La “sfogliatura” di seguito proposta è del 14 di
giugno dell’anno 2010, della serie “cattivipensieri”. Sono stato spinto
a proporla dopo aver letto su “il Fatto Quotidiano” di ieri – lunedì 11 di
aprile – la interessante recensione di Maurizio Viroli al volume “L’educazione del principe cristiano”
di Erasmo da Rotterdam, volume che riappare nelle librerie per i tipi di
“Edizioni di pagina” – pagg. 310, € 19 -. Scrive Maurizio Viroli - “La politica non è solo cinismo: Erasmo
contro Machiavelli” -: (…). …governare sudditi con il loro consenso
e per il pubblico bene è opera che eleva e nobilita chi la esercita. Il governo
dispotico, invece, degrada moralmente e intellettualmente sia chi lo esercita
sia chi lo subisce. Governare, (…), vuol dire in primo luogo servire, caricarsi
sulle spalle il peso della pubblica responsabilità. Per assolvere un compito
tanto arduo e delicato, non servono le ricchezze, né le nobili origini, né la
bellezza del corpo, né le amicizie influenti, ma soltanto la saggezza, il senso
della giustizia, la moderazione, l’amore del pubblico bene. Sono davvero così
invecchiate queste semplici idee cristiane, o dovremmo piuttosto, ammaestrati
dall’esperienza di quanto è bello essere governati da politici che le deridono,
riscoprirle ed esigere che siano rispettate? Dai più vari pulpiti ci sentiamo
ripetere da anni che la bontà non può essere virtù di chi governa. Erasmo
sostiene il principio opposto: se puoi essere al tempo stesso un uomo buono e
un principe, la tua sarà opera magnifica, ma se non puoi, rinuncia ad essere
principe piuttosto che diventare un uomo cattivo. È certo possibile trovare un
uomo buono che non è in grado di essere un buon principe, ma non si può essere
buon principe senza essere al tempo stesso un uomo buono. Erasmo sapeva bene
che anche ai suoi tempi questa massima era considerata ingenua. Ma all’opinione
comune opponeva l’argomento che non può certo governare bene chi non sa
governare se stesso; chi, per effetto dell’eccessiva ambizione e della
sconfinata brama di potere e ricchezze, non ha né buon giudizio né buon senso.
Chi crede che la sua volontà, per il solo fatto di essere sua volontà, debba
essere legge non può essere buon principe e dovrebbe essere tenuto più lontano
possibile dal potere politico.
(…). L’umanista olandese ammonisce il principe a
non dimenticare mai di essere prima cristiano e poi principe e di essere pronto
a rinunciare al principato piuttosto che violare i precetti della morale
cristiana. Il segretario fiorentino (Machiavelli n.d.r.) insegna
che un principe, soprattutto un principe nuovo “non può osservare tutte quelle
cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, essendo spesso necessitato, per
mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla
umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia uno animo
disposto a volgersi secondo ch’è venti della fortuna e le variazioni delle cose
li comandano, e [...] non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel
male, necessitato”. Più che di contrasto fra un principe cristiano e un
principe al di sopra o al di fuori della morale cristiana, è più giusto parlare
di due diverse interpretazioni della Scrittura: Erasmo guarda al Vangelo di
Cristo, Machiavelli al Dio dell’Antico testamento, il Dio amico dei fondatori
di stati e dei redentori, come Mosè, che per condurre il popolo d’Israele dalla
schiavitù in Egitto alla terra promessa fece “ammazzare infiniti uomini”. “Chi
loda la guerra non l’ha mai vista in faccia” (“Dulce bellum inexpertis”) recita
uno degli adagi di Erasmo, giustamente famoso. Ne L’educazione del principe
cristiano Erasmo elabora l’adagio in una critica severa all’idea della guerra
giusta. Come la storia dimostra, non mancano ai principi pretesti per invocare
il diritto a muovere guerra. Dovere del buon principe è piuttosto cercare ogni
via per evitare la guerra, anche a costo di rinunciare ad un diritto o a parte
del territorio, e in nessun caso iniziare una guerra. Anche se alcuni padri
della Chiesa e alcuni papi hanno sostenuto che la guerra è legittima,
sottolinea Erasmo, Cristo e gli apostoli ci insegnano il contrario. (…). Il
“cinismo”
sembra essere la “cifra” preminente della politica - anche nel nuovo corso del
“cambiare verso” - che viene a confliggere con i dettami propri della
cristianità. Nella “sfogliatura” scrivevo: (…). Quando il popolo non ha paura del
potere imperante significa che ne sta arrivando un altro più duro. Bisogna
rifarsi a un grande poeta come Paul Valéry per sentir dire che il potere senza
abusi non ha fascino alcuno. La parola potere non esisterebbe nemmeno se non
esistesse l’abuso. E d’abuso non pochi vivono bene, in magnifiche case. Per
questo alcuni popoli non lo disdegnano: la speranza di un colpo di fortuna, di
trovarsi un giorno tra le mani una briciola di potere è sempre viva nelle
comunità spicciole. (…) Il popolo non esiste da un pezzo, è l’infruttuosa somma
di milioni di sosia. Ogni cittadino è degno di sé, insieme perdono molta
dignità. Quando esisteva la bandiera della rivoluzione era tutto il contrario:
l’individuo valeva poco, il popolo tantissimo. Da “Potere” di Vincenzo
Cerami sul quotidiano l’Unità. “Il
popolo non esiste da un pezzo”, eppure nel nome di quell’entità scomparsa
si invoca la legittimazione a governare ed a legiferare purché sia. Mi convinco
sempre di più che la scientificità non alberga solamente e soprattutto nei
laboratori degli omini in camici bianchi, tra storte, alambicchi, microscopi e
beute. Non lo è solamente di quei luoghi misteriosi agli occhi della “gente”.
