Da “Né come,
né perché: sulle piattaforme si muore senza diritti” di Emiliano Liuzzi – ultimo
Suo scritto; immaturamente scomparso nella notte tra martedì 5 di aprile e
mercoledì 6 di aprile 2016 -, su “il Fatto Quotidiano” dell’11 di aprile 2016:
Morire
di lavoro. E senza nessuna garanzia per chi resta. Nemmeno sapere perché e come
sia accaduto. Grazie ai governi di Enrico Letta e di Matteo Renzi, la legge che
era in vigore nel 1965 è stata tanto semplificata che le società italiane con
impianti in altri Paesi non devono neanche più comunicare all'Italia l'avvenuto
infortunio. Modifiche (nel 2014 con il Jobs Act, ad esempio) che hanno reso
impossibile qualsiasi indagine per capire cosa sia realmente accaduto. (…). La
mancata denuncia, poi, avrebbe dovuto anche essere corredata dalla precisa
descrizione del fatto, dei nomi dei testimoni e del parere del responsabile
della sicurezza aziendale. Un articolo che non esiste più. La norma è stata
abrogata dalla legge n. 98 del 2013 (il cosiddetto "Decreto del
fare"). Tutto quello che ne segue è stato ricostruito dagli avvocati Luigi
Pisanu e Ivano Iai di Sassari, che seguono il caso dell'infortunio mortale in
Kazakistan di un lavoratore sardo impiegato dalla Elettra Energia S.p.A. in un
cantiere gestito dalla Agip KCO, società di diritto olandese integralmente posseduta
(manco a dirlo) dall'Eni. E qui corre l'obbligo di una parentesi.
Già, perché
l'Eni, azienda statale, ha una serie di imprese controllate con sedi sparse tra
paradisi fiscali e Paesi dove la pressione è più bassa o dove gestisce le
proprie operazioni. C'è l'Agip Energy and Natural Resources, capitale di 5
milioni, che ha sede in Nigeria; la Burren Energy ltd, 62 milioni di capitale,
che invece ha la sua sede alle Bermuda e alle Isole Vergini. Poi un'altra lunga
serie di controllate tra Amsterdam, Londra e Cipro. L'infortunio dal quale gli
avvocati sardi sono partiti è avvenuto in Kazakistan. Alla famiglia di Oreste
Angioi, classe 1954, arrivano dopo diversi mesi dal decesso due certificati
mortuari che attestano diverse date della morte: uno riporta come data il 15
marzo 2010, l'altro dice il 14 marzo e cambia anche il luogo della morte. La notizia
sarebbe invece stata comunicata alla moglie e ai tre giovani figli il 16 marzo,
per via telefonica. Un dettaglio, si fa per dire, che non è ancora stato
chiarito. Soprattutto, la salma rientra in Sardegna quando sono ormai trascorsi
dieci giorni e non è più possibile nessun esame autoptico anche e soprattutto
perché, considerato che non è stata avvisata nessuna autorità di polizia
italiana, bisogna fidarsi: del luogo dove l'incidente o il malore è avvenuto e
sulle cause certificate di decesso che, anche stavolta, sono contraddittorie. Quel
che è certo è che Oreste Angioi, originario di Ottana in provincia di Nuoro
(nota area di crisi del centro Sardegna, segnata proprio dalle dismissioni dell'Eni
e dall'inquinamento) dopo una lunga serie di contratti di lavoro con la Elettra
Energia S.p.A., quando muore ha un contratto a tempo determinato. Ed è
particolare: sei ore al giorno che, però, in forza di un accordo integrativo,
diventano dieci. Non solo: il lavoratore aveva l'obbligo, prima di poter
rientrare a casa, di lavorare 41 giorni di seguito. In un ambiente dove durante
la stagione invernale si raggiungono i 35 - 40 gradi sotto lo zero e nei mesi
caldi punte di 45 gradi. E con un aspetto allarmante: Angioi non poteva
lavorare in condizioni climatiche estreme, né stressanti, come da precise
raccomandazioni scritte del medico aziendale al datore di lavoro, in quanto
affetto da fibrillazione atriale. La visita medica disposta dall'azienda
imponeva di evitare all'operaio lavori in altezza e qualsiasi sforzo. Ma la
società ha continuato a sfruttare il dipendente fino alla morte, per poi cancellare
ogni traccia. Anche l'ultima, quella della disposizione che prevede l'obbligo
di comunicare il decesso alle autorità italiane, sebbene all'epoca dei fatti l'articolo
54 fosse ancora in vigore: l'Eni già sapeva che presto sarebbe diventata un'abrogatio
ad personam, anzi ad societatem: ne ha semplicemente anticipato l'applicazione.
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