella sua meritoria stravaganza. Se le piccole e sconosciute Edizioni Anordest (Vicenza), schiacciate dal processo di concentrazione editoriale in atto, hanno ottenuto la ribalta della televisione pubblica, è stato solo per un gesto di protesta civile dello stesso Vespa. Basta con le polemiche. Sogno o son desto? Stropiccio gli occhi per le enormità lette. Leggo e rileggo. Si può umanamente immaginare il vespide impegnato in “un gesto di protesta civile”? Risulta all’illustre opinionista un altro “gesto di protesta civile” del vespide televisivo? Ci scrive sopra per prenderci per i fondelli? Risulta a qualcuno che il vespide abbia sollevato le sorti della “piccola editoria indipendente” affidando a quest’ultima la stampa e la diffusione dei suoi ponderosi, natalizi lavori letterari? Si attendono gradite segnalazioni.

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