Da
“Quanti imbarazzi bisogna vincere per
crescere bene” di Claudia De Lillo – in arte Elasti – sul settimanale “D”
del 19 di aprile dell’anno 2014: (…). Il desiderio di essere trasparente, di
confondersi nella folla, di uniformarsi al tuo branco, di non sollevare
interrogativi, di non suscitare stupore, sorpresa o perplessità, di essere normali
- dove quello di normalità è un concetto tanto rassicurante quanto insensato e
inesistente - è un'ambizione legittima dell'infanzia e della prima adolescenza
perché crescere è un'attività insidiosa e impegnativa, che necessita di
anonimato più che di ribalta. Io, da ragazzina, mi vergognavo di avere i
genitori separati, di chiedere informazioni per la strada, di uscire di casa
con il mascara e, qualche anno dopo, di uscire senza mascara, di ammettere che
non avevo fatto né la comunione né la cresima, di rivelare le mie origini
ebraiche, di dire che mia nonna era comunista, di interagire con le commesse
nei negozi di abbigliamento, di domandare «scusi, dov'è il bagno?», di
indossare scarpe che scoprissero le dita dei piedi, di mostrare in pubblico il mio
primo amore, di comprare gli assorbenti, di sciogliermi i capelli a scuola, di
indossare gli occhiali da vista e anche quelli da sole. Da ragazzina, insomma,
mi vergognavo di stare al mondo. (…). L'importante è liberarsi progressivamente
degli imbarazzi e non farne una cifra stilistica, acquisire sicurezza,
emanciparsi dal giudizio altrui e soprattutto dal nostro. L'importante è
alleggerirsi con il tempo. Perché la vita, anno dopo anno, si complica da sola
senza bisogno di paturnie autoinflitte. (…).
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