"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 27 febbraio 2025

MadeinItaly. 47 Pino Corrias: «Da una trentina d’anni passeggia sull’intero corpo sociale della nazione senza mai sfilarsi il tacco dodici: soffrite, disgraziati che siete, guardatemi e soffrite».


“Cosa dice il discorso del tacco 12 di noi italiani come popolo”: Tralasciando le miserevoli elegie e apologie comparse sui giornali amici, il discorso della Santa pitonessa, ministra plurindagata e imputata, ci ha fatto venire in mente un altro Discorso, di ben altra levatura: quello di Giacomo Leopardi sullo stato dei costumi degli italiani. Prima di insorgere, leggete: “Dell’opinione pubblica gl’Italiani in generale (…) non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno cento proverbi in Italia che affermano che non s’ha da por mente a quello che il mondo dice o dirà di te, che s’ha da procedere a modo suo non curandosi del giudizio degli altri, e cose tali”. E poco più in là: “Insomma niuna cosa, ancorché menomissima, è disposto un italiano di mondo a sacrificare all’opinion pubblica, e questi Italiani di mondo che così pensano ed operano, sono la più gran parte, anzi tutti quelli che partecipano di quella poca vita che in Italia si trova”. Daniela Santanchè, decisamente donna di mondo, nel discorso che passerà alla storia come quello del “tacco 12”, rivendica la sua identità, non politica ma personale: mi vesto bene, ci tengo al fisico, sono libera. “Non riuscirete mai a farmi diventare come voi o pensare come voi, avrò sempre il tacco a spillo, il sorriso sulle labbra, sarò battagliera, perché sono felice di vivere”. Che brutta fine, ci viene da dire, ha fatto “il personale è politico”… Poi la ministra rispolvera i vecchi arnesi della retorica berlusconiana, quelli che a furia di essere ripetuti hanno scassinato lo Stato di diritto: “L’ergastolo mediatico è una condanna che rimarrà tutta la vita da fine pena mai. Grazie alla famiglia che ‘mi dà la forza per non impazzire’”. Infine, sempre rivolta alle opposizioni che chiedevano una sfiducia nuovamente bocciata dalla maggioranza, rivendica il censo, lo status, i soldi: “Voi non volete combattere la povertà, volete combattere la ricchezza. Io sono l’emblema, il male assoluto”. Dice queste cose nel Parlamento di un Paese dove il ceto medio è scomparso, la povertà galoppa, si allungano le file alle mense dei poveri e parla di sé nel luogo del noi.