Ed è pur vero che la scientificità negli affari sociali non è cosa nata di
questi tempi. Altri mostri umani della storia l’hanno applicata con grandi
vantaggi e con spargimento largo di dolori incancellabili. Oggi, probabilmente
quelle tecniche scientifiche applicate al sociale si sono tanto evolute e
raffinate da raggiungere scopi e risultati insperati in altri tempi oscuri
della storia. Joseph Goebbels? Un dilettante. E sì che ne ha inventate tante!
Ma il capolavoro dei capolavori si è realizzato solamente ai giorni nostri;
amalgamare tutto e tutti, rendere indistinti uomini e cose, creare la poltiglia
che è sotto gli occhi di tutti. Nell’indeterminatezza esistenziale accade che “ogni cittadino è degno di sé, insieme
perdono molta dignità”. Ecco il capolavoro dei capolavori nell’ambito del
sociale. Ho avuto modo di definirlo pure della “melassa indistinta” seppur
zuccherosa. È la “melassa indistinta”, seppur zuccherosa assai, che “impedisce
una reazione da parte dell´opinione pubblica?”. Ho letto di un sondaggio
condotto in un mercatino di Roma. Tanti degli intervistati ignoravano il
problematico dibattito sulla “legge bavaglio” e chi dimostrava d’esserne a
conoscenza non lo annoverava tra le priorità del bel paese. Non ci sono dubbi:
difendere i valori contenuti nella Carta è un interesse dei pochi. E poi, di
quella Carta scritta anche col sacrificio di quelli della Resistenza e della Liberazione,
di quella Carta quanto si è trasmesso nell’opera quotidiana? Ben poca cosa,
tanto poca da essere ignorata da parte dei tanti, disconosciuta da parte dei
furbi e degli accaparratori di tutti i tempi. Della necessità di “resistere,
resistere”, di opporre una disobbedienza civile ad un deliberato legislativo
che rinneghi la Carta, ne ha scritto sul quotidiano “La Repubblica” Adriano
Prosperi col titolo “La democrazia
bendata”. Di seguito ne trascrivo la parti che ho ritenuto le più salienti.
È solo per non abbassare sin d’ora le braccia. (…). …in origine il diritto e lo
Stato non avevano lo stretto legame che oggi li unisce: per il diritto contava
la giustizia, per lo stato contava il potere. Il legame si scioglie quando
l´uso brutale o astuto del potere fa del diritto uno strumento unilaterale di
dominio e ne cancella la componente dal basso, cioè le convinzioni morali e le
consuetudini diffuse nella società. Oggi l´Italia mostra al mondo come si fa a
dissolvere lo Stato di diritto senza ricorrere alla violenza, senza bisogno di
quel rumore di sciabole che abbiamo tante volte creduto di sentire nel
cinquantennio passato. L´argomento del potere è il mandato popolare a
governare, ricevuto in sede elettorale e confermato dai sondaggi. La domanda da
porsi è dunque una sola: poiché viviamo in un sistema formalmente democratico e
non ci sono carri armati per le strade, che cosa impedisce una reazione da
parte dell´opinione pubblica? È evidente infatti che senza un movimento forte e
diffuso gli argini opposti dalla Carta costituzionale sono fragile difesa. Non
per niente la mossa successiva già annunciata dal presidente del Consiglio è la
modifica della Costituzione. Il che mostra quanto sia semplice e prevedibile il
canovaccio a cui obbedisce lo scenario che stiamo vivendo. La sovranità
popolare affermata dalla Costituzione è una finzione giuridica: il popolo
sovrano resta anche in Italia un principe senza scettro, come scrisse a suo
tempo Lelio Basso. Basta una situazione di emergenza perché il potere politico
faccia straccio della Costituzione, abolendola formalmente oppure logorandola e
diffamandola ogni giorno (come oggi accade) tanto da farla morire nelle
coscienze prima di sovvertirla formalmente. La situazione di emergenza in
Italia c´è. (…). …la coscienza civile del paese è oggi ridotta allo stremo, esposta
– come in un celebre racconto di Mark Twain – a subire il colpo di grazia. Dopo
di che gli autori del delitto potranno governare nella definitiva sicurezza
dell´impunità. Ci sono speranze che questo non accada? Le leggi fondamentali di
un Paese vivono finché è desto e vigile lo spirito che le ha create. In
Germania, paese che ha fatto tragica esperienza di quanto fragile fosse
l´argine della Costituzione di Weimar, la Legge fondamentale del secondo
dopoguerra ha previsto il diritto dei cittadini alla resistenza in difesa della
costituzione (art.20, c. IV). Ma non ci facciamo illusioni: anche in questo
caso si tratta di un muro di carta. La resistenza ha da essere un movimento di
massa consapevole e ben guidato. E potrebbe guidarla oggi solo una opposizione
che, cancellando le divisioni e i conflitti di gruppi dirigenti, si mostrasse
finalmente capace di parlare al cuore del paese, risvegliando una coscienza
civile che, per essere stata anestetizzata, corrotta, e addormentata, non è
ancor morta.
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