Da “La
politica della resa” di Roberto Saviano, sul quotidiano la Repubblica del
28 di aprile 2016: Il SUD sta morendo. Il Sud è già morto. Nell'agenda di questo governo,
il Sud è stato affrontato con promesse politiche, con proclami, mentre nel mondo
reale sono altre le forze che agiscono. Per capire il Paese bisogna studiare le
organizzazioni criminali approfonditamente. Il loro assioma di partenza è
semplice: sia che tu voglia fare politica, sia che tu voglia fare impresa, devi
sporcarti. Se vuoi emergere, devi sporcarti. Se vuoi guadagnare, devi
sporcarti. Se non vuoi essere nulla - zi' nisciun (zio nessuno), come si dice
dalle mie parti - allora puoi essere immacolato e onesto. Un principio che
deriva da una convinzione altrettanto chiara: nessuno è pulito, nessuno può
esserlo, se vuole crescere economicamente. E questo è il motivo per cui il
primo gesto davvero efficace contro le mafie sarebbe aiutare gli imprenditori
onesti. (…). La politica viene sostenuta dalle mafie a sua insaputa. È tollerabile?
È credibile? La camorra così fa, è la sua astuzia più grande quella di far
credere che non esiste, che è tutta un'esagerazione, che qui si tratta solo di
normali affari e favori. (…). La politica ha bisogno dell'impresa, l'impresa ha
bisogno del danaro pubblico, il danaro pubblico si ottiene facilmente
attraverso l'accesso al potere criminale, che può vantare capacità industriale,
liquidità finanziaria, potenziale intimidatorio e controllo dei voti. Il potere
criminale minaccia e ammazza senza temere ripercussioni, considera il business
qualcosa per cui si può morire e uccidere; grazie a questo ha la capacità di
ottenere velocizzazioni burocratiche e riesce quindi a snellire anche i
processi. Appoggiarsi alla camorra significa avere il controllo di tutti i
passaggi. La camorra lubrifica ogni singola parte dell'ingranaggio. (…). …il
miglior modo di fare impresa mafiosa è sostenere l'antimafia. (…). …è il metodo
utilizzato da tutte le mafie in questi anni: con il Pd, con i Cinque Stelle,
con tutta quella politica che si dichiara contro la mafia e persino con le
associazioni antimafia. Se avessero potuto - e la 'ndrangheta c'è riuscita -
avrebbero lavorato sicuramente anche con giudici antimafia. Basti pensare che
molte famiglie camorriste e mafiose oggi si fanno difendere da avvocati, spesso
proprio ex magistrati, che provengono da un contesto antimafia. (…). …un altro
problema: l'incapacità del governo di modificare i meccanismi criminali. (…).
…è evidente che la politica non è in grado di fare autodiagnosi, non riesce più
a capire quando diventa partner della camorra. Ma l'aspetto più tragico (…) è
che la politica non riesce più a difendersi senza la magistratura: rimuove, o
costringe alla sospensione, i propri dirigenti solo quando intervengono inchieste
giudiziarie. Il potere politico è nudo, totalmente indifeso di fronte alle
infiltrazioni mafiose, incapace di stanarle e, dunque, di combatterle. E anche
il governo di Matteo Renzi ha perso l'occasione, in questi due anni, di
cambiare davvero. È dal Sud che si cambia.
E la questione che più sta
inficiando la sua autorevolezza è proprio il fallimento della gestione del
Meridione, che Renzi conosce pochissimo: non ha interlocutori affidabili e
quindi non può valutare il problema nella sua portata reale. In questi anni la
paura ha fatto rinchiudere il premier tra amici, nel cosiddetto "cerchio
magico". L'errore risiede non nell'avere tra i propri collaboratori
persone di cui ci si fida, ma piuttosto nel posizionare in posti chiave persone
del proprio giro. E questa è la sua più grande debolezza. Questa chiusura l'ha
inevitabilmente condotto a ignorare la questione meridionale, a delegarla nel
peggior modo, quello leghista: puntando sulla retorica del Sud lamentoso, che
non vuole reagire ma pretende di essere aiutato da altri. Questa è un'accusa
inconsistente, basta leggere i classici della letteratura meridionalista - da
Guido Dorso a Tommaso Fiore - per rendersene conto. Questa presunta lamentosità
è storicamente legata non a tutti i meridionali ma a quella parte di notabili
che puntava ad aumentare lo spazio del proprio privilegio e per farlo chiedeva
una prebenda, in cambio della quale smetteva di lamentarsi: pronti a rifarlo
quando serviva di nuovo mungere lo Stato. Finora il governo si è affidato ai
proclami: prospettare, come ha fatto il Pd (anche se il premier ha dimostrato
maggiore prudenza), assunzioni di sviluppatori Apple, quando invece si tratta
di un banalissimo corso a pagamento; parlare di pioggia di milioni di euro che
non saranno più sprecati riferendosi ai fondi europei, per i quali manca
totalmente un piano di spesa costruttivo; sbandierare il rinnovamento per poi
affidarsi a politici (dalla Calabria alla Campania e alla Sicilia) che hanno
assai poco rappresentato una linea di rinnovamento reale. A Sud ci sono persone
in politica, da esponenti Pd a Cinque Stelle a Sel, che non vedono l'ora di
potersi prendere la responsabilità, di indicare un progetto nuovo: ma vengono
lasciati al margine. Renzi conta sul suo più grande alleato: il commento finale.
