Da “Quando il cittadino diventa un clandestino” di Barbara Spinelli,
sul quotidiano la Repubblica dell’11 di aprile dell’anno 2012: Risale
a più di dieci anni fa un articolo di Paul Krugman - uno dei più profetici -
sul collasso della compagnia energetica Enron. La Grande Crisi che traversiamo
fu preceduta da quel primo cupo segnale, e in esso l'economista vide, sul New
York Times del 29 gennaio 2002, la forma delle cose future. Quella storia di
finta gloria mischiata a frode era ben più decisiva dell'assalto al Trade
Center, che l'11 settembre 2001 aveva seminato morte e offeso la potenza Usa.
"Un grande evento - era scritto - cambia ogni cosa solo se cambia il modo
in cui vedi te stesso. L'attacco terrorista non poteva farlo, perché di esso
fummo vittime più che perpetratori. L'11 settembre ci insegnò molto sul wahabismo,
ma non molto sull'americanismo". La vicenda Enron mise fine all'età di
innocenza del capitalismo, svelando le sregolatezze e il lassismo in cui era
precipitato. I sacerdoti di quell'età erano prigionieri di dogmi, e nessuna
domanda dura scalfiva la convinzione che questo fosse il migliore dei mondi
possibili. (…). …fra il 2007 e oggi la crisi ha cominciato ad avere i suoi
morti, sotto forma di suicidi.
Sono iniziati in Francia, nel 2007-2008. Ora
quest'infelicità estrema, impotente, lambisce Grecia e Italia, colpite dalla
recessione e da misure che rendono disperante il rapporto fra l'uomo e il
lavoro, l'uomo e la propria vecchiaia, l'uomo e la libertà. Senza lavoro, senza
la possibilità di adempiere gli obblighi che più contano (verso i propri figli,
la propria dignità) la stessa libertà politica s'appanna: diventi un emigrante
clandestino in patria, un trapiantato. Suicidi di questo tipo non sono
patologie intime, dislocazioni dell'anima che nella morte cerca un suo metodo.
In Francia, in Grecia, in Italia, sono tutti legati alla crisi. Sono commessi
da pensionati, lavoratori, imprenditori presi nella gabbia di debiti, mutui non
rimborsabili, aziende fallite. È significativo che quasi tutti si immolino in
piazza o nei posti di lavoro, lasciando lettere-testamenti che dicono
l'indicibile scelta. (…). Il motivo sociale venne sottovalutato, come nel 2002
si sottovalutò il crollo di Enron, rovinoso per i fondi pensione di migliaia di
lavoratori. (…). Il suicida è un indignato che naufraga perché non riconosciuto,
non visto. (…). Chi ha detto che il capitalismo è movimento? Il suicidio
studiato nell'800 da Emile Durkheim è l'autoaffondamento del cittadino cui sono
strappati non solo i diritti ma gli obblighi stessi della cittadinanza: la
libera sottomissione alla necessità del lavoro, il sentirsi parte di una
società, di un ordine professionale, di un sindacato che includa e integri. A
differenza del suicidio intimista, o dell'immolazione altruista, Durkheim lo
chiama suicidio anomico. La sua radice è nell'anomia: nello svanire di norme
che ogni crisi comporta. Nell'impunità di cui godono gli iniziati che di norme
fanno a meno. In quest'anomia viviamo, senza più gli avvocati dell'individuo
che sono stati i sindacati, gli ordini professionali, le chiese, i partiti. La
corruzione di questi ultimi è una manna, per chi vuol fare un deserto e
chiamarlo pace. Grecia e Italia ne sono malate, e non a caso è qui che il
cittadino tramutato in cliente non spera più di essere udito. "Mai gli
uomini consentirebbero a limitare i propri desideri se si credessero
autorizzati a superare il limite loro assegnato. Ma per le ragioni suddette non
possono dettarsi da soli questa legge di giustizia. Dovranno perciò riceverla
da una autorità che rispettano e alla quale si inchinano spontaneamente.
Soltanto la società, sia direttamente e nel suo insieme, sia mediante uno dei
suoi organi è capace di svolgere questa funzione moderatrice, soltanto essa è
quel potere morale superiore di cui l'individuo accetta l'autorità. Soltanto
essa ha l'autorità necessaria a conferire il diritto e a segnare alle passioni
il limite oltre il quale non devono andare". (Durkheim, Il suicidio,
1897). Della società fanno parte partiti, sindacati, imprenditori, governanti:
tutti si sono rivelati incapaci di osservare e dunque imporre le norme, tutti
sono portatori di anomia. Per questo leggi e tutele sono così importanti.
Diceva nell'800 il cattolico Henri Lacordaire: "Tra il forte e il debole,
tra il ricco e il povero, tra il padrone e il servitore: quel che opprime è la
libertà, quel che affranca è la legge". Di legge, di nòmos, hanno bisogno
i cittadini greci e italiani, apolidi in patria. Se è vero che viviamo
trasformazioni planetarie, urge sapere che esse scatenano sempre un aumento di
suicidi: secondo Durkheim anche i boom economici demoralizzano. Dobbiamo infine
sapere che Camus aveva ragione: la rivolta è la risposta, l'unica forse, al
suicidio (…). Quando è positiva, la rivolta tende a reintrodurre il senso della
legge lì dove s'è insediata l'anomia.
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