Scriveva Giovanni Valentini sul
quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell’anno 2013 – “Fra stampa e Tv la rete non gode” -: (…). Secondo l'Agcom, (…), la
televisione conferma il suo predominio assoluto, con la tv generalista che
conserva il 75% dell'audience media e quella satellitare che rastrella più
pubblicità, fino a diventare leader del settore (2,63 miliardi di euro, pari al
32%). A soffrirne è innanzitutto l'editoria che, in un calo generalizzato,
accusa nel 2012 una perdita di un miliardo (-16% per i quotidiani e -22,4 per i
periodici). L'unica mezza buona notizia riguarda l'online che invece continua a
crescere, seppure lentamente (+10,3%). Fra i due "litiganti", stampa
e televisione, il terzo insomma non gode o - per dir così - non gode ancora
abbastanza. L'Italia rimane al quarto posto in Europa nella classifica del
numero di persone che non hanno mai avuto accesso a Internet (37,2% contro una
media europea del 22,4): in pratica, più di un italiano su tre non frequenta la
Rete. E quindi il trend positivo di questo settore non basta a compensare il
declino di tutto il mercato. (…). Quanto per i cittadini che rischiano di veder
compromessa la libertà d'opinione, insieme al pluralismo e alla concorrenza: un
valore politico e uno economico. Il duopolio televisivo resta in posizione
dominante, con un terzo soggetto come la tv satellitare che ormai scavalca Rai
e Mediaset nei ricavi, ma non nell'audience. Sta di fatto che l'editoria
italiana, a causa dei propri ritardi e ancor più di quelli strutturali, non è
riuscita finora a convertirsi con sufficiente rapidità dalla carta al digitale.
(…). Anno 2013, prima che si “cambiasse verso”. Ché una volta scoperto il
fittizio cambio di “verso”, difficile risulta stabilire, nello smarrimento
generale, l’entità reale degli avvenimenti. Stante il fatto che, rispetto ai
dati allora registrati da Giovanni Valentini, non sia difficile supporre che le
cose non siano cambiate più di tanto, se non in peggio. Gli italiani continuano
ad abbeverarsi al tubo catodico o a qualsivoglia suo succedaneo. È così che la
penetrante azione di disinformazione continua lenta ma imperterrita nonostante
gli apparenti cambiamenti di “verso”. Ne è prova l’ultima polemica insorta all’indomani
della “performance” del vespide televisivo che (non) intervista un soggetto
vissuto all’oscuro del triste fenomeno della mafia. Come sempre mi sono
sottratto a quell’inutile esposizione del nulla in tutte le sue forme e
sostanze. Chi di mestiere ne è stato obbligato ha dovuto fare da cornice
passiva ad un puro intrattenimento mediatico, senza il quale mi è dato da
percepire la vita avrebbe continuato a scorrere nei consueti binari dell’ovvio.
E tra quelli di mestiere Francesco Merlo ne ha scritto sul quotidiano la
Repubblica dell’8 di aprile - “Le
domande che mancavano” – in prima pagina con rimando alla pagina 33:
Guardate
che intervistare il figlio di un mafioso assassino è una grande occasione
perduta del giornalismo. (…). Da che mondo è mondo (…) il giornalismo
intervista i cattivi, i malfattori, i malavitosi e racconta anche le mani
insanguinate, i peggiori dittatori, i criminali più efferati. Certo, ci vuole
la distanza che Vespa non ha, e bisogna fare le domande vere, incalzare,
persino irridere. E senza bisogno di essere mafiologi. Ecco, regaliamo al
collega Vespa qualche esempio, qualche frase diretta:” ma perché fai lo scemo e
fingi di non sapere cos’è la mafia”? O ancora: “quanti anni hai, dove hai
vissuto sino adesso, non sai che tuo padre ordinava di sciogliere i corpi
nell’acido?”. Di più: “ma non capisci il destino che hai davanti, non ti rendi
conto che le malefatte di tuo papà condannano per sempre anche te? Perché non
reagisci? Ma di quale bene parli?” Certo, devi strapazzarlo un po’, mettere a
disagio la sua complicità: “Spiegaci le cose che hai sentito. Su, abbi
coraggio, non è possibile che tu abbia visto solo le carezze che faceva a te e
non ti passi per la testa che se sta in galera è perché se lo merita”.(…).
