Da “Morale e politica” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del
14 di novembre dell’anno 2009: Non è possibile affrontare, e tanto meno
risolvere un problema, se non si tiene conto del radicale mutamento del
contesto in cui quel problema si pone. Del rapporto tra la morale e la politica
si discute dal tempo di Platone, quando la filosofia greca ha inaugurato questi
due scenari che nel corso della storia sono entrati spesso in conflitto fra
loro. Per il mondo greco, morale e politica non potevano che coincidere, dal
momento che, come scrive Aristotele nella Politica, "gli uomini hanno lo
stesso fine sia collettivamente sia individualmente, e la stessa meta
appartiene di necessità all'uomo migliore e alla costituzione migliore".
Con l'avvento del cristianesimo l'individuo si separa dalla società, perché alla
sua individualità, alla sua "anima" si prospettano un destino
ultraterreno in cui l'individuo, e non la comunità, trova la sua
autorealizzazione. Alla vita collettiva, regolata dalla politica, è affidato il
compito di creare le condizioni per la realizzazione del bene individuale,
quindi il compito della limitazione del male. In questo modo la realizzazione
individuale (la morale) viene separata dalla realizzazione sociale (la
politica), e, in nome della sua interiorità e della sua destinazione ultraterrena,
l'individuo cristiano prende a vivere, come scrive Agostino nel De civitate
Dei, separato nel mondo, e poi dal mondo. Questa è anche la ragione per cui Rousseau
scrive nel Contratto sociale che "il cristiano non é un buon
cittadino": lo può essere di fatto, ma non a partire dalle sue credenze.
La filosofia greca e la tradizione giudaico-cristiana, che sono le due radici
dell'Occidente, hanno deciso di volta in volta, e con vicende alterne, di dare
il primato alla morale o alla politica, fino al giorno in cui la tecnica,
divenuta il vero soggetto della storia, ha subordinato a sé sia la morale, sia
la politica, rendendo tutte le discussioni relative al primato dell'una o
dell'altra questioni subordinate. Per quanto concerne la morale, come
opportunamente scrive Emanuele Severino in Il destino della tecnica (Rizzoli):
"Come fa la morale a impedire alla tecnica, che può, di fare ciò che
può?" E ancora, aggiungo io: come può una morale, i cui princìpi
discendono dalla natura concepita come immutabile, valere nell'età della
tecnica che ha risolto la natura in materia prima, in ogni suo aspetto
manipolabile? La politica, a sua volta, non è più il luogo della decisione,
perché per decidere la politica guarda l'economia, e quest'ultima, per decidere
i suoi investimenti, guarda le risorse tecnologiche. Per cui il luogo della
decisione si è spostato dalla politica alla tecnica. Questo spiega tutte quelle
scorribande in sede politica e in sede morale, che sempre più appaiono,
purtroppo, luoghi inessenziali al corso della storia. Non dico queste cose con
piacere, ma mi pare necessario segnalare il mutamento dello scenario in cui
l'antico problema del rapporto tra morale e politica oggi si presenta: per
evitare discussioni che diventano inutili se non si prende atto del mutamento
radicale del contesto.
Nessun commento:
Posta un commento