Nel suo discorso di commiato, Biden ha paventato la formazione di un’oligarchia negli Stati Uniti, composta da super-ricchi, descrivendola come una minaccia per la democrazia, i diritti fondamentali e le libertà individuali. Tuttavia, questa oligarchia non ha iniziato a formarsi con l’amministrazione Trump, ma si è consolidata nel corso degli anni del dominio unipolare americano, dal 1991 a oggi, con un’evidente accelerazione nell’ultimo decennio. L’altra faccia della medaglia, l’aumento delle disuguaglianze, non è un fenomeno esclusivamente occidentale, ma ha interessato anche altre realtà globali, inclusa la Cina. Secondo il rapporto Oxfam 2025, tra novembre 2023 e novembre 2024, la ricchezza complessiva dei miliardari inclusi nella lista di Forbes è aumentata in termini reali di 2.000 miliardi di dollari e il numero dei miliardari è cresciuto di 204 unità, con un ritmo di quasi 4 nuovi miliardari a settimana. In media, i miliardari hanno visto incrementare le loro fortune di 2 milioni di dollari al giorno, ma i 10 miliardari più ricchi hanno registrato una crescita media giornaliera di circa 100 milioni di dollari. Elon Musk, l’uomo più ricco al mondo, ha visto il suo patrimonio aumentare del 31% in un anno, raggiungendo oltre 330 miliardi di dollari a novembre 2024. Mark Zuckerberg, con una ricchezza netta di 198,7 miliardi di dollari (4° posto nella classifica mondiale dei miliardari) ha registrato il maggiore incremento percentuale tra i primi dieci, con un sorprendente +69% su base annua. Tra le dieci persone più ricche del mondo, sette sono americani, uno francese e due indiani. Nel 2024, il numero di miliardari in Cina è sceso a 814 rispetto ai 1.130 del 2022, mentre negli Stati Uniti è salito a 800 dai 716 del 2022. In Cina, i super-ricchi sembrano avere un impatto molto diverso sulla politica: nonostante un’economia di mercato dinamica, l’autorità politica mantiene una chiara supremazia sul capitale, distinguendosi dal modello americano in cui gli interessi economici delle élite dominano il panorama politico. I costi sociali ormai quarantennali della prevalenza di un sistema economico basato su una accumulazione illimitata, un fisco che la favorisce e la distruzione del lavoro organizzato sindacalmente sono alla base della trasformazione delle democrazie liberali in oligarchie. Questa concentrazione di potere ha dato luogo a un modello in cui la politica, che dovrebbe rappresentare le istanze di grande parte popolazione e non del solo 1% più ricco, è condizionata in maniera sempre più forte dagli interessi dei multimiliardari. Il diritto di voto, esercitato da una frazione sempre decrescente dell’elettorato, è sì assicurato ma il controllo dell’informazione e i costi della politica rappresentano le barriere superabili, direttamente o no, solo dai super-ricchi. Un esempio emblematico sono le ultime elezioni americane, il cui costo ha superato i 15 miliardi di dollari. Le disuguaglianze attuali sono talmente estreme che, secondo le stime, per accumulare la ricchezza di uno dei 10 miliardari più ricchi al mondo non basterebbe risparmiare 1.000 dollari al giorno sin dai tempi in cui i ritrovamenti fossili attestano la presenza del genere Homo (315.000 anni fa). L’ingiustizia di queste disparità è ulteriormente evidenziata dal fatto che oltre un terzo (36%) della ricchezza dei miliardari è ereditata, dimostrando come l’accumulo di patrimoni straordinari non sia sempre il risultato di merito o innovazione, ma spesso di privilegi trasmessi o frutto della rendita. La lotta alle disuguaglianze, a partire da una tassazione progressiva come lo fu negli anni 70 prima che “la lotta di classe fosse vinta dai ricchi”, come disse Warren Buffett, dovrebbe essere la priorità politica prodromica a costruire una società in cui non solo si possa rimettere in moto il famoso ascensore sociale ripristinando le fondamenta di un sistema realmente democratico e partecipativo. (Tratto da “Dagli Usa alla Cina aumentano i ricchi e le disuguaglianze” di Francesco Sylos Labini, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di febbraio 2025).