“Dany, la scalatrice di poltrone (e divani) con il suo tacco 12”: (…). L’arco costituzionale delle emozioni è al gran completo. Compreso l’ultimo soprassalto offerto dall’aula parlamentare tornata ai fasti sordi e grigi di Ruby nipote di Mubarak, ora che ha votato piena fiducia alla Santa ministra del Turismo – 236 sì, 134 no – che da una trentina d’anni passeggia sull’intero corpo sociale della nazione senza mai sfilarsi il tacco dodici: soffrite, disgraziati che siete, guardatemi e soffrite. E in effetti, soffrendo per noi e per lei, la guardiamo e la raccontiamo dai tempi in cui scalava poltrone, divani, potere, dopo essersi scrollata di dosso la polvere della natia Cuneo – famiglia Garnero, anno 1961, babbo autotrasportatore – insieme a quell’altro bellimbusto di Flavio Briatore, suo socio d’avventura, anche lui impaziente di rotolarsi sulle pianure del jet-set, coltivare soldi, umiliare i perdenti, detestare la sintassi e i comunisti. “Sì, io sono quella del Twiga, quella del Billionaire”, ha detto l’altro giorno in aula, vestita come fosse una regina Rom, avvolta in stracci costosissimi, guardando con massimo disprezzo la platea di pallidi borghesucci scandalizzati dalla sua trionfante libertà di essere, esistere, spendere. Ce la ricordiamo dagli albori, Daniela. Comparsa in Costa Smeralda con il suo primo marito, Paolo Santanchè, un chirurgo plastico che girava a bordo di un motoscafone chiamato “Bisturi”, scappato di lì a breve con il salvacondotto della Sacra Rota in tasca, lasciandole in eredità il cognome. Di nuovo libera, Dany navigò a piacer suo Milano nella piena luce degli anni Ottanta: “Io sono come i giapponesi: osservo, imparo, copio”, fino a guadagnarsi la fama e il nome di Pitonessa. Prima mezza democristiana, poi mezza leghista e persino dipietrista, per poi virare verso i velluti di villa Berlusconi, sgomitante, arrembante, passando per le cure di Denis Verdini, altro campione della politica “sangue e merda” (copy Rino Formica) fino alla svolta (per ora) finale, la corte smandrappata di Giorgia Meloni, sempre scortata dal suo inseparabile scudiero, Ignazio La Russa, con cui per anni ha condiviso gli afrori notturni del “Gilda”, discoteca del generone romano, con aggregati di pupe a caccia di un po’ di champagne e di una dote. Per farsi memorabile condusse una battaglia senza quartiere contro l’Islam, insultando le donne velate, molestandone una in diretta tv: “Rivendico con orgoglio di essere fascista e di volere cacciare a pedate i clandestini”. Tutto per conquistarsi l’Alfa con lampeggiante blu e la scorta armata che fanno curriculum specialmente tra i gonzi dei salotti. Evolve nel business, ramo farmaceutici, editoria, bio food, sposando l’imprenditore Caio Mazzaro. Vuole un figlio. Lo ottiene. Vuole l’impresa, fonda Visibilia che è comunicazione, giornali, mondanità, debiti che vanno e vengono. Soprattutto si accumulano, viste le inchieste per falso in bilancio e truffa aggravata all’Inps, ora arrivate al rendiconto dei processi. Con Ignazio passa dal tempo libero alla politica, risciacquandosi con l’acqua di Fiuggi, dove la fiamma missina diventa Alleanza nazionale. Nel 2001 entra alla Camera dei deputati, adora Gianfranco Fini, ricambiata. Il suo secondo mentore è Luigi Bisignani, piduista in quota Gianni Letta, che la affida a Paolo Cirino Pomicino, un veterano dell’algebra economica, che proverà a insegnarle, inascoltato, la differenza tra le somme e le sottrazioni nei bilanci e che a consuntivo dirà: “Daniela è ammalata di potere, non di politica. E non conosce vergogna”. Anche il secondo marito dilegua, eclissandosi con Rita Rusic che ha appena rottamato Vittorio Cecchi Gori, il produttore. I rotocalchi e la tv la adorano perché erutta fiamme e garantisce ascolti. Odia le zecche rosse. Mostra il dito medio agli studenti in sciopero. Disprezza le “femministe dalla penna rossa”. Esibisce la casa di quattro piani a Milano, la villa a Marina di Pietrasanta e quella a Cortina. Indossa gioielli e pellicce con l’aria di sentirsi plasticamente irresistibile: “Le donne sognano me o Rosy Bindi?”. Il terzo compagno è un tale Dimitri Kunz d’Asburgo che di mestiere fa il mago immobiliare, visto che il 12 gennaio 2023, a Forte dei Marmi, davanti al notaio compra alle ore 9:20 la villa del compianto Francesco Alberoni per 2,45 milioni di euro e 58 minuti più tardi, alle 10:18, la rivende a 3,45 milioni di euro per poi brindare al milione appena guadagnato con la partner dell’affarone, la signora Laura De Cicco, che poi sarebbe la fortunata moglie di Ignazio La Russa, incidentalmente diventato presidente del Senato. Embè? La Santa dice di non saperne niente, non sono spiccioli di cui si occupa. E meno male, visto che tutti quelli che si è lasciata alle spalle, sette anni di rendiconti falsificati nei bilanci di Visibilia, secondo il Tribunale di Milano, più un passivo di 8,6 milioni in Ki Group, più 126 mila euro incassati dall’Inps senza averne diritto, sono i capisaldi delle accuse di cui dovrà rispondere, vedremo. Inchieste, reati e processi che fanno vento a lei e a Giorgia che il 22 ottobre 2022 l’ha nominata ministro del Turismo contro il parere di molti, ma specialmente per fare un dispetto a Silvio Berlusconi che quella sdraio l’aveva promessa a Licia Ronzulli, l’infermiera. In aula, l’altro giorno, Dany ha fatto la vittima. Ha parlato di “toghe politicizzate”, di “ergastolo mediatico”, di cicatrici “che non si rimargineranno mai”, suscitando boati e risate a scena aperta, trattandosi della maggiore specialista di dimissioni altrui, chieste 53 volte a qualunque politico le sia capitato a tiro. Solo alla fine ha lasciato intendere che sì, forse, chi lo sa, una volta rinviata a giudizio per la truffa all’Inps, quindi allo Stato, bontà sua penserà “in solitudine” alle proprie dimissioni. “E quel giorno – ha scandito – prevarrà il cuore sulla ragione”. Fino ad allora non se ne parla, sono avvertiti i custodi dell’etica istituzionale, i cardiologi della politica e persino noi, vittime involontarie dei suoi tacchi.

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma, rispettivamente, di Silvia Truzzi e di Pino Corrias e sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di oggi, giovedì 27 di febbraio 2025.

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