Purtroppo Vespa ha intervistato il figlio di Riina, che lombrosianamente
somiglia fisicamente a suo papà molto più di quanto si somiglino i loro
certificati penali, con l’identico ruffianesimo e con la stessa dolce
impertinenza che riserva a tutti i suoi ospiti. Ha trattato il mafioso come
tratta Renzi e come ha sempre trattato tutti i politici che infatti già ai
tempi della Prima Repubblica elevarono la sua trasmissione a Terza Camera del
Paese, un’istituzione untuosamente affettuosa dove annunziare, spiegare, fare
campagna elettorale. (…). E tuttavia non c’è oggi nessuna Commissione bulgara e
nessun Minculpop che abbiano il diritto politico di sdottoreggiare sul
giornalismo, anche quando è naturaliter corrivo come questo di Vespa, e
soprattutto quando la corrività è stata incoraggiata, protetta e premiata da
quegli stessi che adesso lo vorrebbero censurare. La politica vuole governare
il giornalismo solo per asservirlo, e anche gli eccessi di retorica e le prese
di distanza sono furbizie, così come le solidarietà sono crediti da esigere,
cambiali di gratitudine, posti riservati nella future puntate di Porta a Porta.
Di sicuro è comprensibile lo sdegno, soprattutto nel mondo nostro di repubblica
che da sempre denuncia il giornalismo di Vespa come sapienza manipolatrice.
Infatti Vespa conosce il mestiere ed è proprio questo che lo rende abile nel
manipolare. Lo penso e lo scrivo, com’è mio diritto e dovere, da quando ero ancora
praticante, in tutti i giornali nei quali ho lavorato. E tuttavia la libertà
nel giornalismo è aggiungere, non togliere; è correggere, mai sopprimere; è
criticare , mai zittire. La Rai ha tutto il tempo per fare e per rifarsi. Ma
senza dimenticare che due sere prima Vespa aveva intervistato Maria Elena
Boschi sempre ammiccando nel ruolo di spalla-antagonista come il famoso
onorevole Trombetta di Totò. Il punto è che ogni volta che Vespa entra in
scena, il muscolo della memoria si flette nel tempo e scorrono nello
specchietto retrovisore il risotto di D’Alema, la scrivania di Berlusconi, le
lacrime di Bersani, il selfie con Grillo … Insomma come tutti i giornalisti –
che scrivano o vadano in Tv – anche Vespa porta sulle spalle la propria
reputazione, la propria carriera, la propria opera omnia, la propria cifra.
Ecco perché fanno sorridere i paragoni che Vespa si concede con i maestri del
giornalismo televisivo che intervistarono Sindona, Liggio, i terroristi… Erano
ben diverse le cifre di Biagi appunto, di Zavoli, Marrazzo e Barbato. Non
sappiamo cosa esattamente Vespa avesse concordato con l’avvocato di Salvo Riina
e con l’editore (“A nordest”) di questa ‘Recherche’ , il cui titolo anglo
mafioso è “Riina. Family Life”. (…). E sappiamo pure che l’avvocato ha scelto
Porta a porta, con le stesse ragioni per cui la scelgono i politici e i
potenti: l’affidabilità, quella capacità davvero notevole di cucire per tempo e
su misura le interviste e trasformare tutto questo precotto in giornalismo
addomesticato. Sappiamo anche che Salvo Riina e il suo avvocato solo dopo aver
rivisto e approvato l’intervista hanno firmato quella carta ( ‘liberatoria’ si
chiama) che a rigore si dovrebbe firmare prima. Evidentemente. Vespa pensa di
compensare anche questo, di potersela cavare con una sorta di par condicio tra
mafia e antimafia. Come sempre “la correttezza” diventa in lui un espediente
artificioso, una scappatoia formale. A lui e al suo partner di palcoscenico
dedichiamo la poesia di Saba che dice: “Non somigliare / a tuo padre”. Perché?
“Mio padre è stato per me l’assassino” . Orbene lo sconcerto nasce
quando alla pagina precedente – 32 - dello stesso quotidiano si legge a firma
di Michele Serra: (…). Sono queste, non altre, le domande e gli scrupoli che hanno spinto
Bruno Vespa a invitare a Raiuno Giuseppe Salvatore Riina. La sua intenzione era
mettere in atto un esemplare gesto d’appoggio alla piccola editoria
indipendente, esclusa dai grandi giri promozionali, negletta nella sua
meritoria stravaganza. Se le piccole e sconosciute Edizioni Anordest (Vicenza),
schiacciate dal processo di concentrazione editoriale in atto, hanno ottenuto
la ribalta della televisione pubblica, è stato solo per un gesto di protesta
civile dello stesso Vespa. Basta con le polemiche. Sogno o son desto? Stropiccio
gli occhi per le enormità lette. Leggo e rileggo. Si può umanamente immaginare
il vespide impegnato in “un gesto di protesta civile”?
Risulta all’illustre opinionista un altro “gesto di protesta civile” del
vespide televisivo? Ci scrive sopra per prenderci per i fondelli? Risulta a
qualcuno che il vespide abbia sollevato le sorti della “piccola editoria indipendente” affidando
a quest’ultima la stampa e la diffusione dei suoi ponderosi, natalizi lavori
letterari? Si attendono gradite segnalazioni.
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