“Fine pena mai”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del primo di febbraio 2025: Non ha un nome. O forse ce l'ha, ma noi non lo conosciamo. Chiamiamola Hui Ying, che nella lingua del paese dei suoi genitori significa brillante, intelligente, illuminata e saggia. La sua storia è sicuramente uguale a tante altre, ma noi le ignoriamo. Qualcosa hanno raccontato i giornali. Si sa dov'è nata: a Rovigo. Si sa che ha appena compiuto 18 anni. È stata registrata all'anagrafe, allora. Ma da quel momento, Hui Ying è diventata invisibile. Ha passato i suoi primi mesi, la sua infanzia e la sua adolescenza sempre rinchiusa nei tuguri in cui la portava sua madre, sbarcata in Italia dalla Cina molti anni fa, e subito entrata nel girone infernale dei "laboratori" clandestini che lavorano per l'industria tessile, l'abbigliamento, la moda: camicerie, sartorie, stirerie, nascoste in scantinati e sottoscala, nascosti tra Toscana, Lombardia e Veneto. In quegli alveari sotterranei e abusivi, divisi con tavole di compensato e teli di iuta, le "operaie" cinesi lavorano, mangiano e dormono. Senza mai uscire. Senza mai vedere nessuno. Solo le altre "colleghe" segregate, e i "padroncini" cinesi anche loro, che forniscono in nero la prestigiosa committenza italiana e una volta a settimana portano cibo alle schiave e le pagano, in media 200-300 euro a testa. Per 18 anni Hui Ying ha vissuto così, ammesso che questa sia vita. Alla luce dei neon, in mezzo ai rotoli di tessuto, alle macchine da cucire, agli orditoi. Senza una bambola, un giocattolo, un rossetto. Mai un pediatra, mai un ginecologo. Mai una scuola, neanche l'asilo. Mai una torta per il compleanno con le arniche. Niente di niente. Un fantasma, appunto. Uno dei tanti spettri dell'economia globalizzata. Finché non l'ha scoperta la Guardia di Finanza con un blitz in un capannone a Mazzano, nell'hinterland bresciano. Lo confesso: pensavo che il dramma del traffico massiccio di manodopera cinese fosse non dico risolto, ma almeno ridimensionato. Non è così. Leggo inchieste, anche giudiziarie, che fanno rabbrividire. La cooperativa Be Free (trovate il longform in rete) descrive il fenomeno con la durezza che serve. Tuttora arrivano in Italia tanti migranti dal Zhejiang e dal Fujian. Il viaggio costa tra i 30 e i 100 mila renminbi (4.000-15.000 euro) secondo la provenienza e la destinazione. Ragazze giovani, spesso minorenni, lasciano i loro villaggi, dove nei campi o nelle fabbriche guadagnano tra i 40 e i 250 euro al mese, e vengono qui con la speranza di prenderne almeno 700-1.000. Ci riescono, ma si spaccano la schiena 16-18 ore al giorno, senza contratti, senza permessi, senza indennità malattia, senza ferie. E se si ammalano in modo grave e hanno bisogno di cure, si rivolgono alla sanità clandestina (che c'è ed è diffusa), oppure devono lasciare il posto di lavoro e andare a crepare da un'altra parte, per non compromettere il loro padrone. Edoardo Nesi, nel 2010, si era affacciato su questo abisso di miseria e sfruttamento, con il suo splendido Storia della mia gente, ambientato nella giungla tessile di Prato. Quindici anni dopo, stiamo ancora qui, a cercare un nome e un futuro per Hui Ying.
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