Il commento finale? Sì, proprio quello. Il commento che si fa alla fine di ogni
dibattito su questo governo: "Ma l'alternativa quale sarebbe? Possiamo
dare il Paese in mano a Grillo e Salvini?". Ecco: per quanto Renzi crede
di poter godere di questa immunità politica del commento finale? (…).
Da “Quel gap
che blocca la crescita del Sud” di Fabio Bogo, sul settimanale A&F del
18 di gennaio dell’anno 2016: Il gap che separa l'Italia dal resto
dell'Europa è nelle cifre. Il costo del lavoro, secondo le rilevazioni di Rbs,
è il secondo in Europa, mentre per produttività oraria siamo in fondo alla
classifica. L'indice di competitività ci colloca al 43esimo posto nel mondo
contro il decimo del Regno Unito e per contro il peso dell'economia sommersa è
pari al 21,1% del Pil (Londra lo limita al 9,7 %). Il prezzo della benzina, a
causa delle accise, è secondo solo all'Olanda, che però applica alle imprese
un'imposizione media del 25% contro il nostro 35%. La distanza con i partner
dell'Ue può essere ridotta a patto che – (…) - pubblico e privato ricomincino
ad investire in conoscenza e capitale umano. Un recente rapporto Res/Unicredit
spiega, sempre cifre alla mano, che l'Italia ha finora compiuto invece il
percorso opposto. Tra il 2008 ed il 2014 il finanziamento pubblico agli atenei
si è ridotto del 22%, mentre in Germania negli stessi anni è cresciuto del 23%.
Nello stesso periodo è calato il numero degli studenti immatricolati (meno
66mila unità), i docenti sono scesi da 63mila a 52 mila (meno 17%), il
personale tecnico e amministrativo è calato da 72mila a 59mila unità (meno 18%)
ed il fondo di finanziamento ordinario delle università in termini reali del
22,5%. Le cifre sono medie nazionali, che nascondono il disastro più profondo
del Sud. L'Italia disinveste nel suo sistema formativo superiore ma lo fa -
avverte Res/Unicredit - "con particolare intensità proprio nelle regioni
più deboli del paese". Anche qui parlano i numeri. Sul fronte del diritto
all'istruzione, ad esempio, la spesa statale per borse di studio è ferma da
oltre un decennio intorno a 160 milioni (e quindi è in calo in termini reali),
a cui si sommano 120 milioni di aiuti regionali. Francia e Germania investono
due miliardi l'anno, la Spagna uno. Nelle regioni del Sud il 40% degli idonei
non beneficiava degli aiuti, il 60% nelle Isole: il numero dei borsisti,
insomma è più basso dove ce ne sarebbe più bisogno per carenza di risorse
economiche proprie o delle famiglie. L'istruzione nel Mezzogiorno in sostanza
non è rientrata per decenni nel radar degli investimenti dello Stato. Il nuovo
masterplan presentato dal governo lo scorso novembre promette di usare la
riforma conosciuta come Buona Scuola per invertire la tendenza. Aspettiamo: ma
il gap da colmare è impressionante: la spesa pubblica per l'istruzione
universitaria è stata negli anni recenti pari a 332 euro per abitante in
Germania, 305 in Francia e 157 in Spagna. Nel nostro Mezzogiorno a 99 euro, meno
di quanto spendano tutti i paesi sviluppati e anche quelli emergenti. Nel pieno
delle polemiche sulle crisi bancarie fa riflettere che in Italia ci siano 64
filiali di banche ogni 100mila abitanti e appena 11 scuole superiori. La
ricchezza di un paese è anche cultura e istruzione.
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