Da “Malcostume,
mezzo gaudio” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 9 di agosto
dell'anno 2013:
“Riceviamo e volentieri pubblichiamo.” Ecco la lettera di un anonimo barista di
Capri:
Caro Presidente Napolitano,
sono un barista di Capri multato e
denunciato dall’Agenzia delle Entrate per qualche scontrino non battuto
nell’ultimo blitz del 2 agosto. Mentre gli agenti del fisco irrompevano nel mio
locale, stavo leggendo le cronache sulla condanna di Silvio Berlusconi per una
frode fiscale da 7 milioni di euro, residuo di un’evasione da 360 milioni di
dollari falcidiata dalla prescrizione. E ci sono rimasto male, per la condanna
ma soprattutto per la denuncia: gli avvocati del condannato e alcuni ministri
del governo che ha disposto il blitz sostenevano che non si condanna chi ha
versato al-l’erario miliardi, al cui confronto i 7 milioni dimenticati sono
bruscolini, dunque B. è innocente. Ho provato a difendermi allo stesso modo,
rammentando agli agenti del fisco che nella mia vita ho battuto migliaia di
scontrini, al cui confronto quei 10 o 12 dimenticati sono quisquilie, dunque
sono innocente. Ma non hanno sentito ragioni. Uno ha pure fatto lo spiritoso:
“Guardi che la modica quantità per uso personale vale solo per l’hashish e la
marijuana, non per le tasse”. Però ho ripreso fiducia quando ho letto che Lei,
appena condannato B., ha subito chiesto la riforma della giustizia (giusto: è
scandaloso che qualche processo non vada in prescrizione). E che, appena
Schifani e Brunetta sono saliti sul Colle a perorare l’“agibilità” del loro
capo, s’è impegnato a “valutare e riflettere attentamente” come evitare che i
gendarmi raggiungano pure lui per arrestarlo. Io sono un vecchio garantista e
auguro al collega evasore tutto il bene possibile: se va bene a lui, buona
evasione a tutti. Malcostume mezzo gaudio, diceva il nostro Totò. Però un filo
di risentimento verso chi evade e poi manda i blitz ai colleghi confesso di
nutrirlo: sono cose che non si fanno, dài. Non vorrei che alla fine l’unico
evasore beccato con le mani nel sacco (e che sacco!) a farla franca fosse
proprio lui. A quel punto m’incazzerei di brutto. Io non conosco Schifani e
Brunetta e francamente non saprei chi mandarLe a perorare la mia agibilità.
Posso chiedere a mio cognato di fare un salto al Quirinale. In alternativa Lei
potrebbe passarmi il numero verde dell’Sos Colle per le vittime della malagiustizia:
quello di Mancino, per capirci. L’importante è che Lei “valuti e rifletta
attentamente” anche sulla condizione mia e di quanti, come me, evadono e
vengono beccati. Perché, come dice il viceministro Fassina, lo faccio per
sopravvivere; e soprattutto, come direbbero Scajola e Ghedini, a mia insaputa.
Non le dico la faccia che han fatto gl’ispettori quando ho provato a
convincerli che mi stavano denunciando in base al teorema del “non poteva non
sapere” che tanto male ha fatto all’Italia con Mani Pulite cancellando
un’intera classe politica. Ho buttato lì anche il caso Tortora, che si porta su
tutto. E ho aggiunto che B. avrà pure avuto milioni di voti, ma anch’io mi sono
candidato a presidente dell’assemblea del mio condominio e mi han votato tutti.
Apriti cielo! C’è mancato poco che mi arrestassero: se non son finito subito al
gabbio è solo perché li ho convinti – citando Corriere, Sole-24 ore e alcuni
dirigenti Pd – che non è sportivo eliminare gli evasori per via giudiziaria:
meglio batterli nelle urne. Infatti ho deciso di scendere in campo: tanto la
legge Severino sull’ineleggibilità dei condannati era uno scherzo, vero? Non
vorrei imbattermi in giudici come quell’Esposito che prima condanna Wanna
Marchi e poi Berlusconi, dunque è prevenuto contro noi truffatori. Quello che
legge il Fatto e Repubblica, e per giunta confessa di condannare i colpevoli:
dove andremo a finire, roba da ricusazione immediata. Confido molto nel ritorno
all’immunità parlamentare, voluta dai nostri padri costituenti per proteggere
dallo strapotere delle toghe chi froda il fisco e si rifugia in Parlamento. Ora
La saluto, perché qualche scontrino devo pur batterlo, ogni tanto. Ci vediamo
alla Camera o al Senato: mi dicono che è pieno di colleghi.
Da “Padri
nobili” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 21 di aprile 2016:
(…).
Questa frase (…) non può che averla pronunciata Giorgio Napolitano: “Vengono
pubblicate intercettazioni manipolate, pezzi di conversazioni estrapolate dal
contesto. Come è successo al mio consigliere Loris D’Ambrosio che ci ha rimesso
la pelle con un attacco cardiaco. E io certe cose non le dimentico”. Forse non
dimentica, certo ricorda male. Nell’estate 2012, quando gli atti dell’inchiesta
sulla trattativa Stato-mafia furono pubblici col deposito agli indagati, il
Fatto, come altri giornali, pubblicò le intercettazioni fra D’Ambrosio e
Mancino (indagato per falsa testimonianza). E non solo non “manipolò” un bel
niente, ma per completezza riportò integralmente le conversazioni. A parte –
s’intende – quelle tra Napolitano e Mancino, che la Procura di Palermo aveva
stralciato e segretato per chiederne la distruzione al gip, sempreché gli
avvocati fossero d’accordo. Non solo: il Fatto intervistò D’Ambrosio, che
rispose alle domande, ma non a tutte: a quelle sugli ordini di Napolitano
oppose il segreto, riservandosi di rispondere se il presidente l’avesse
sciolto. Il che non avvenne. Così, tra le polemiche per i suoi tentativi di
interferire nelle indagini per conto di Napolitano, il 18 giugno D’Ambrosio gli
scrisse una lettera di dimissioni. E lì gli ricordò di avergli parlato di
“episodi del 1989-‘93 che mi preoccupano” e “mi hanno portato a enucleare
ipotesi… di cui ho detto anche ad altri”, nel “vivo timore di essere stato
allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da
scudo per indicibili accordi”. Napolitano respinse le dimissioni e il 26 luglio
D’Ambrosio morì d’infarto, anche se ora l’emerito vuol far credere che fu
ucciso dalle intercettazioni. Cioè dalle sue testuali parole. Sentito dai pm
dopo lunghe resistenze, Napolitano negò che D’Ambrosio gli avesse parlato degli
indicibili accordi (quindi nella lettera mentiva? e a che scopo?), ma riconobbe
che la frase era “drammatica”. Perché allora non chiese lumi al suo consigliere
quando gliela scrisse? Preferiva non sapere? O già sapeva tutto? Mistero. La
sola certezza è che Napolitano intimò alla Consulta di ordinare il falò delle
sue telefonate con Mancino e fu prontamente accontentato. E ora, mentre invoca
la legge bavaglio, piagnucola perché uscirono solo “pezzi” di intercettazioni.
Una coerenza davvero emerita, di cui lo ringraziamo: le intercettazioni non
devono uscire a pezzi, ma integrali; dunque niente bavaglio.(…).
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